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OTTOCENTO DA RISCOPRIRE/XXIV

X agosto, le stelle che cadono nel mistero di iniquità

Nella poesia X agosto emergono in modo prepotente lo sguardo del bambino, il simbolismo e il senso nostalgico della vita. Il poeta affronta il tema del mistero della vita, del male, della morte e del dolore in un componimento che appare uno dei più composti, come se Pascoli cercasse di trovare risposta al mysterium iniquitatis.

Cultura 27_08_2017

Lo sguardo del fanciullo, a detta di Pascoli, vede la realtà e, nel contempo, ne scopre un’altra cogliendo richiami sorprendenti che danno pieno significato ad oggetti ed elementi della natura che altrimenti sarebbero insignificanti. In questo modo la realtà parla, comunica una pienezza che travalica la superficie di quanto si vede epidermicamente.

È un processo esattamente opposto a quello nichilistico di svuotamento della realtà, quello che descrive Moravia alcuni decenni più tardi nel romanzo La noia in cui il protagonista Dino non riesce più ad entrare in contatto con nulla, persone od oggetti che siano. Quando l’uomo non entra in rapporto con la realtà? Quando non riesce a cogliere il mistero che sta oltre il visibile. Se gli occhi umani si sorprendono a guardare in maniera nuova la realtà, come se fosse la prima volta che la guarda, allora coglie quel fremito di vita che pulsa nelle cose e nelle persone. Il nostro cuore inizia a palpitare sorpreso e grato perché la realtà c’è e ci viene offerta come un dono. La realtà appartiene realmente a chi sa apprezzarla e coglierla come dono.

Nella poesia «X agosto», appartenente sempre alla prima raccolta Myricae, emergono in modo prepotente lo sguardo del bambino, il simbolismo e il senso nostalgico della vita. La poesia descrive la notte di San Lorenzo, quella delle stelle cadenti: «San Lorenzo, io lo so perché tanto/ di stelle per l’aria tranquilla/ arde e cade, perché sì gran pianto/ nel concavo cielo sfavilla.// Ritornava una rondine al tetto:/ l’uccisero: cadde tra spini:/ ella aveva nel becco un insetto:/ la cena de’ suoi rondinini.// Ora è là, come in croce, che tende/ quel verme a quel cielo lontano;/ e il suo nido è nell’ombra, che attende,/ che pigola sempre più piano.// Anche un uomo tornava al suo nido:/ l’uccisero: disse: Perdono;/ e restò negli aperti occhi un grido:/ portava due bambole in dono…// Ora là, nella casa romita,/ lo aspettano, aspettano in vano:/ egli immobile, attonito, addita/ le bambole al cielo lontano.// E tu, Cielo, dall’alto dei mondi/ sereni, infinito, immortale,/ oh! d’un pianto di stelle lo inondi/ quest’atomo opaco del Male!».

Pubblicata per la prima volta solo nel 1896 sulla rivista «Il Marzocco», «X agosto» non compare evidentemente già nella prima edizione di Myricae, ma solo dalla quarta.

Il poeta affronta il tema del mistero della vita, del male, della morte e del dolore in un componimento che appare uno dei più composti, equilibrati e simmetrici della raccolta, come se attraverso la forma metrica ben proporzionata Pascoli cercasse di razionalizzare e trovare risposta al mysterium iniquitatis, il mistero del male e del dolore.

Secondo la leggenda popolare le stelle cadenti della notte di san Lorenzo sono il pianto del santo che commisera la condizione umana, la fragilità, la mortalità, la cattiveria. Il 10 agosto ha un significato particolare nella vita di Pascoli, perché è l’anniversario dell’assassinio del padre. Così, il pianto del santo non riguarda solo l’umanità universale, ma la condizione del poeta e della sua famiglia. In quell’apostrofe al santo che apre la prima quartina di decasillabi e novenari Pascoli sta dichiarando che lui ha conosciuto bene l’esperienza della sofferenza, del dolore, dell’ingiustizia che colpisce chi perde anzitempo una persona cara, perché sottratta con la violenza e la malvagità. Il «concavo cielo» è compartecipe delle sciagure umane, inondandole con il suo pianto.

Nel cuore della poesia, in modo simmetrico si dispongono due parabole o racconti: due storie analoghe nell’intreccio e nel destino finale dei protagonisti. Le due vicende appartengono al cosmo, sono accadute e chissà quante altre volte accadranno ad asserire la presenza del male nell’universo.

La prima parabola narra di una rondine che ritorna a casa e viene uccisa mentre sta portando la cena ai rondinini. Cade a terra, rimane come in croce, come Cristo vittima innocente. Sembra rivolgersi al Cielo per chiedere le ragioni di quel fatto, di quell’ingiustizia subita. La rondine è come antropomorfizzata, rappresenta ciascuno di noi che si rivolge a Dio, quando soffre, chiedendo il perché. Che senso ha che i piccoli debbano pagare con la morte aspettando l’inutile arrivo della madre? «Il nido», simbolo positivo nella poesia pascoliana, tentativo di arginare la scomparsa dei cari e di rintanarsi in un luogo di protezione e di affetto, a causa della scomparsa della rondine è destinato ad una prossimo morte. Le scene sono come i fotogrammi di una sceneggiatura, divisi dal segno di punteggiatura dei due punti.

La seconda parabola è analoga alla prima e racconta il mondo degli uomini: alcuni sono ligi al dovere, devoti agli affetti, attaccati al nido; altri, dimentichi dei buoni sentimenti, compiono atti di malvagità. Un padre di famiglia (è facile riconoscere le vicende autobiografiche del poeta) torna a casa portando due bambole in dono. Prima di morire chiede scusa. Le azioni sono separate dai due punti, anche in questa parabola, come se fossero fotogrammi. Quell’uomo vuole essere perdonato per tutto il male che può aver compiuto, magari inconsapevolmente, per il bene che avrebbe potuto compiere, ma non ha compiuto. L’uomo autentico, di fronte alla morte, riconosce la propria pochezza e la propria inadeguatezza, l’incapacità ad amare.

Il padre è come se rivolgesse al Cielo la domanda: «Perché?». Per quale ragione un uomo non può ritornare a casa dai familiari? Perché la cattiveria può spezzare una vita innocente? La risposta (potremmo dire noi) va ricercata nel mistero della libertà dell’uomo. Ma il Cielo non risponde o almeno così sembra, in questi versi: è «lontano», separato dalla Terra, non toccato dalla morte, come la Luna del leopardiano «Canto notturno». Non può far altro che inondare con il pianto delle stelle il nostro pianeta, definito «atomo opaco del male», piccolo e, al contempo, cattivo. Questa è la compartecipazione del Cielo al dolore dell’uomo: non un abbraccio o una condivisione quotidiana, ma un segno visibile nella volta stellata. 

Sulle antologie scolastiche la poesia «X agosto» è divenuta emblematica della posizione religiosa di Pascoli. La prossima volta vedremo come la sua visione religiosa non può essere così ridotta e banalizzata. Attraverseremo componimenti come «Viatico» o «Angelus» o sezioni come «La buona novella» (appartenente alla raccolta I poemi conviviali) o scopriremo un Pascoli poco conosciuto, dalla fede certa.