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LA CHIUSURA DELLA PORTA SANTA

Il Giubileo va in archivio. Il Papa: «Si chiude la Porta Santa, ma non la misericordia di Dio»

Oltre 100mila fedeli hanno assistito in San Pietro alla messa di chiusura del Giubileo della Misericordia nella solennità di Cristo Re dell'Universo. Il Papa ha chiesto di seguire l'esempio del malfattore sulla croce che ha desiderato di esser ricordato e ha provato la misericordia di Dio: «Chiediamo la grazia di non chiudere mai le porte della riconciliazione e del perdono, ma di saper andare oltre il male e le divergenze, aprendo ogni possibile via di speranza».

Ecclesia 20_11_2016
La chiusura della Porta Santa

Con la chiusura della Porta Santa di San Pietro va in archivio il Giubileo della misericordia indetto da Papa Francesco per tutto l’anno 2016. La cerimonia di chiusura è andata in scena stamattina con un rito semplice, accompagnato dalle preghiere di circa 100mila fedeli che si sono dati appuntamento per la messa di chiusura nella solennità di Cristo Re dell’Universo, che chiude l’anno liturgico e quest’anno coincide con il termine dell’anno giubilare. Un Giubileo che ha visto circa 22 milioni di pellegrini varcare nel corso dell’anno santo la porta laterale destra posta sotto il porticato della Basilica cuore della cristianità. Una Giubileo “globale”, esteso per la prima volta a migliaia di porte sante “periferiche” che sono state varcate da numerosi pellegrini impossibilitati a recarsi a Roma.

Papa Francesco ha sottolineato questo aspetto universale del Giubileo appena concluso, nel corso dell’omelia pronunciata in Piazza San Pietro ricordando come «in questo modo il nostro Re si è spinto fino ai confini dell’universo per abbracciare e salvare ogni vivente. Non ci ha condannati, non ci ha nemmeno conquistati, non ha mai violato la nostra libertà, ma si è fatto strada con l’amore umile che tutto scusa, tutto spera, tutto sopporta. Solo questo amore ha vinto e continua a vincere i nostri grandi avversari: il peccato, la morte, la paura».

Concetti che rendono l’idea del significato vero del Giubileo della Misericordia: «Oggi, cari fratelli e sorelle - ha proseguito Papa Bergoglio -, proclamiamo questa singolare vittoria, con la quale Gesù è divenuto il Re dei secoli, il Signore della storia: con la sola onnipotenza dell’amore, che è la natura di Dio, la sua stessa vita, e che non avrà mai fine. Con gioia condividiamo la bellezza di avere come nostro re Gesù: la sua signoria di amore trasforma il peccato in grazia, la morte in risurrezione, la paura in fiducia».

Ma il Papa è ben consapevole che «sarebbe però poca cosa credere che Gesù è Re dell’universo e centro della storia, senza farlo diventare Signore della nostra vita: tutto ciò è vano se non lo accogliamo personalmente e se non accogliamo anche il suo modo di regnare. Ci aiutano in questo i personaggi che il Vangelo odierno presenta. Oltre a Gesù, compaiono tre figure: il popolo che guarda, il gruppo che sta nei pressi della croce e un malfattore crocifisso accanto a Gesù».

Anzitutto, il popolo: il Vangelo dice che “stava a vedere”: «Nessuno dice una parola, nessuno si avvicina. Il popolo sta lontano, a guardare che cosa succede. È lo stesso popolo che per le proprie necessità si accalcava attorno a Gesù, ed ora tiene le distanze. Di fronte alle circostanze della vita o alle nostre attese non realizzate, anche noi possiamo avere la tentazione di prendere le distanze dalla regalità di Gesù, di non accettare fino in fondo lo scandalo del suo amore umile, che inquieta il nostro io, che scomoda. Si preferisce rimanere alla finestra, stare a parte, piuttosto che avvicinarsi e farsi prossimi. Ma il popolo santo, che ha Gesù come Re, è chiamato a seguire la sua via di amore concreto; a domandarsi, ciascuno ogni giorno: “che cosa mi chiede l’amore, dove mi spinge? Che risposta do a Gesù con la mia vita?”».

Per quanto riguardo il secondo gruppo, il Pontefice cita i capi del popolo e i soldati che deridono Gesù. «Gli rivolgono la stessa provocazione: “Salvi se stesso!”. È una tentazione peggiore di quella del popolo. Qui tentano Gesù, come fece il diavolo agli inizi del Vangelo, perché rinunci a regnare alla maniera di Dio, ma lo faccia secondo la logica del mondo: scenda dalla croce e sconfigga i nemici. Questa tentazione è un attacco diretto all’amore. È la tentazione più terribile, la prima e l’ultima del Vangelo. Ma di fronte a questo attacco al proprio modo di essere, Gesù non parla, non reagisce. Non si difende, non prova a convincere, non fa un’apologetica della sua regalità. Continua piuttosto ad amare, perdona, vive il momento della prova secondo la volontà del Padre, certo che l’amore porterà frutto».

La riflessione di Bergoglio va oltre: «Quante volte invece, anche tra noi, si sono ricercate le appaganti sicurezze offerte dal mondo. Quante volte siamo stati tentati di scendere dalla croce. La forza di attrazione del potere e del successo è sembrata una via facile e rapida per diffondere il Vangelo, dimenticando in fretta come opera il regno di Dio. Quest’Anno della misericordia ci ha invitato a riscoprire il centro, a ritornare all’essenziale. Questo tempo di misericordia ci chiama a guardare al vero volto del nostro Re, quello che risplende nella Pasqua, e a riscoprire il volto giovane e bello della Chiesa, che risplende quando è accogliente, libera, fedele, povera nei mezzi e ricca nell’amore, missionaria. La misericordia, portandoci al cuore del Vangelo, ci esorta anche a rinunciare ad abitudini e consuetudini che possono ostacolare il servizio al regno di Dio; a trovare il nostro orientamento solo nella perenne e umile regalità di Gesù, non nell’adeguamento alle precarie regalità e ai mutevoli poteri di ogni epoca».

Infine, il malfattore che lo prega dicendo: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. «Questa persona, semplicemente guardando Gesù, ha creduto nel suo regno. E non si è chiuso in se stesso, ma con i suoi sbagli, i suoi peccati e i suoi guai si è rivolto a Gesù. Ha chiesto di esser ricordato e ha provato la misericordia di Dio».

«Chiediamo anche noi - ha proseguito il Papa - il dono di questa memoria aperta e viva. Chiediamo la grazia di non chiudere mai le porte della riconciliazione e del perdono, ma di saper andare oltre il male e le divergenze, aprendo ogni possibile via di speranza. Come Dio crede in noi stessi, infinitamente al di là dei nostri meriti, così anche noi siamo chiamati a infondere speranza e a dare opportunità agli altri. Perché, anche se si chiude la Porta santa, rimane sempre spalancata per noi la vera porta della misericordia, che è il Cuore di Cristo. Dal costato squarciato del Risorto scaturiscono fino alla fine dei tempi la misericordia, la consolazione e la speranza».

In conclusione Bergoglio ha rivolto un appello “mariano”: «Maria è la Madre di misericordia, a cui ci affidiamo: ogni nostra situazione, ogni nostra preghiera, rivolta ai suoi occhi misericordiosi, non resterà senza risposta».