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IRAQ E SIRIA

La strana guerra all'Isis

Tante stranezze nella guerra della Coalizione contro l'Isis. Una su tutte: in un anno di raid aerei, nonostante il completo controllo dell'aria, sono stati uccisi solo 2600 miliziani jihadisti. Una perdita colmata molto presto considerando che, in media, ogni mese, un migliaio di foreign fighters vanno ad arruolarsi sotto le bandiere nere.

Esteri 27_06_2015
Raid aereo in Siria

Dopo un anno di guerra della Coalizione contro lo Stato Islamico il Califfo Abu Bkr al-Baghdadi ha segnato ieri una serie di goal che non modificano la situazione in termini politici e militari ma mostrano le capacità dell’ISIS di affermarsi come unico incontrastato protagonista del jihad globale.

Dopo l’appello ai militanti ad attaccare sciiti e infedeli durante il Ramadan, in appena 24 ore le diverse milizie legate al Califfato sono passate ai fatti colpendo in modo sanguinoso in aree molto diverse e lontane. Kamikaze su autobomba e miliziani hanno condotto blitz sanguinosi a Kobane (città simbolo della resistenza curda e della riscossa contro l’IS) e ad Hasaka, città siriana del nord est abitata per lo più da curdi e cristiani e difesa dalle forze di Assad e da milizie curde. Sciiti sotto tiro anche in una moschea a Kuwait City dove un kamikaze ha provocato una quarantina di morti e 200 feriti.

Nel mirino anche gli infedeli europei con l’esplosione in una stazione del gas vicino a Lione dove un uomo è stato decapitato pare da due islamici fedeli al Califfato e la strage di 37 persone in gran parte turisti europei a el-Kantaoui, sulla costa tunisina nei pressi di Sousse. Infine il massacro dei soldati burundesi della forza panafricana in Somalia, fatti a pezzi da un’autobomba dei jihadisti somali Shabab.

Impossibile considerare la serie di attacchi semplici coincidenze e non sottolineare la capacità dello Stato Islamico di coordinare azioni simultanee che ci obbliga a valutare anche in termini operativi/militari e non solo propagandistici l’adesione al Califfato di tanti movimenti qaedisti in Asia e Africa.

Il destino del Califfato sembra però determinato ancora dall’esito del conflitto in Iraq e Siria dove i Paesi della Coalizione non hanno mai lesinato ambiguità e doppio gioco gettando più di un’ombra sulla loro credibilità e su un conflitto per alcuni versi combattuto in modo assurdo e per altri quasi comico.

In termini militari è assimilabile a una barzelletta la notizia che in 9 mesi di raid aerei sulla Siria (meno di 2mila incursioni a dire il vero) la Coalizione ha ucciso appena 2.600 miliziani dell’IS, cioè meno dei volontari che raggiungono l’esercito del Califfato in neppure tre mesi se si considera che si stima un numero di “foreign fighters” in Siria e Iraq di almeno mille unità al mese.

Le cifre sulle perdite dell’IS provocate dalla Coalizione le ha fornite il noto Osservatorio siriano dei diritti umani (Ondus), organizzazione che sta a Londra ma dispone di un’ampia rete di informatori in tutta la Siria, vicina ai ribelli di cui è un importantissimo veicolo di propaganda grazie anche al fatto che viene ripreso quasi sempre in modo acritico dai media internazionali.

In base alle notizie fornite dall’ONDUS il 25 giugno i miliziani jihadisti avevano conquistato Hasaka, In realtà sembra che i difensori abbiano respinto l’attacco ma le truppe del Califfo restano pronte a reiterare l’offensiva.

A dire il vero le ultime notizie dai campi di battaglia risultano un po’schizofreniche. Pochi giorni or sono si celebravano le vittorie dei curdi siriani che con il forte appoggio dei cacciabombardieri americani avevano strappato allo Stato Islamico la città settentrionale di Tal Abyad estendendo l’area sotto il loro controllo lungo un ampia porzione del confine turco e arrivando a conquistare la base militare vicino Ain Issa minacciando la stessa Raqqa, capitale del Califfato, ad appena 50 chilometri di distanza. Una notizia senza precedenti ma che desta non pochi interrogativi. Possibile che siano bastati un pugno di peshmerga curdi e qualche decine di incursioni aeree a mettere in crisi lo Stato Islamico che, secondo Washington, potrà essere sconfitto solo in 4 o 5 anni di guerra?

Al tempo stesso la notizia diffusa da tempo dalla propaganda dell’Ondus e dai media arabi e occidentali circa un’intesa di fondo tra il regime di Bashar Assad e l’ISIS per sconfiggere i ribelli “buoni” (cioè salafiti, qaedisti e fratelli musulmani amici di statunitensi, sauditi, turchi e Qatar) mal si concilia con i contrattacchi governativi nei settori di Palmira e di Hasaka né con i numerosi raid aerei (il quadruplo di quelli della Coalizione) condotti dai jet e dagli elicotteri di Damasco in buona parte contro il Califfato.

Connivenza e complicità con lo Stato Islamico riguardano invece la Turchia che ha ammonito gli Stati Uniti dal fornire supporto aereo ai curdi che consolidando le loro posizioni nel nord di Siria e Iraq potrebbero aspirare alla piena indipendenza del loro Stato. Minaccia che ha indotto da tempo Ankara a strizzare l’occhio al Califfato e qaedisti del Fronte al-Nusra per scongiurare la possibilità che i curdi raggiungano la piena indipendenza. Non è un caso che i curdi abbiano accusato Ankara di aver fatto transitare dal suo territorio i kamikaze dell’IS che hanno attaccato ieri il cuore della città con un’azione lampo.

Che dire inoltre del fatto che il Pentagono ha ammesso di retribuire con cifre variabili tra i 250 e i 400 euro al mese i 5 mila miliziani che addestra in Turchia e Giordania ufficialmente per combattere il Califfato. Si tratta di volontari selezionati da Turchia, Qatar e Arabia Saudita, futuri combattenti dell’Esercito della Conquista, alleanza che riunisce milizie salafite, fratelli musulmani e qaedisti. Forse un giorno combatteranno anche l’IS ma di certo si preparano a far la guerra a Bashar Assad il cui regime sarà poco simpatico ma è l’unico argine che impedisce alla Siria di sprofondare nel medioevo islamista e alla pulizia etnica di tutti i “non sunniti” di dilagare.

Tra i tanti misteri e incongruenze di questa guerra la più macroscopica ha visto lo Stato Islamico del tutto privo di aerei e quasi senza di difese contraeree mantenere l’offensiva in campo aperto per molte settimane e su diversi fronti contemporaneamente in Iraq e Siria, contro un nemico che dispone del totale e incontrastato dominio dell’aria. Nella storia militare, da quando un secolo or sono apparvero sulla scena gli aeroplani, non era mai successo.