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IL LIBRO DI ROBERT SIRICO

Le parabole del Vangelo ci insegnano l'economia

Nel suo ultimo volume, L'Economia delle Parabole, padre Robert Sirico rivela come le dottrine cristiane abbraccino la proprietà privata e incoraggino la prosperità responsabile

Cultura 28_11_2023
La parabola del seminatore

Gesù non era un socialista ante litteram; non era contrario alla legittimità del prestito e del debito e non condannava il profitto, anzi incentivava il commercio. Lo afferma padre Robert Sirico nel suo affascinante studio dal titolo L'Economia delle parabole (Edizioni Cantagalli), che tesse una narrativa convincente e provocatoria su come il Vangelo non solo tolleri, ma in realtà possa promuovere il benessere economico individuale.

Le parabole di Gesù, secondo il sacerdote italo-americano presidente emerito dell’Acton Institute, non sono semplicemente racconti morali che attingono a piene mani dalla vita quotidiana per illuminare aspetti trascendentali ed escatologici, ma lezioni che implicano, ad esempio, l’esistenza e la moralità della proprietà privata e come dalla scarsità dei beni e dalla diversità dei doni ricevuti da Dio derivi che non tutti possiamo essere proprietari in egual misura.

Al giorno d’oggi – lamenta l'autore, che non intende fondare un anacronistico pensiero economico di Gesù – sopravvive tenacemente. in gran parte del clero. non solo un’idea statica del denaro, che fa della ricchezza quasi una torta da suddividere in parti uguali, ma anche una condanna non sempre velata del profitto come male morale.

Si ritiene, a torto, che la ricchezza di pochi generi come contrappasso la povertà di molti. «Quante volte si fanno appelli al cristianesimo affinché ci aiuti a distribuire più equamente i beni del mondo? Si pensa comunemente che il ruolo del cristianesimo sia quello di togliere ai ricchi per dare ai poveri, di espropriare beni a favore di chi chiede l’elemosina, di togliere a chi ha e dare a chi non ha», sottolinea padre Sirico che parla a questo proposito di una ”teologia economica alla Robin Hood”. E ancor peggio i giudizi morali negativi sulle materie economiche, sul potenziale morale del liberalismo di mercato, mossi da una parte del clero, hanno in molti casi eroso alla radice lo sviluppo spirituale degli uomini di affari.

Eppure la ricchezza non è denunciata nelle Scritture per il suo semplice possesso, ma per la possessività, quella "avidità del denaro" che l'apostolo Paolo identifica come "la radice di tutti i mali". Nel volume ci sono molti passaggi cruciali. Ad esempio, fa notare padre Sirico, quando Gesù indica al giovane ricco (in Mt 19,21) di vendere tutto quello che aveva e darlo ai poveri…stava proprio consigliando di dedicarsi al commercio! «Non viene detto di distruggere i suoi beni o di rinunciare a tutto quello che ha – osserva il sacerdote –. Gli viene detto di vendere tutti i suoi beni, ossia liquidare le sue proprietà»; ciò che risalta in filigrana come insegnamento è «il beneficio finale per i bisognosi, è il risultato delle sue capacità di guadagno, e questo stesso atto imprenditoriale o di scambio diventerebbe il modo per dimostrare che è fedele al comando di Gesù».

Gesù condannava i ricchi per la noncuranza nei confronti dei poveri. Ad avere difficoltà a entrare nel Regno di Dio sono coloro che “confidano nelle ricchezze”, coloro che hanno abbandonato l’economia della salvezza per seguire la illusoria salvezza nell’economia. Nella parabola del ricco stolto (in Luca 12,13-21), Gesù affronta un problema la cui soluzione più immediata sarebbe stata di tipo redistributivo, «ma si rifiuta di offrire qualsiasi soluzione di questo tipo». «La ridistribuzione della ricchezza può comportare un enorme spreco di tempo e di risorse – commenta padre Sirico –; poiché non crea ricchezza, ma si limita a spostare la ricchezza che è già stata creata e, addirittura, può comportare costi associati a garantire la giusta ripartizione dei beni». «Invece di ingrandire la torta – scrive –, continuiamo a tagliarla a fette, diminuendo la porzione di alcuni e allargando quella di altri».

In "L'Economia delle Parabole", si scopre che una corretta gestione e conoscenza dei beni è essenziale per prevenire il degrado economico e ambientale. Sirico sottolinea come il capitalismo responsabile e la protezione delle istituzioni della libertà siano fondamentali per promuovere una prosperità equa e sostenibile. Al cuore dell’economia, infatti, nella sua parte più profonda e autentica, non vi è il denaro ma l’agire umano, perché il modo in cui rispondiamo alle domande più pressanti e cruciali della vita determina come lavoriamo, compriamo e vendiamo.

«L’antidoto cristiano ai vizi […] non si trova in uno Stato onnipresente e ridistributivo che aiuta le persone a separarsi dal loro peccato, espropriando loro il denaro – scrive padre Sirico –. Non si combatte l’avidità, né tanto meno si raggiunge la virtù, impoverendo le persone o espropriando le loro ricchezze, o partendo dal presupposto che solo i ricchi possono essere avidi».

Esistono chiaramente dei rischi e delle serie tentazioni legate alla ricchezza e al successo, che possono suscitare avidità di possesso, egoismo e orgoglio; ma lo scopo di padre Sirico è giungere a una più equilibrata definizione morale dell’imprenditore. È innegabile che un sistema economico privo di telos morale non sia sufficiente e che esista un’ideologia capitalista in cui la persona smette di essere l’attore centrale dell’economia e della politica. È opportuno, tuttavia, che i leader spirituali e le istituzioni considerino l’imprenditorialità come una vocazione degna. Perché vi è una dimensione spirituale e sacra nelle responsabilità, nei rischi e nelle tensioni anche morali che abitano tutti coloro che mettono i loro talenti naturali al servizio della collettività attraverso gli affari, il commercio, gli investimenti.