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SECONDA ONDATA DI CRISI

Autunno caldo, Napoli è il primo caso di rivolta anti-lockdwon

La violenza è sempre da condannare. Tuttavia, è un errore imperdonabile sottovalutarne le ragioni. Dopo aver perso tempo nel corso dell'estate, il governo riprende le misure restrittive contro il contagio che rischiano di far chiudere anche chi è finora sopravvissuto. A Napoli la protesta non è solo "opera della camorra", ma è un segnale chiaro dell'autunno caldo in arrivo

Politica 25_10_2020
La rivolta a Napoli

La violenza è sempre da condannare. Tuttavia, è un errore imperdonabile sottovalutarne le ragioni. Quanto accaduto a Napoli venerdì sera, non appena il governatore Vincenzo De Luca ha prospettato l’eventualità di un nuovo lockdown, ha scosso l’opinione pubblica nazionale, non solo quella campana. In piazza c’erano centinaia di manifestanti e tra loro, accanto a commercianti esasperati, a imprenditori costretti a chiudere piccole e medie attività, c'erano comitati delle periferie, ambulanti e altre categorie di lavoratori, ma anche esponenti dei centri sociali di sinistra e della destra di Forza Nuova. Altro che manifestazione organizzata dalla camorra! Hanno gridato slogan contro i vertici regionali ma in generale hanno manifestato il loro dissenso rispetto a qualsiasi ulteriore misura restrittiva. Anche a Salerno quella sera ci sono stati alcuni focolai di protesta, mentre ieri a Roma, in modo più pacifico, altri cittadini sono scesi in piazza per esternare tutta la loro preoccupazione per la piega che sta prendendo la situazione dal punto di vista socio-economico.

Potrebbe essere l’antipasto di un autunno davvero caldo e violento, dominato da ribellioni spontanee contro le misure che il Governo si accinge a varare per frenare la pandemia. Sarebbe quindi sbagliato liquidare questi segnali come isolati e legati a fattori puramente ambientali e locali. La protesta monta nel Paese e potrebbe straripare da un momento all’altro. Il Governo aveva agito con tempestività a marzo, optando per il lockdown totale, durato due mesi, e aveva arginato i contagi, promettendo il potenziamento delle terapie intensive negli ospedali, la riorganizzazione dell’assistenza sanitaria per evitare nuove emergenze, la predisposizione di protocolli più agili per fronteggiare eventuali seconde ondate. Gli ultimi cinque mesi sono stati sprecati in diatribe tra partiti, campagne elettorali, scontri con le regioni, sempre in nome di quelle maledette e anacronistiche contrapposizioni ideologiche, che finiscono per mettere da parte gli interessi dei cittadini e delle imprese.

E così, quando il virus ha ripreso vigore, si è subito scaricata la colpa sui cittadini e sulla loro presunta negligenza nel rispettare le misure di distanziamento e contenimento. Di certo non tutti sono stati ligi alle prescrizioni, ma se è vero che in tutto il mondo ci sono Stati messi molto peggio dell’Italia, non è neppure giusto gettare la croce addosso agli italiani per occultare le responsabilità della politica, nazionale, regionale e locale, a prescindere dal colore politico. Ora vengono richiesti nuovi sacrifici ai cittadini e alle imprese, si annunciano altre paralizzanti restrizioni, quando invece si sarebbe potuto gestire meglio questa fase di prepotente ritorno del virus con sistemi di trasporto locale potenziati, reparti di terapia intensiva meglio attrezzati (meno male che in Lombardia ci avevano pensato subito con l’Ospedale in Fiera, realizzato a tempo di record grazie alla generosità dei lombardi e senza un euro di soldi pubblici), sistemi di tracciamento efficaci, meccanismi di controllo più efficienti.

Ora è troppo tardi perché il virus corre più velocemente degli sforzi che la politica ha tardivamente messo in campo. E quindi dovremo presto confrontarci con nuove dolorose contabilità oltre quelle dei contagi, dei ricoveri e dei decessi per colpa della pandemia. Ce lo ha ricordato Confartigianato Lombardia due giorni fa, quantificando in 20 miliardi di euro il danno per le sole imprese della regione in caso di nuovo lockdown: "Una perdita di 5,4 miliardi nel 2020 – si legge nel comunicato dell’associazione - e di 14,5 nel 2021. Per abitante, in Lombardia, si tratta di poco meno di duemila euro. Milano, con perdite di poco meno di 2,5 miliardi per l’anno in corso e più di 6 per il 2021, è la provincia più penalizzata". E, come si sa, se rallenta la Lombardia, il resto dell’Italia si ferma.

Nonostante le parole fuori luogo di alcuni virologi come Massimo Galli (“Non vedo francamente tanti morti di fame in giro…”), accanto ai contagi da Covid si affacciano all’orizzonte altri contagi, in primis quello criminale, con la malavita pronta a mettere le mani su tante aziende decotte e quasi sicuramente costrette a portare i libri in tribunale. E’ di qualche giorno fa l’allarme dell’Ufficio studi Confcommercio sulla percezione dell’usura tra le imprese del commercio e dei servizi. Sarebbero circa 40.000 le imprese seriamente minacciate dall’usura, un fenomeno in crescita soprattutto nel Mezzogiorno, a causa della mancanza di liquidità.

E che dire della disoccupazione, prossima ad esplodere con circa un milione e mezzo di posti di lavoro a rischio, che potrebbero essere tagliati non appena, a fine anno, le imprese riacquisteranno la libertà di licenziamento. Il fermo delle attività produttive e commerciali avrà un impatto devastante sul piano sociale, oltre che economico. La gente ha sì paura del Covid, ma inizia anche a percepire gli effetti del blocco totale delle attività sulla qualità della propria vita. Falliranno tante palestre e piscine, centri sportivi e, soprattutto, ristoranti e bar. Alcuni di essi si erano appena rialzati da giugno in poi, ora devono richiudere o comunque limitare fortemente il loro business. E intanto dovranno pagare i costi fissi e le tasse. Per loro è una vera beffa, visto che si erano uniformati con scrupolo alle disposizioni anti-Covid in materia di adeguamento di impianti e strutture e di igienizzazione di ambienti.

Ecco perché non è difficile prevedere altre proteste come quella di Napoli, che nasconde un disagio anche psichico di tantissimi italiani, e un risentimento crescente nei confronti del potere costituito. Sono rivolte che, se non gestite in maniera adeguata sul piano della tutela dell’ordine pubblico, rischiano davvero di far precipitare il Paese nel caos.