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EDUCAZIONE AL DISORDINE

Tutti contro i poliziotti. Insegnanti e genitori con i rivoluzionari

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Cariche della polizia contro manifestazioni non autorizzate a Firenze e Pisa. Insegnanti e genitori contro la polizia. Nessun dubbio che i ragazzi abbiano sbagliato?

Educazione 27_02_2024

Per tutto il fine settimana abbiamo visto le immagini delle cariche di alleggerimento della polizia, per disperdere le manifestazioni (non autorizzate) pro-Palestina, a Firenze e soprattutto a Pisa. Ad essere manganellati sono stati soprattutto studenti dei licei. L’episodio è diventato subito oggetto di dibattito politico, come è normale che sia. Ma sta rivelando anche una vera mutazione antropologica in atto: gli educatori, dunque genitori e insegnanti, sono diventati militanti al fianco dei figli in piazza.

Per tentare di dare una risposta all’indignazione dell’opposizione, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, ha esposto il punto di vista delle forze dell’ordine: «Siamo intervenuti per difendere la sinagoga di Pisa e il consolato statunitense a Firenze, e il tutto è avvenuto durante manifestazioni non preavvisate che non seguivano il percorso concordato, violando le prescrizioni impartite. Ora sono in corso accertamenti su come si sono svolti i fatti ma non dimentichiamo che si è agito soltanto per difendere i due obiettivi sensibili. Resta da capire se c’era un’alternativa alle cariche di alleggerimento». Franco Zucchelli, segretario provinciale (di Roma) del sindacato Mosap, intervistato dal quotidiano Libero, anche se non entra nel merito degli scontri a Pisa e Firenze, spiega: «Le manifestazioni devono essere sempre autorizzate. E se chi non è autorizzato a essere in strada tenta anche di passare laddove non dovrebbe, ad esempio verso una sede diplomatica da proteggere… be’, io non vedo alternative alla carica».

Leggendo le lettere aperte e le interviste di insegnanti e genitori dei ragazzi coinvolti, spariscono tutti questi elementi di “disturbo” di una narrazione resistenziale: il fatto che le manifestazioni non fossero autorizzate, ad esempio, o che il percorso seguito non fosse concordato, la presenza di obiettivi sensibili (fra cui una sinagoga), semplicemente non esistono più agli occhi del genitore o del docente, intento a difendere a oltranza il proprio ragazzo minorenne. A partire dai professori del liceo di Pisa direttamente interessato, il Russoli, che hanno scritto una lettera aperta in cui dicono di essere: «… rimasti sconcertati da quanto accaduto in via San Frediano, di fronte alla nostra scuola. Studenti per lo più minorenni sono stati manganellati senza motivo perché il corteo che chiedeva il cessate il fuoco in Palestina, assolutamente pacifico, chissà mai perché, non avrebbe dovuto sfilare in Piazza Cavalieri». Già, chissà perché. E concludono: «Come educatori siamo allibiti di fronte a quanto successo oggi».

Naturalmente, docente chiama docente, e piovono espressioni di solidarietà da altre scuole, a partire da quelle toscane. I docenti del liceo Filippo Buonarroti esprimono il loro sgomento. Nella loro lettera aperta si legge anche: «Come insegnanti ed educatori intendiamo denunciare un simile comportamento da parte di un’istituzione il cui compito precipuo è quello di garantire l’incolumità e la sicurezza dei cittadini. Quale fiducia nelle istituzioni può generare un attacco così gratuito alla libertà di manifestare pacificamente il proprio pensiero, una libertà che è la nostra Costituzione a garantire?». Ma se la sicurezza e l’incolumità dei cittadini deve essere difesa proprio da chi, come i loro ragazzi, potrebbe violarla? Solo i manifestanti hanno diritti, evidentemente.

