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ITALIA SANZIONATA DALLA CEDU

La corte dei “Desideri” cambia la parola famiglia

La Corte dei Diritti dell’Uomo da anni sfodera sentenze ideologicamente orientate secondo i desiderata dei singoli ricorrenti. L'ultimo caso quello di due omosessuali che riceveranno un risarcimento di 20mila euro dall'Italia. Il motivo? Pretendevano di essere considerati famiglia. Accontentati.

Famiglia 02_07_2016
La “coppia” che ha fatto ricorso

Qualcuno prima o poi dovrà decidersi a cambiare il nome della Corte dei Diritti dell’Uomo in Corte dei Desideri dell’Uomo (tanto l’acronimo Cedu rimarrebbe identico). Infatti la Cedu da anni sfodera sentenze ideologicamente orientate secondo i desiderata dei singoli ricorrenti e macina i principi non negoziabili come se fossero olive in tempo di raccolta.

Il 30 giugno scorso la Cedu ha condannato l’Italia per aver discriminato una coppia gay. Ecco i fatti. Roberto Taddeucci e il suo compagno Douglas McCall, che da anni vivono in Nuova Zelanda, decidono nel 2003 di trasferirsi in Italia. McCall vuole il permesso di soggiorno chiedendo che gli venga concesso in quanto “familiare” del compagno. Le autorità di Livorno negano il permesso di soggiorno, non così nel 2005 il Tribunale di Firenze a cui aveva fatto ricorso la coppia. Si oppone il Ministero dell’Interno che si appella e vince. La coppia ricorre a sua volta in Cassazione. I giudici respingono nuovamente la loro richiesta affermando che per “familiari” si possono intendere “solo i coniugi, i minori, gli adulti e figli a carico”. Inoltre la Cassazione aveva ricordato che secondo la Corte costituzionale non si possono tutelare i conviventi nello stesso modo in cui si tutelano i membri di una famiglia legittima.

Questo – aveva precisato la Corte – non implica discriminazione perché c’è discriminazione solo se si trattano i casi uguali in modo differente. Ma lo Stato italiano – avevano continuato a spiegare i giudici – non assegna la qualifica di familiare a nessuna coppia convivente, etero od omo che sia. In questo senso tratta tutti allo stesso modo. Infine, rammentarono ancora gli ermellini, la Convenzione sui diritti umani lascia ampio spazio di manovra ai singoli stati sulla disciplina della materia che attiene al diritto di famiglia e dunque legittimamente uno stato può decidere che una coppia dello stesso sesso non possa sposarsi.

Nel 2009 Taddeucci e McCall decidono infine di bussare alla porta della Corte europea. Intanto nel 2010, trasferitisi in Olanda, si “sposano”.  Veniamo alla decisione dei giudici di Strasburgo. In primo luogo la Cedu sottolinea il fatto che “la situazione del signor Taddeucci e del signor McCall, una coppia gay, non potrebbe essere intesa come paragonabile a quella di una coppia eterosessuale non sposata. Non potendosi sposare e nell’impossibilità di ottenere in quegli anni in Italia qualsiasi altro riconoscimento formale della loro unione, i due uomini non potevano essere classificati come ‘coniugi’ secondo il diritto nazionale”.

Cioè a dire: le coppie omosessuali non possono essere paragonate alle coppie etero non sposate, perché queste ultime possono convolare a nozze, invece alle prime è vietato. Alle coppie gay, al tempo in cui si è svolta la vicenda, era preclusa qualsiasi possibilità di riconoscimento giuridico e dunque qualsiasi chance di essere considerate “famiglia”. Di conseguenza le coppie gay sono discriminate rispetto alle coppie etero, questo in violazione dell’art. 14 della Convenzione dei diritti umani.

