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NUOVA ZELANDA

Quei gesti inopportuni di solidarietà dopo Christchurch

Christchurch, la solidarietà mostrata dalla cittadinanza alla comunità musulmana indica l’estraneità della società neozelandese all’ideologia del suprematista bianco "Eco-fascista" che ha compiuto il massacro. Ci sono tuttavia vari modi di mostrare solidarietà. Indossare il velo e recitare il Corano in Parlamento, non sono i modi più opportuni.

Libertà religiosa 29_03_2019
Jacinda Ardern

La prima reazione dei neozelandesi di fronte all’attentato nelle due moschee di Christchurch, il 22 marzo, è stato quello di stringersi attorno alla locale comunità musulmana. La solidarietà, doverosa, è volta a sottolineare l’estraneità completa della società neozelandese all’ideologia del suprematista bianco "Eco-fascista" che ha compiuto il massacro, causando la morte di 50 fedeli musulmani in preghiera. Ci sono tuttavia vari modi di mostrare solidarietà. Alcuni possono legittimamente essere definiti come “inopportuni”. In Nuova Zelanda, almeno due dei modi di ricordare le vittime hanno suscitato non poche perplessità. La prima è stata la recita di un’invocazione del Corano in Parlamento, a soli due anni dalla rimozione di ogni riferimento a Gesù (e alla regina). La seconda è stata l’iniziativa della premier laburista Jacinda Ardern e di molte donne neozelandesi, di indossare il velo islamico, anche per più giorni, per identificarsi con la comunità vittima della strage. Un modo per dire “je suis…” non solo a parole e sui social, ma anche coi fatti. Encomiabile, a prima vista, ma con un messaggio controproducente che non tutti colgono.

Partendo dalla prima controversia, la recita del Corano in Parlamento, sarebbe assolutamente naturale se non fosse finita in mezzo al dibattito sulla rimozione del Vangelo, per motivi di garanzia di maggior laicità. La nuova maggioranza laburista ha rimosso ogni menzione a Gesù e alla regina Elisabetta II (la Nuova Zelanda è membro del Commonwealth britannico) dal “Te reo karakia”, il momento di preghiera. La decisione avrebbe dovuto essere preceduta da un periodo di riflessione e dibattito, ma lo speaker della Camera, Trevord Mallard, ha anticipato i tempi e subito dopo la formazione del nuovo governo aveva rimosso subito ogni riferimento al cristianesimo. Già il 30 gennaio 2018, due mesi dopo la riforma laica, centinaia di manifestanti cristiani avevano protestato di fronte alla sede parlamentare, con canti religiosi e preghiere. Il 30 ottobre 2018, un’altra manifestazione di fronte al Parlamento aveva riacceso l’attenzione sulla questione, senza ottenere alcuna risposta. Dopo il massacro di Christchurch, la preghiera è tornata nel laicissimo parlamento a maggioranza laburista: non la preghiera cristiana, ma quella musulmana. Ribadendo il principio, ormai tipico di ogni movimento progressista occidentale, che la religione è ammessa solo a seguito di una tragedia, specie se la religione in questione non è cristiana e ancor di più se è l’islam.

La premier laburista neozelandese, Jacinda Ardern, ha dato lei stessa l’esempio indossando il velo islamico, in pubblico, durante la cerimonia funebre delle vittime. Molte altre donne neozelandesi hanno indossato il velo islamico, per solidarietà, per più di un giorno. Cosa c’è di male in questo modo di esprimere solidarietà? C’è molto da dire, in realtà, come rileva Kamel Abderrahmani, il cui parere di studioso islamico è stato riportato ieri dall’agenzia Asia News. “Coprirsi con il velo come segno di solidarietà con le vittime musulmane potrebbe avere diverse interpretazioni – scrive Abderrahmani - Il gesto consegna la donna alla sua condizione religiosa. Vale a dire, si riduce la donna musulmana a colei che è velata. Questo mette in discussione la battaglia di quelle donne musulmane che ogni giorno combattono contro l'imposizione del velo da parte delle loro società. Donne che vengono picchiate e colpite da un padre, da un fratello, da un marito o addirittura da un vicino perché non sono velate. Donne che sono quotidianamente soggette alla misoginia religiosa. Inoltre, vorrei anche sottolineare che al giorno d’oggi il velo è anche un segno di dominio islamista”.

Anche in questo caso, a risultare particolarmente irritante è il tempismo. La comunità dei difensori dei diritti umani (da Amnesty a Human Rights Watch) ha infatti appena protestato per la condanna a 33 anni di carcere e 148 frustrate di Nasrin Sotoudeh. La cui colpa è di aver difeso in tribunale, da avvocato, le donne iraniane che si sono tolte il velo islamico.