Gli insegnanti e soprattutto i loro sindacati, giungono a sostenere che l’azione delle forze dell’ordine abbia un valore sostanzialmente diseducativo. Ad esempio la Federazione Gilda degli insegnanti di Pisa - UNAMS espone così la sua posizione: «La sproporzionata violenza della polizia non avrà conseguenze solo sui corpi delle ragazze e dei ragazzi colpiti dai manganelli ma soprattutto sulle loro menti che faranno fatica ad aver ancora fiducia nelle istituzioni e a credere che la Costituzione di cui gli parlano le/i docenti a scuola esista realmente». Stesso concetto espresso anche dall’associazionismo. La Rete Scuole di Pace, per bocca del suo coordinatore Aluisi Tosolini, esprime un concetto analogo, quando sostiene: «Di certo a Pisa sarà più complicato fare rete con la questura e la polizia. A meno che il Questore e la polizia non chiedano pubblicamente scusa e rimedino ai danni inferti non solo ai singoli studenti ma all’intera comunità utilizzando la logica della giustizia riparativa». Quindi il ruolo dell’insegnante di educazione civica non è quello di educare gli studenti al rispetto delle istituzioni, ma quello di rieducare i poliziotti al rispetto degli studenti, quando manifestano per la Palestina senza autorizzazione.

Ai professori si sovrappongono i genitori. E spesso sono le stesse persone. Ad esempio anche una docente, la mamma di una delle studentesse minorenni colpite dagli agenti della polizia sul proprio profilo Facebook scrive, fra le tante altre cose: «Quanto a voi poliziotti, con quali occhi stasera guardate in faccia i vostri figli? Ancora ho il disgusto e i brividi per quello che è accaduto a mia figlia, e ai nostri studenti. Ringrazio tutti i miei colleghi e tutti gli amici, che in questo momento così orribile, sono scesi in questa piazza stasera. Sono vicina ai genitori degli altri nostri studenti, picchiati e spaventati». Così i genitori degli studenti del liceo Carducci: «L’indignazione e lo sgomento si fanno ancor più vivi, constatando come tutto ciò sia avvenuto nel giorno in cui la città di Pisa inaugura le celebrazioni per ricordare il centenario della morte di Giacomo Matteotti». Rieccolo, come sempre: il pericolo fascista.

La Repubblica intervista la mamma di un ragazzo di 16 anni rimasto ferito. Monica, questo il suo nome, è fra i genitori che hanno deciso di fare causa per chiedere i danni. Dell’esperienza del figlio dice: «…è ancora sotto shock. Vediamo se torna a scuola». Non accetta eventuali scuse della polizia: «A me delle scuse importa fino a un certo punto. Voglio che queste cose non succedano più». A parte che i rivoluzionari delle generazioni precedenti si sarebbero vergognati a morte se i loro genitori li avessero definiti “sotto shock”, dopo aver preso le pallottole dalla Bastiglia o dal Palazzo d'Inverno. Ma, a prescindere: non emerge alcun dubbio, nessun senso di colpa, nessun dubbio che il figlio possa, magari, aver sbagliato. La sua presenza in una manifestazione non autorizzata appare come un dovere per un minorenne che «partecipa alle manifestazioni da quando va in prima».

Però, obiettivamente, non c’è difesa che tenga: il primo che dovrebbe invitare al rispetto delle forze dell’ordine e del loro ruolo è in teoria il comandante in capo. E però il presidente Mattarella stesso, in questo caso, ha rilasciato una nota in cui sostiene: «Lʼautorevolezza delle Forze dellʼOrdine non si misura sui manganelli, ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni. Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento».

Siamo dunque di fronte al paradosso che il rivoluzionario è di sistema: ha dalla sua i genitori, gli insegnanti, i media e il presidente della Repubblica. L’unica figura sovversiva, in questo scenario, a questo punto resta il poliziotto. E torna alla mente quel che diceva, mezzo secolo fa, Pier Paolo Pasolini, dopo gli scontri di Valle Giulia: «Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti! Perché i poliziotti sono figli di poveri».