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MEDITERRANEO

Libia, le difficili condizioni per un intervento italiano

Il governo smentisce, la stampa continua a parlarne: l'esercito italiano interverrà o no in Libia? Le condizioni non sono ottimali. Il governo di "unità nazionale" di al Sarraj, non gode del sostegno di Haftar (e del governo di Tobruk) e neppure di Tripoli. E l'atteggiamento degli alleati, specie i francesi, è quantomeno ambiguo.

Esteri 27_04_2016
Renzi e al Sarraj

Il Ministero della Difesa ha smentito ieri in modo categorico le indiscrezioni pubblicate dal Corriere della Sera circa l’imminente invio in Libia di 600/900 militari italiani “con funzioni di protezione di alcuni siti sensibili (compresi i pozzi petroliferi) e di addestramento dell’esercito locale”.

Un’ulteriore conferma della prudenza con cui il governo Renzi approccia la sempre più caotica crisi libica. Benché il governo di unità nazionale di Fayez al-Sarraj si stia lentamente consolidando le sfide da affrontare sono ancora molte. Il premier resta nella base navale di Abu Sitta e non sembra in grado di trasferirsi in tempi brevi a Tripoli dove lo minacciano diverse milizie. Gode del supporto, a parole, di tante città e regioni libiche, ma tutte pretendono denaro e aiuti economici in cambio del loro sostegno, mentre sta configurandosi un confronto con l’esercito di Tobruk (il cui parlamento non ha ancora riconosciuto il governo di al-Sarraj) per il controllo della regione della “mezzaluna petrolifera”, al confine tra Cirenaica e Tripolitania, minacciato anche dalle offensive dello Stato Islamico.

In questo contesto Roma sembra comprensibilmente aver fretta di trovare una rapida soluzione al problema dei flussi di immigrati clandestini più che di schierare truppe sul suolo libico. Al vertice G5 di Hannover, Angela Merkel, François Hollande, David Cameron e Barack Obama hanno accolto con favore la proposta di Matteo Renzi di impiegare la flotta della Nato dell’operazione Active Endeavour, che opera nel Mediterraneo Orientale per monitorare movimenti di terroristi o traffico di armi, per assegnarle compiti di sorveglianza davanti alle coste libiche. Un'operazione che integrerebbe l’operazione navale europea Sofia che ufficialmente dovrebbe contrastare i trafficanti di esseri umani (in realtà si limita a imbarcare clandestini e a trasportarli in Italia) e di cui sarebbe "complementare".

Renzi preme perché con al-Sarraj si giunga al più presto a un’intesa simile a quella raggiunta dalla Ue con la Turchia che preveda, nel caso libico, aiuti economici e militari in cambio dello stop ai flussi. Un obiettivo che difficilmente potrà venire conseguito in tempi brevi poiché il nuovo governo libico non controlla Tripoli e neppure la costa della Tripolitania da cui salpano la gran parte dei gommoni diretti in Italia e perché non è certo che al-Sarraj abbia l’autorità di imporre alle tante tribù che incassano denaro dai traffici di esseri umani di cessare un’attività così lucrosa.

Sul piano militare, inoltre, non sarà sufficiente aggiungere un’ennesima flotta alle tante che già operano nel Mediterraneo Centrale e Orientale per fronteggiare l’emergenza migratoria (ve ne sono 3, due flotte europee e una italiana, solo nel Canale di Sicilia) per fermare i flussi almeno finché non sarà possibile colpire i trafficanti nelle acque e sul territorio libico o non verranno autorizzati i respingimenti sulle spiagge libiche dei migranti raccolti in mare dalle navi militari.

Respingimenti sollecitati da tempo da Londra che minaccia di impiegare unilateralmente i Royal Marines per attaccare i trafficanti e che sembrano oggi graditi anche ad Angela Merkel, forse impressionata dal successo del Partito della Libertà austriaco e in cerca di rapide soluzioni per bloccare i flussi migratori illegali diretti soprattutto in Germania. Quanto ad eventuali interventi militari in Libia, le incertezze restano superiori alle certezze. Al-Sarraj non ha ancora formulato richieste precise né ha l’autorità per farlo prima di insediarsi a Tripoli e di aver ottenuto una sempre più improbabile fiducia da parte del parlamento di Tobruk, l’unico riconosciuto dalla comunità internazionale.

Nella Tobruk governata dai laici vicini al generale Haftar non ci si fida d al-Sarraj, sostenuto da forze islamiste legate a Fratelli Musulmani e Salafiti che vengono considerati da Haftar “terroristi” alla stessa stregua dello Stato Islamico. Al-Sarraj ha chiesto aiuto all’Onu e ai Paesi vicini africani ed europei per proteggere i pozzi petroliferi del Golfo della Sirte minacciati dallo Stato Islamico anche se in realtà il nuovo governo libico sembra preoccuparsi più che pozzi e terminal cadano nelle mani di Haftar che ha appena ricevuto armi, munizioni, 650 veicoli e 400 blindati da Egitto ed Emirati Arabi Uniti per sostenere l’offensiva contro lo Stato Islamico e le altre milizie islamiste della Cirenaica.

Nei giorni scorsi la compagnia petrolifera pubblica (Noc) e le milizie che proteggono le installazioni petrolifere (Pfg) hanno espresso il sostegno ad al-Sarraj ma l’esercito di Haftar potrebbe cercare di assumere di nuovo il controllo della regione petrolifera che garantisce i fondi necessari a finanziare la guerra che ha recentemente portato le truppe di Tobruk a liberare Bengasi dopo due anni di battaglia contro le milizie qaediste di Ansar al-Sharia e dei Fratelli Musulmani. Di fatto il nuovo governo libico, sostenuto dalla comunità internazionale e dalle milizie islamiste della Tripolitania, rischia di prendere il posto del governo islamista di Tripoli nel combattere le forze laiche di Tobruk continuando così quella guerra civile che sta favorendo l’espansione dello Stato Islamico e che proprio l’insediamento di al-Sarraj avrebbe dovuto interrompere.

Un contesto che induce tutti ad essere prudenti rispetto all’invio di truppe occidentali sul terreno, che potrebbe essere limitato a poche centinaia di uomini (forse 150 italiani) per proteggere la base della missione dell’Onu quando e se riuscirà a trasferirsi a Tripoli. Al di là del sostegno al governo di al-Sarraj, ribadito anche al vertice di Hannover, nessuno infatti si sbilancia in termini di disponibilità militare. La Francia si è limitata ad annunciare di essere pronta a sostenere il governo di unità nazionale per garantire la sua "sicurezza dei mari". Frase sibillina, ma del resto la Francia è impegnata in un doppio gioco molto funzionale ai suoi interessi in Libia. Ufficialmente appoggia al-Sarraj ma nei fatti sostiene l’esercito di Haftar con 160 militari delle forze speciali schierate segretamente da mesi (ma la stampa francese e libica li hanno da tempo smascherati) a Bengasi.