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POLITICA

Elezioni anticipate nel 2015, un'ipotesi concreta

Le riforme latitano e una nuova recessione economica è alle porte. Le elezioni anticipate iniziano ad essere un affare conveniente per Renzi. Con una maggioranza solida, o un'alleanza con Forza Italia, la prossima legislatura potrebbe riportare stabilità.

Politica 23_07_2014
Contestazione

Ancora insidie per l’approvazione del ddl Boschi sulla riforma del Senato e torna ad agitarsi lo spettro delle elezioni anticipate. Nelle ultime ore il clima è tornato a surriscaldarsi. Sembrava che l’assoluzione di Berlusconi avesse ridato ossigeno al Patto del Nazareno e avesse placato le ire dei malpancisti dell’uno e dell’altro schieramento. Invece ora si naviga a vista.

Perfino il deputato renziano Roberto Giachetti, di fronte all’avvitarsi del dibattito sul futuro dell’assemblea di Palazzo Madama, ha rivolto un appello al suo leader: «Questo Parlamento non è in grado di fare le riforme. Meglio votare al più presto con il Consultellum che insistere con questo ostruzionismo, che colpisce e uccide la speranza di milioni di italiani che hanno votato per te alle primarie e per il Pd alle europee». Ad intonare il de profundis alla legislatura potrebbe essere nelle prossime ore lo stesso premier se la situazione dovesse impantanarsi. Lui per ora non recede dal suo proposito di approvare entro agosto il superamento del bicameralismo per poi dedicarsi alla nuova legge elettorale, ma intanto non esclude le urne nel 2015. Anche perché le incognite per il governo non sono poche.

Anzitutto il clima burrascoso che si è creato con gli alfaniani. Il ministro dell’interno, secondo i fedelissimi di Renzi, avrebbe tramato in Europa con Tajani per impedire la nomina della Mogherini, e ora l’inquilino di Palazzo Chigi vorrebbe vendicarsi togliendo al Nuovo Centrodestra una poltrona di peso nell’esecutivo (quella del ministro Lupi?).

Renzi sospetta che anche D’Alema abbia remato contro gli interessi italiani e quindi ora vorrebbe togliersi qualche sassolino dalla scarpa ridimensionando, attraverso un passaggio elettorale, la rappresentanza di dalemiani in Parlamento (la compilazione delle liste Pd sarebbe saldamente nelle mani dei renziani).

Altro elemento che potrebbe accelerare il ricorso alle urne anticipate è quello della situazione economica. Renzi intende capitalizzare la forza mediatica che può certamente vantare in questi mesi e sfruttare l’onda degli ottanta euro elargiti in busta paga, prima che i segnali di recessione si facciano più concreti. Nei giorni scorsi i dati europei hanno documentato l’arretramento dell’economia tedesca, che, se confermato, potrebbe trascinare nel vortice anche il resto dell’Eurozona. A quel punto il premier sarebbe costretto a varare la tanto scongiurata (e sempre ufficialmente esclusa) manovra correttiva da 25 miliardi di euro, che svuoterebbe le tasche degli italiani, metterebbe in ginocchio il sistema delle imprese e paralizzerebbe ogni slancio riformatore. Andare alle urne prima che queste decisioni impopolari debbano essere prese potrebbe far parte del tempismo sin qui dimostrato dall’ex sindaco di Firenze.

Verso il voto anticipato (c’è già chi azzarda una data, quella del primo marzo 2015), peraltro pronosticato in tempi non sospetti da Berlusconi, muovono altri segnali, come la crescente ostilità di parte delle cancellerie europee nei confronti di Renzi e le manovre ostruzionistiche di buona parte della sinistra in Parlamento.

Il premier potrebbe tentare il tutto per tutto e giocare una campagna elettorale imperniata sul vittimismo e sull’impossibilità di realizzare i suoi programmi a causa delle ostilità dei vecchi apparati e delle consolidate consorterie di potere.

A giocare in suo favore potrebbe essere la mancanza di avversari credibili. Il centrodestra si è ricompattato attorno al suo leader storico, ma Berlusconi non è candidabile e quindi dovrà puntare su candidati meno carismatici e certamente non in grado di frenare l’onda tumultuosa del renzismo.

In caso di vittoria di Renzi, il dialogo con Berlusconi potrebbe proseguire anche nella prossima legislatura, magari con un Grillo ridimensionato. In caso di approvazione dell’Italicum, centrodestra e centrosinistra potrebbero contendersi il governo del Paese al ballottaggio oppure dar vita a un governo di solidarietà nazionale che completi il disegno riformatore. Se invece Renzi vincesse al primo turno, potrebbe avere la forza numerica anche in Parlamento per dettare legge e non dover più fare i conti con il dissenso interno alla sua pattuglia di parlamentari.

L’ex Cavaliere potrebbe consolidare il suo ruolo di “padre della Patria” e guadagnarsi la grazia o la nomina a senatore a vita. Giorgio Napolitano, per come si è espresso su Berlusconi nell’ultimo anno, difficilmente potrà intestarsi un’iniziativa del genere, ma magari il suo successore, eletto con un’ampia maggioranza bipartisan, sarebbe il più indicato per sublimare questo ritrovato clima di pacificazione e di superamento di ventennali battaglie ideologiche e personalistiche.

A facilitare questo processo anche le divisioni, sempre più evidenti, tra i grillini. I fautori del dialogo come Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera, potrebbero ritrovarsi isolati se il disfattismo di Grillo e Casaleggio dovesse prendere il sopravvento. Qualora si aprissero definitivamente le crepe nell’esercito pentastellato, il patto Renzi-Berlusconi non avrebbe più nulla da temere.