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REFERENDUM

“Si” e “No”: l’impossibile par condicio

Sul referendum costituzionale i risvolti mediatici delle contrapposizioni saranno decisivi per la prevalenza dei “Si” o dei “No”. E qui si riapre la querelle sulla par condicio e sul pluralismo dei media durante i periodi pre-elettorali. Le incognite nell'applicazione della par condicio sono diverse.

Politica 29_09_2016
Il 4 dicembre si svolgerà il referendum sulla riforma costituzionale

Mentre Renzi preannuncia un suo tour per spiegare agli italiani le ragioni del “Si” alla riforma costituzionale, il fronte del “No” grida allo scandalo per non essere stato consultato sulla data del voto. Ma le schermaglie riguardanti la fissazione di una data molto lontana sembrano ormai destinate a lasciare il posto alle discussioni sul merito della riforma. 

Riduzione dei costi della politica e del numero dei parlamentari, semplificazione dei meccanismi decisionali e legislativi, abolizione del Cnel tra gli argomenti “forti” di chi invita a votare “Si”. Riforma di facciata che non garantisce stabilità e non procura grandi risparmi alle casse dello Stato, riforma pasticciata che non elimina il Senato ma lo trasforma in un luogo di ritrovo di sindaci e amministratori locali, riforma che prepara grandi conflitti istituzionali e paralisi nel processo di emanazione delle leggi sono invece tra le ragioni che spingono in molti a votare e a far votare “No”.

La campagna referendaria sta già entrando nel vivo, i sondaggi si rincorrono e danno i “No” in leggero vantaggio, ma con un 30% di indecisi, platea verso la quale si indirizzano gli sforzi di persuasione del premier e dei suoi. Il ministro Maria Elena Boschi è volata addirittura a Buenos Aires per sponsorizzare la sua riforma presso gli italiani che vivono li’ e subito è divampata la polemica sui soldi pubblici utilizzati a fini di propaganda. Ma il prevedibile testa a testa fino al giorno del voto sarà amplificato dal clamore mediatico che inevitabilmente accompagnerà questi due mesi abbondanti che ci separano dall’appuntamento con le urne. 

D’altronde, non è in gioco solo la riforma Boschi ma anche la tenuta del governo e, secondo alcuni, perfino la vita della legislatura. Va da sé che i risvolti mediatici delle contrapposizioni saranno decisivi per la prevalenza dei “Si” o dei “No”. E qui si riapre la querelle sulla par condicio e sul pluralismo dei media durante i periodi pre-elettorali. Le incognite nell'applicazione della par condicio sono diverse. Quella legge è stata emanata nel duemila su input del centrosinistra, che governava a fatica e fiutava aria di sconfitta alle elezioni del 2001. Per frenare la presunta sovraesposizione mediatica di Berlusconi si inventò una legge ispirata certamente a un criterio democratico di eguaglianza sostanziale nella gestione degli spazi di propaganda politica, ma scritta in maniera contorta e dunque difficile da applicare e da far rispettare.

Oggi quelle difficoltà applicative si ripropongono in maniera vistosa, anche in ragione della dilagante espansione della Rete, che mette in crisi il concetto di rigida ripartizione degli spazi di propaganda. Nel caso specifico del referendum, poi, ci sono anche delle particolarità che balzano nitidamente agli occhi degli attenti osservatori. Mentre il fronte del “Sì” appare più coerente e coeso, facendo capo all'universo governativo, il fronte del “No” è assai più variegato e disomogeneo, essendo composto da forze politiche che hanno molto poco in comune e si trovano temporaneamente dalla stessa parte della barricata solo per opporsi a una riforma che reputano sbagliata e a un governo che giudicano inadeguato e dannoso per il Paese.

Nella misurazione degli spazi di propaganda, però, chi sceglierà se a parlare per il fronte del “No” dovrà essere Brunetta o Di Maio, Salvini o D'Alema? Considerato che tutti i partiti anti-riforma, dai Cinque stelle alla Lega, puntano a intestarsi l'eventuale vittoria dei “No”, non risulterà impervio imbavagliare a turno l'uno o l'altro per evitare una sovraesposizione dello schieramento del “No”?

Altro problema: l'informazione cosiddetta istituzionale e di servizio, cioè quella mirata a spiegare ai cittadini come si vota e per cosa si vota, si baserà sulla illustrazione del quesito referendario che, tuttavia, a detta dei sostenitori del “No”, è tendenzioso e sbilanciato in favore del “Sì”. Gli spazi di questa propaganda "istituzionale" non verranno formalmente conteggiati in quota fronte del “Sì”, ma certamente aiuteranno quest'ultimo. E c'è da scommettere che scoppierà la bagarre. Infine, la Rete. Impossibile far rispettare la par condicio in internet, tanto più sui social network, che sono più che mai il trionfo della libertà d’espressione. Chi ha  milioni di follower su twitter o di “amici” sui suoi vari profili di facebook certamente raggiungerà un maggior numero di persone rispetto a chi non ha grande familiarità con quegli strumenti.

Impossibile, quindi, evitare disparità in quell’ambito di notizie pubblicate dai giornali on line e poi linkate sui social network con commenti e interpretazioni. La propaganda referendaria, quindi, passerà soprattutto attraverso canali insondabili, incontrollabili e ingestibili sul piano della parità di trattamento. Questo rende decisamente più incerta la battaglia e ancora più ardua l’opera di vigilanza dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Non è difficile immaginare una coda di ricorsi e denunce per violazione delle norme della par condicio nel campo dei media tradizionali, mentre nella giungla di internet vincerà chi saprà essere più incisivo e persuasivo, capitalizzando l’ontologica “anarchia” dell’ambiente virtuale.