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IL PREMIO

Un vaccino da Nobel: chiaro segnale su un futuro a mRna

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Il Nobel per la Medicina va ai due ricercatori che hanno messo a punto la tecnologia vaccinale a mRna. Un chiaro segnale politico sulla strada che i prossimi vaccini dovranno percorrere. Nonostante tutti i dubbi espressi dallo scopritore della tecnica genetica. 

Attualità 03_10_2023

Il Premio Nobel per la Medicina 2023 è stato assegnato a due ricercatori, Katalin Karikó e Drew Weissman, per il loro ruolo fondamentale nello sviluppo dei i vaccini mRNA contro il Covid. 

Il premio verrà assegnato tra due mesi, il 10 dicembre a Oslo, ma nel frattempo la notizia sta facendo il giro del mondo, e ovviamente questa scelta rappresenta una sorta di consacrazione di un determinato tipo di metodologia per realizzare i vaccini contro il Covid, che non è stato certo l’unico, ma che è quello che è stato scelto da molti Paesi, tra cui l’Italia, come opzione principale. Ci sono al mondo Paesi come l’India che deliberatamente non hanno scelto i vaccini a mRNA, ma secondo una certa informazione questi sono i vaccini per eccellenza, quelli che- secondo la stampa ufficiale, «stanno salvando centinaia di milioni di persone nel mondo».  

Cominciano inoltre a circolare i profili biografici di questi due ricercatori: Weissman è nato nel 1959 negli Stati Uniti, è medico e nel 1997 ha fondato un gruppo di ricerca presso la Perelman School of Medicine dell’Università della Pennsylvania ed è attualmente direttore del Penn Institute for Rna Innovations. La biochimica ungherese Katalin Karikó, 66 anni, vicepresidente di BioNTech, l’azienda che ha collaborato con la Pfizer a realizzare il vaccino anti Covid più celebre, è celebrata dalla stampa come «la pioniera dei vaccini basati sulla molecola dell'Rna».

Potremmo quindi dire che questo Premio Nobel è un esplicito riconoscimento dato alla tecnica a mRNA per la realizzazione dei vaccini. Una decisione che potrebbe avere conseguenze sulla futura scelta di sviluppare altri vaccini, se non tutti i vaccini, con questa metodologia, a dispetto delle altre tipologie tradizionali di preparazione di vaccini. Mentre l’informazione mainstream dalla fine del 2020 in poi ha descritto la corsa al vaccino per il Covid come una competizione tra filantropi e benefattori dell’umanità per realizzare quanto prima il siero che avrebbe magicamente sconfitto il Covid, si è in realtà combattuta una durissima guerra commerciale tra giganti, da cui ne uscì sconfitto il vaccino Astrazeneca, prodotto della collaborazione tra l’Università di Oxford e un gigante farmaceutico svedese.

In questa sfida, almeno sul mercato europeo e nordamericano, hanno non solo vinto due aziende, Pfizer e Moderna, ma anche una visione scientifica, quella che prevede l’uso del mRNA. «Attraverso le loro scoperte rivoluzionarie, i vincitori di quest’anno hanno cambiato radicalmente la nostra comprensione di come l’mRNA interagisce con il nostro sistema immunitario. Hanno contribuito al tasso senza precedenti di sviluppo dei vaccini durante una delle più grandi minacce alla salute umana dei tempi moderni». Così è stato detto nel corso della conferenza stampa di annuncio, sottolineando che la scoperta dei due scienziati è stata fondamentale non solo per la lotta al virus Sars-Cov2, ma di fatto «ha aperto le porte a tutta una serie di nuove applicazioni per altri vaccini contro il cancro e le malattie cardiovascolari».

La tecnica che si avvale dell’uso di inoculazione di frammenti di mRNA nelle cellule umane, le quali vengono indotte a produrre antigeni di organismi patogeni (come ad esempio la proteina spike virale) oppure antigeni tumorali, che poi stimolano una risposta immunitaria adattativa, è una scoperta fatta da uno scienziato statunitense, Robert Malone, che tuttavia difficilmente potrà essere insignito del Nobel, perché - proprio in quanto “padre” della tecnologia mRNA -, fin dal 2020 mise in guardia dall’utilizzo della stessa per la produzione di farmaci genici cui fu poi attribuito il termine di vaccini. Non fu ascoltato, e il Comirnaty della Pfizer fu il primo farmaco al mondo a mRNA autorizzato in via sperimentale per la vaccinazione umana.

Tra i due scienziati vincitori del Nobel 2023, chi attira il maggior interesse è Katalin Karikó. La sua è la storia raccontata con enfasi retorica di un brillante cervello che nasce in un Paese arretrato e che poi va a trovare fortuna nella terra delle opportunità per eccellenza, gli Stati Uniti. In realtà, la biochimica ungherese andò incontro negli States ad una serie di rifiuti dei propri progetti, fino a quando all’apparire del Covid, Pfizer e Moderna puntarono sulla tecnica a mRNA, vedendo poi approvati i propri progetti dagli enti americano e europeo dei farmaci, arrivando a conquistare, in particolare in Italia, un assoluto duopolio dominante.

Nessuna delle centinaia di progetti di vaccino anti Covid che esistevano nel 2020 è stata portata a termine, anche a motivo delle scelte politiche che non lasciavano alternative a ciò che non era a tecnica mRNA. E ora, con questi Nobel, sembra essere stata indicata una scelta ben precisa, nonostante le tante perplessità che ancora oggi suscitano questi prodotti e i loro possibili effetti collaterali, sui quali lo stesso professor Malone continua a lanciare documentati avvertimenti. E come dice entusiasticamente la stessa ricercatrice ungherese, siamo solo agli inizi delle applicazioni di questa tecnologia.