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GIAPPONE

Dalla tragedia recessione ma anche solidarietà

Le conseguenze economiche del terremoto saranno pesanti, ma il corso della storia può essere cambiato dall'uomo.

Attualità 16_03_2011
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C’è una sola certezza sulle ricadute economiche dell’immane disastro che ha colpito il Giappone: sono da buttare direttamente nel cestino tutti gli studi, le previsioni, le analisi compiute e continuamente aggiornate negli ultimi mesi. Il Giappone è la terza economia mondiale, ha un Prodotto interno lordo di 5.400 miliardi di dollari (più del doppio di quello italiano), ha più di 250 imprese leader mondiali con oltre un miliardo di dollari di fatturato. E’ per questo che è estremamente reale il rischio che il terremoto e il successivo tsunami dell’11 marzo possano riflettersi in maniera imprevedibile, ma sicuramente negativa, sui segnali di ripresa che l’economia mondiale stava manifestando in questo 2011.


Le Borse valori lo hanno immediatamente avvertito, iniziando naturalmente da quella di Tokio, che hanno messo a segno ribassi più che significativi, ribassi che si sono accentuati quando è stato evidente che si stava verificando lo scenario peggiore per le  centrali nucleari.

Già i danni materiali, la distruzione di intere città e di importanti infrastrutture, e il pesantissimo bilancio per le perdite di vite umane sarebbe stato tale da pesare per anni sulle possibilità di crescita di un’economia giapponese che, peraltro, dal almeno quindici anni si trova in una sostanziale stagnazione. Ma il disastro nucleare, i costi di evacuazione della popolazione e di messa in sicurezza degli impianti, così come il razionamento dell’energia e i maggiori oneri per le importazioni di petrolio appaiono tali da provocare una recessione ancora più grave per l’economia giapponese con riflessi sicuramente pesanti, sulle grandi economie mondiali.


Anche perché il Giappone è sicuramente un colosso economico, ma tutt’altro che solido sotto il profilo finanziario: ha un debito pubblico che è pari a due volte il prodotto interno lordo, ha già attuato negli ultimi anni una politica monetaria espansiva, ha un sistema bancario fortemente indebitato. In queste condizioni la dimensione della catastrofe non potrà che accentuare la caduta della produzione e quindi del livello di ricchezza del Sol levante. Anche perché è assolutamente fuori luogo fare un paragone con quanto avvenne dopo il 1995, cioè dopo il terremoto di Kobe che fece oltre seimila morti, ma non ebbe altre conseguenze sul resto del Paese: allora la Borsa crollò nei giorni successivi, ma nel medio termine gli investimenti per la ricostruzione furono uno stimolo alla crescita e la moneta giapponese si apprezzò di oltre il 25% rendendo più convenienti le importazioni e contribuendo a mantenere sotto controllo i prezzi.


Ora lo scenario è drammaticamente diverso perché alle esigenze della ricostruzione si aggiungono i problemi legati al problema energetico. E non è fuori luogo pensare che il Giappone debba adottare misure anche drastiche sul fronte finanziario. Un eventuale apprezzamento dello yen potrebbe aiutare l’afflusso di fondi dall’estero, ma già ora esperti del Fondo monetario hanno dichiarato “difficilmente sostenibile” un debito che potrebbe aumentare quest’anno fino al 240% del Pil. La possibilità di una dichiarazione di default, in pratica di un fallimento, è tra le più concrete prospettive. E anche se il 95% del debito nipponico e posseduto da cittadini o istituzioni giapponesi saranno comunque inevitabili i contraccolpi sui mercati internazionali.


Dal profilo strettamente economico la possibilità che a disastro si aggiunga disastro è concreta e reale. Ma non bisogna dimenticare un aspetto. Una tragedia, non solo per le sue dimensioni, sollecita la solidarietà umana e lo spirito di partecipazione. Fare i conti con la dimensione economica, anche se apparentemente cinico, è comunque doveroso. Ma altrettanto doveroso, anzi prioritario, è non dimenticare quella dimensione umana e sociale dove la passione per la vita dell’altro trova nel dramma nuove occasioni per esprimersi. E può cambiare il corso della storia.