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Nessuno tocchi il Corano, ma sulla cristianofobia si tace

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Riprovazione unanime per il gesto dell'uomo che ha dato alle fiamme il libro sacro islamico suscitando reazioni accese nei Paesi musulmani. E nessuno ricorda che la religione più perseguitata è il cristianesimo. 

Editoriali 07_07_2023

Il 28 giugno in tutto il mondo i musulmani hanno celebrato Eid al-Adha, la festa del sacrificio, una delle loro due feste più importanti, chiamata così perché prescrive che ogni famiglia sacrifichi un animale uccidendolo secondo il rituale islamico di macellazione.

Proprio quel giorno in Svezia, vicino alla moschea centrale della capitale Stoccolma, si è svolta una manifestazione autorizzata durante la quale Salwan Momika, un iracheno residente nel Paese, ha bruciato una copia del Corano. Le autorità avevano esitato a concedergli l’autorizzazione per motivi di sicurezza, temendo che il gesto potesse accrescere il rischio di attacchi terroristici, e perché dal 12 giugno è in vigore il divieto di accendere fuochi all’aperto in tutta la città. Giudicando basso il rischio di terrorismo, alla fine però  hanno acconsentito. Inoltre, come ha spiegato ai mass media la portavoce della polizia di Stoccolma Helena Bostrom Thomas, «la libertà di espressione ha un peso maggiore rispetto alla eventuale violazione del divieto di accendere un fuoco».

Evidentemente le autorità svedesi hanno valutato che la libertà di espressione deve prevalere anche sulla distruzione in pubblico, dimostrativa, di un libro sacro, sul dispiacere, la costernazione e la collera che un simile gesto suscita nei fedeli, tanto più se si tratta del Corano che i musulmani credono sia parola di Dio increata, per cui danneggiarne una copia, anche solo sgualcirla, sciuparla, scarabocchiarla, strapparne una pagina, è considerato un atto blasfemo gravissimo. In Pakistan, ad esempio, può costare una condanna a morte e senz’altro il carcere. Sembra che le autorità svedesi abbiano messo in conto soltanto il fatto che la manifestazione potesse «avere conseguenze di politica estera» decidendo, tuttavia, anche a questo proposito, che la tutela della libertà di espressione valesse di più. E le conseguenze sono arrivate, forse più del previsto.

In quasi tutti gli Stati a maggioranza musulmana governi e abitanti sono insorti. Giordania, Marocco Kuwait, Emirati Arabi Uniti e altri paesi hanno richiamato i loro ambasciatori a Stoccolma. Il Marocco e la Giordania hanno convocato i diplomatici svedesi a Rabat e Amman per comunicare la loro ferma condanna per l’inaccettabile gesto. L’Iran ha accusato il governo svedese per aver consentito che si svolgesse la manifestazione blasfema e ha annunciato la sospensione della partenza per la Svezia del nuovo ambasciatore da poco designato.

La reazione più violenta si è verificata in Iraq, quella più arrogante in Turchia. A Baghdad, la capitale irachena, migliaia di persone, incitate dall’imam Muqtada al-Sadr, hanno preso d’assalto l’ambasciata svedese e l’hanno occupata finché, prontamente sopraggiunte, le forze di sicurezza irachene hanno disperso i dimostranti. Il ministro degli affari esteri, Fuad Hussein, ha fatto pervenire al suo omologo svedese la richiesta di extradizione di Salwan Momika sostenendo che, siccome l’uomo ha ancora la cittadinanza irachena, dovrebbe essere processato a Baghdad.

«Insegneremo agli arroganti Occidentali che insultare i sacri valori dei musulmani non è libertà di pensiero», è stato il commento del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, e il direttore delle comunicazioni del governo, Fahrettin Altun, ha dichiarato: «ne abbiamo abbastanza di permettere l’islamofobia e i continui episodi di odio nei confronti della nostra religione da parte di autorità europee, specialmente in Svezia che, se vuole diventare nostra alleata nella Nato, non può tollerare o consentire simili comportamenti da parte di terroristi islamofobici e xenofobi».

Su richiesta del Pakistan, fatta a nome di molti membri della Organizzazione della cooperazione islamica, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha annunciato il 4 luglio una modifica alla sua agenda, che prevedeva una sessione il 14 luglio, per convocare una riunione urgente dedicata al Corano bruciato, per discutere «l’allarmante aumento di atti premeditati e pubblici di odio religioso come dimostra la profanazione del sacro Corano in alcuni Paesi europei e non solo».  

La condanna è stata corale, universale: a quella dei governi, dei leader e delle autorità religiose islamici si sono aggiunte espressioni di biasimo da parte di alte cariche religiose, cristiane in primis, e politiche: bruciare il sacro Corano è un atto di odio estremo, inaccettabile, vergognoso, ripugnante, razzista, una offesa gratuita, una azione anti-islamica con il pretesto della libertà d’espressione.

Il governo svedese aveva detto che era un atto legale, ma inappropriato. Adesso ha deciso di accusare Salwan Momika di incitamento all’odio. Salwan Momika, secondo le sue parole, ritiene il Corano un libro «da bandire in tutto il mondo perché mette in pericolo la democrazia, la morale, i valori umani, i diritti umani e i diritti delle donne e questo proprio non va bene ai nostri giorni». Quindi quello che ha fatto, bruciando una copia del Corano, forse non è un atto di odio, ma certo è un atto blasfemo, deplorevole in quanto tale. Dovrebbe cercare altri modi per richiamare l’attenzione su ciò che dell’Islam disapprova e teme.

Tante parole, tanti comunicati e nessuno ha pensato, o forse ha osato, cogliere l’occasione per ricordare gli atti vergognosi, ripugnanti, razzisti commessi in tutto il mondo praticamente ogni giorno contro i sacri libri cristiani, contro le chiese, i crocifissi, i tabernacoli. Nessuno ha detto che per ogni Corano profanato – bruciato, gettato via, danneggiato – le Bibbie e i Vangeli profanati sono almeno centinaia se non di più. Nessuno ha pensato o ha osato parlare di cristianofobia o forse sensibilità diverse non rilevano le manifestazioni che offendono la religione cristiana, sempre più numerose, spesso autorizzate, addirittura patrocinate, svolte persino con la partecipazione di autorità amministrative e politiche.

Che qualche personalità religiosa o politica porti all’attenzione del Consiglio Onu per i diritti umani, in vista della sessione urgente in programma nei prossimi giorni, anche gli atti blasfemi commessi contro la religione cristiana, denunciati senza che mai una volta diano luogo a reazioni universali, all’unisono di denuncia e condanna.
 

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