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Il caso di “Marco”

Trans incinta al 5° mese, la femminilità non si cancella

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Una donna che non accettava il suo corpo femminile avvia il processo fatto di ormoni e mastectomia per “diventare” un uomo. Ma un rapporto sessuale la fa restare incinta. Un figlio in grembo che ricorda che la natura non cambia.

Vita e bioetica 22_01_2024
Foto generica (da rawpixel.com, licenza CC0 1.0 Deed) di donna incinta

Marco è incinto. Non è un remake nostrano di Junior, commedia americana dove Arnold Schwarzenegger rimaneva incinto. Nemmeno stiamo parlando del caso in cui alcuni ricercatori sono riusciti alla fine ad impiantare un utero in un uomo. Bensì si tratta della vicenda, raccontata da Repubblica - Roma, di una donna – nome di fantasia Anna – che non accettava il suo corpo femminile e così ha dato inizio ad un processo di transizione fatto di ormoni e mastectomia per “diventare” Marco. Ma ecco che quando i medici si stavano apprestando a togliere l’odiato utero hanno scoperto che la donna era incinta da ben cinque mesi. Dunque la notizia non c’è, dato che stiamo parlando di una donna che è in dolce attesa, a meno che, giustamente, non sia sempre una bella notizia ogni volta che un bambino viene concepito.

La morale di questa storia ha più facce. Gli uomini e le donne possono anche tentare, inutilmente, di cambiare sesso, ma madre natura non cambierà mai sesso e rimarrà per sempre madre, ossia per sempre donna, testardamente incline a generare e a far generare. I Frankenstein del gender possono anche peritarsi di modificare le fattezze da femminili in maschili, ma madre natura a volte ama sparigliare le carte. E così questa volta ha deciso di ricordare in modo prepotente ad Anna che è donna e di regalarle il più bel premio per essere tale: un figlio.

Ma in fondo è la stessa Anna ad aver celebrato ben prima l’eterosessualità e dunque la sua femminilità, decidendo da donna di avere un rapporto con un uomo. Perché la carne è debole e a volte è una fortuna. Un rapporto quindi vissuto pienamente da donna seppur fosse già, come si dice oggi, in transizione, in viaggio, sempre più lontano da se stessa. La natura quindi chiama e l’uomo o la donna possono anche non rispondere, ma la natura continuerà a chiamare e a farsi presente. A volte in modo così pregnante – e l’aggettivo non è scelto a caso – da far covare «dentro l’urna molle e segreta, non so che felicità nuova», per dirla con il Pascoli de Il gelsomino notturno.

È una sorta di rivincita dello stato naturale delle cose, dell’ordine della ragione, della fisiologia delle attrazioni, della normalità dei sentimenti, della logica del buon senso contro l’artificiosità dei capricci, il disordine della follia, la patologia delle perversioni, la disabilità delle emozioni, il controsenso del senso comune. Puoi strapparti il seno e l’utero, ma non potrai mai strapparti di dosso la tua femminilità, cancellare la tua identità di donna perché questa, al pari di quella maschile, nasce prima nell’anima e poi si imprime nelle carni. La guerra alla realtà è alla fine sempre perdente.

Giulietta implorava così il suo Romeo: «Rinnega tuo padre; e rifiuta il tuo nome» (Giulietta e Romeo, atto secondo, scena seconda). Quale inconsapevole e trascendente intuizione di Shakespeare. Chi rinnega il Padre, quello che è nei Cieli, rifiuta automaticamente il proprio nome. Quello innanzitutto di figlio voluto e redento da Dio, ma poi tutti i nomi propri: la propria vocazione, il proprio destino, il proprio ruolo sociale e infine addirittura il proprio nome di battesimo, il nome con cui verrai chiamato da Dio quando morirai, e con quello anche il proprio Io. Non più Anna, ma Marco.



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