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PROVE DI GOVERNO

Israele, Gantz conta su una maggioranza innaturale

Gantz ha ricevuto dal capo dello Stato israeliano l’incarico di formare il governo, venendo preferito a Netanyahu (che pure lo aveva battuto alle elezioni) dai parlamentari della Knesset. Ma la maggioranza su cui dovrebbe reggersi il suo esecutivo, fatta di partiti di destra e di sinistra, lascia perplessi sulla sua tenuta. Intanto c’è la sfida del Coronavirus e c'è già chi auspica un governo di emergenza, con poche intese di base.

Esteri 23_03_2020

«È tempo di riconnettere fra loro tutte le tribù d’Israele, tutti i cittadini d’Israele. Batteremo il Coronavirus. Vinceremo l’odio. Non è ancora persa la nostra speranza»: così, citando un verso dell’inno nazionale di Israele, Benny Gantz si è espresso appena dopo aver ricevuto dal capo dello Stato, Reuven Rivlin, l’incarico di formare il governo. Incarico dovuto perché, pur essendo stato battuto da Benjamin Netanyahu nelle elezioni politiche del 2 marzo (il cui partito, Likud, ha conquistato 36 deputati e la sua coalizione altri 22), è stato accreditato premier dalla maggioranza dei parlamentari della Knesset.

Gli hanno espresso infatti sostegno oltre, naturalmente, al suo partito Kahol Lavan, forte di 33 deputati), due coalizioni: una di sinistra formata dai partiti Laburista, Meretz e Gesher con 7 deputati e una “Lista unita” (composta da tre partiti della minoranza araba e da un gruppo social- comunista) che ha visto eletti 15 deputati. E infine il partito di destra Yisrael Beiteinu, guidato dal russofono Avigdor Lieberman, che aveva rotto con Netanyahu, forte di 7 deputati.

Tutti insieme 62 deputati, in grado di garantire una maggioranza parlamentare. Certo, appena sufficiente, anzi “risicata”. Ma soprattutto innaturale. Non si è mai visto nascere, infatti, un governo che dovrebbe reggersi su partiti di destra e di sinistra da sempre in posizioni opposte su tante questioni. E tanto incomprensibile da fare, paradossalmente, comprendere il compito che il premier incaricato si è attribuito - meglio, la “speranza” che dice di animarlo - di «riconnettere fra loro tutte le tribù d’Israele». Che significa? Dall’esame delle sue dichiarazioni, che si presumono identiche ai propositi espressi al capo dello Stato, Gantz vorrebbe formare un governo di unità nazionale, che dovrebbe riunire, se non proprio tutti i partiti di destra, almeno il partito Likud  di Benjamin Netanyahu. Cogliendo «il tempo» dell’emergenza che la nazione sta vivendo, cioè l’insidia del Coronavirus. Tanto da promettere che il suo governo trarrà insegnamento «dall’urgente necessità di reintegrare il sistema medico pubblico in Israele».

L’ambizione dichiarata è però maggiore: «Guiderò lo sforzo per sanare la società dalla malattia del Coronavirus e dalla malattia della divisione e dell’odio», ha detto l’ex capo di Stato Maggiore, alla sua prima esperienza politica. Solo che la luce proiettata su queste amare realtà gli ha fatto subito realizzare di aver innestato una marcia troppo veloce. Così, dopo l’euforia del momento che lo aveva spinto a proclamare: «Farò di tutto per varare in pochi giorni, in meno giorni possibili, un governo nazionale», ha stemperato le promesse, precisando subito «il più patriottico e più ampio possibile».

Un momento di consapevolezza o una resipiscenza? Un analista politico serio come Nadav Shragai propende per quest’ultima così riflettendo su Israel Ha Yom: «Dopo tre campagne elettorali (nell’arco di un anno), una cosa è ben chiara: non ci sono vincitori, ma solo sconfitti. La frattura tra le varie parti della società israeliana si allarga di giorno in giorno, sembriamo consumati dallo scontro e dall’ostilità reciproca. Ma ad essere in pericolo, ora, non sono più il nostro tessuto sociale e lo spirito collettivo: è la sopravvivenza stessa».

Per Shragai, una prospettiva del genere dovrebbe portare al superamento delle animosità tra Netanyahu e Gantz e dei loro impegni elettorali. «Le loro rivalità, scrive, hanno un tempo e un luogo. Ma ora non è né il tempo né il luogo. La posta in gioco è semplicemente troppo alta». È pure indubbio che la crisi prodotta dal Coronavirus sta avendo, e avrà, ripercussioni gravissime sull’economia, il sistema sanitario, il mercato del lavoro e altro ancora. Ma non sembra che i due siano pronti a «dimenticare il proprio ego». Netanyahu non ha ricevuto indulgenza dal suo avversario e dovrà affrontare il processo per corruzione, abuso di fiducia e malversazione a cui è stato chiamato da un pubblico accusatore (il processo comunque ha subito un rinvio dovuto all’emergenza Coronavirus: il suo inizio è stato spostato al 24 maggio). E Gantz sa di aver ottenuto il sostegno parlamentare perché tutti, come lui, vogliono la condanna di Netanyahu.

Di più: Gantz è chiamato alla prova di conciliare il variegato, frazionatissimo, sostegno parlamentare con la composizione del suo governo. Chi entrerà a farne parte ? Chi ne resterà fuori e lo voterà? Quale il programma di una compagine così eterogenea, per molti problemi antitetica? Non è presuntuoso definirlo “nazionale”? Finora Gantz ha fatto sapere soltanto che il futuro governo «tutelerà gli interessi degli abitanti di Giudea e Samaria (la Cisgiordania) e dei cittadini arabi d’Israele, degli abitanti del centro del paese e di quelli della periferia», assicurando: «Sarò al servizio degli elettori di ogni partito e di tutti i cittadini d’Israele».

Siamo alle solite assicurazioni di circostanza, è stato il giudizio prevalente dei cronisti politici. Tanto che alcuni commentatori hanno realisticamente auspicato un governo di emergenza a breve termine, con poche e certe intese di base. Poi si vedrà: potrebbero esserci delle elezioni anticipate, alla luce di esperienze diverse e potrebbe esserci una diversa maggioranza. Chissà!