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ITALIA-INDIA

Marò, si ricomincia da zero

Il governo italiano ricorre all’arbitrato internazionale sul caso dei fucilieri di Marina Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, nel quadro della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. Lo ha annunciato il 26 giugno la Farnesina. Ma non era possibile pensarci due anni fa? Ora si riparte da zero.

Esteri 01_07_2015
Marò

Il governo italiano ricorre all’arbitrato internazionale sul caso dei fucilieri di Marina Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, nel quadro della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. Lo ha annunciato il 26 giugno la Farnesina in una nota in cui si precisa che la decisione, sollecitata dal Parlamento, è stata presa a conclusione della necessaria fase negoziale diretta con l’India e di fronte all’impossibilità di pervenire a una soluzione della controversia.

In realtà il governo aveva già annunciato l’anno scorso il ricorso all’arbitrato salvo poi smentirsi e precisare che aveva solo preparato l’avvio della procedura preferendo puntare su un negoziato rivelatosi inconcludente. La decisione consente a Roma di trattenere ancora Massimiliano Latorre la cui convalescenza era in scadenza e avrebbe dovuto rientrare in India entro metà luglio. Salvatore Girone è ancora in India e l’Italia chiederà immediatamente l’applicazione di misure che ne consentano il rientro in Patria in attesa che prenda corpo l’iter della procedura arbitrale. Da parte italiana, ha ribadito la Farnesina, vi sarà un impegno a tutto campo per far valere con la massima determinazione le ragioni a fondamento della nota posizione italiana sulla giurisdizione e sull’immunità. 

La decisione del governo Renzi era quanto mai necessaria ma è senza dubbio tardiva ed espone il governo alle critiche dell’opposizione che rimprovera ai tre governi che si sono succeduti (Monti, Letta e Renzi) di aver perso tempo rinunciando all’arbitrato fin dall’inizio della vicenda adducendo la lentezza dei tempi previsti. 

La svolta italiana non ha provocato per ora reazioni in India dove il portavoce del ministero degli Esteri, Vikas Swarup, ha detto semplicemente che "siamo a conoscenza di questo sviluppo e i nostri esperti legali lo stanno esaminando". In pratica la stessa risposta fornita dall’India nell’ottobre scorso quando l’Italia propose una soluzione negoziata. Da allora la vicenda è sprofondata nel silenzio più totale e pare che a gestire i negoziati sia stato inviato in India il sottosegretario con delega ai servizi segreti Marco Minniti. 

Circa i possibili sviluppi l’India non può sottrarsi all’arbitrato in quanto Stati firmatario della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos). Angela Del Vecchio, docente di Diritto Internazionale all'Università Luiss di Roma ha spiegato all’Adnkronos che "la convenzione prevede che si possano soltanto sottoporre a questo arbitrato questioni che sono regolate dalla convenzione stessa". Una specifica da fare, perché "sottolinea che non è applicabile la norma sulla immunità funzionale" che impedisce di attribuire responsabilità personali all’operato di militari in servizio.

L'oggetto del contendere tra Italia e India è la competenza sul giudizio dei due fucilieri. "L'India - continua Del Vecchio - dice di avere competenza di giudizio sui fatti riguardanti i marò, mentre l'Italia ritiene che i fatti siano avvenuti in acque internazionali su una nave italiana, compiuti da militari italiani, quindi di competenza del nostro Paese. E' questo che dovrà giudicare l'arbitrato internazionale". Con l'arbitrato ci si rivolge quindi a un giudice terzo, non di parte. Circa la tempistica il procedimento di preparazione dei lavori dura 90 giorni. 

Il Paese che fa richiesta di arbitrato - spiega l'esperta - deposita la sua domanda presso il Tribunale internazionale del diritto del mare, che ha sede ad Amburgo. Insieme alla domanda, solitamente il richiedente indica anche il proprio arbitro nella controversia, che solitamente è un esperto di diritto del mare: un professore di diritto internazionale, un diplomatico oppure un ambasciatore". 

Non si sa ancora chi nominerà Roma. "Di fronte alla richiesta, l'India ha 30 giorni di tempo per nominare un suo arbitro", sottolinea la professoressa Del Vecchio. "Dopo questo  passaggio sono previsti ulteriori 30 giorni nei quali le parti, di comune accordo, scelgono altri tre arbitri. Una volta che l'Italia ha presentato la domanda, se anche l'India dovesse sottrarsi all'obbligo di nominare un proprio arbitro e di concorrere alla nomina di altri tre arbitri con l'Italia, la controversia andrebbe avanti lo stesso: gli arbitri verrebbero nominati dal presidente del Tribunale internazionale del mare". Dopo il termine di 90 giorni è quindi costituito il Tribunale internazionale arbitrale, formato da cinque  giudici, e cominciano i lavori sulla controversia, "che nel caso dei marò potrebbero durare anche due anni".

Tempi lunghissimi soprattutto per Girone che continua a vivere all’ambasciata italiana a Delhi. Fin dalla domanda di arbitrato l'Italia può chiedere il rilascio dei due fucilieri. "In questo caso - dice Del Vecchio - il tribunale internazionale del diritto del mare agisce subito e sospende i lavori per pronunciarsi con estrema rapidità". Secondo l’esperta è però difficile che il tribunale accetti di rinnovare la permanenza di Latorre in Italia o il rimpatrio di Girone perché apparirebbero decisioni di parte.

Tuttavia “potrebbe decidere di spostarli dall'India e trasferirli in zone neutre, come Parigi o Bruxelles, in attesa del pronunciamento dell'arbitrato". Una nota polemica sulla gestione dell’intera vicenda l’ha aggiunta nei giorni scorsi l’ammiraglio Rinaldo Veri , nell’intervento con cui ha lasciato il servizio attivo e la direzione del Centro Alti Studi Difesa. Nato a Bombay nel 1952 da madre indiana e padre italiano, Veri ha vissuto in India 14 anni e non ha mai perso i contatti, anche ad alto livello, con quel Paese. L’ammiraglio ha più volte messo a disposizione la sua competenza in materia (l’ultima nel novembre scorso) per aiutare a trovare una soluzione. Non ha mai neppure ottenuto risposta, come ha detto lui stesso in un’intervista al quotidiano Il Tempo.

“Un mio rimpianto risiede proprio nel non aver potuto, mettendo a profitto queste mie origini, contribuire alla causa, pur possedendo il vantaggio inconfutabile di conoscere la realtà sociale, culturale e relazionale con la gente e le istituzioni di quel Paese”. L’intervento di Veri avrebbe potuto fare la differenza?  Lui ritiene di si e in ogni caso tentare non avrebbe comportato rischi specie considerando la maldestra improvvisazione che ha caratterizzato premier, ministri e inviati speciali coinvolti nella vicenda dei due marò.