Ne consegue che “l’interpretazione restrittiva della nozione di membro di famiglia era per le coppie omosessuali un ostacolo insormontabile nell’ottenere un permesso di soggiorno per motivi familiari”, insormontabile proprio perché l’unico modo per vedersi riconosciuto lo status di familiari, e dunque ottenere il permesso, era quello di accedere all’istituto del matrimonio, possibilità esclusa per le coppie omo. E dunque si conclude che “nel decidere in merito alla disciplina da applicarsi alle coppie omosessuali che deve essere identica a quella che si applica alle coppie eterosessuali non sposate, lo Stato aveva violato il diritto dei ricorrenti a non essere sottoposti a discriminazione in base all’orientamento sessuale nel godimento dei propri diritti ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione” (diritto alla vita privata e familiare), proprio perché le coppie etero possono sposarsi e quelle omo no.

A questo punto però l’intento della Corte era quello comunque di assegnare ai due partner la qualifica giuridica di “familiare” uno dell’altro e di far comprendere all’Italia che, al di là del vincoli normativi nazionali, è comunque possibile qualificare il sig. McCall come familiare del sig. Taddeucci e dunque concedergli il permesso di soggiorno. Richiamando una sua precedente decisione riguardante sempre una coppia omosessuale (Schalk e Kopf vs. Austria) la Cedu afferma che dato che in quel caso “era risultato artificioso considerare che una coppia omosessuale non potesse avere una ‘vita familiare’ ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione, […] dal momento che erano una coppia gay che viveva insieme in modo continuativo, […] ora non si vede alcun motivo per arrivare a conclusioni differenti per quanto riguarda il signor Taddeucci e il signor McCall”.

La Corte inoltre prende per le orecchie l’Italia anche per il fatto che, dopo la sentenza della Cassazione, i due “furono costretti a lasciare l’Italia” e a riparare nei Paesi Bassi. “Questo fatto – spiegano i giudici -  aveva impedito alla coppia di continuare a vivere insieme in Italia. C'era perciò stata una interferenza con uno degli elementi fondamentali della loro ‘vita familiare’ e quindi con il loro relativo diritto” tutelato dalla Convenzione dei diritti umani. Considerato tutto ciò, la Cedu ha condannato l’Italia a pagare 20mila euro a favore della coppia gay come risarcimento per danni morali.

Il precipitato di questa sentenza potrebbe esprimersi in due punti. La sovranità nazionale appare sempre più concetto sfumato. Infatti l’Italia, avendo firmato la Convenzione, accetta anche la giurisdizione della Cedu, secondo quanto affermato dall’art. 46 comma 1: “Le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti”. Seppur, è bene ricordarlo, in molte materie gli stati rimangono autonomi e sovrani e dunque l’obbligo in punta di diritto di adeguarsi in tutto e per tutto ai diktat di Strasburgo appare variabile e assai discusso (è tema complesso). Ma ciò che rileva, al di là del dato giuridico, è la cosiddetta moral suasion, cioè la pressione di carattere politico che istituzioni europee possono esercitare sulle singole nazioni. Insomma la Corte europea – che lo ricordiamo non è organo dell’UE - dichiara che si devono trattare le coppie gay come le coppie sposate e che tutti gli stati si adeguino. Questo è il succo del discorso che rimarrà a livello europeo.

In secondo luogo, come abbiamo visto con la recente sentenza della Corte di Cassazione sulla stepchild, la famiglia non è più quella indicata dal diritto naturale, ma nemmeno più quella indicata dal diritto positivo, cioè, nel caso italiano, dall’art. 29 della Costituzione il quale specifica che per famiglia si può intendere solo la coppia coniugata formata da un uomo e una donna. Famiglia è quella disegnata con il lapis del puro arbitrio dalla tecnocrazia in toga. Ormai “famiglia” è un vago concetto connotato solo da generici affetti e da rapporti fattuali che si perpetuano nel tempo. La famiglia è diventata liquida, squagliata sotto il sole rovente della giurisprudenza gay friendly and family unfriendly.