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LETTERA

Aggiornare la fede con il pensiero moderno? Già fallito

Riprendendo l'intervento di monsignor Antonio Livi a proposito della diffusione di eresie nella Chiesa cattolica, vale la pena approfondire con la lettura dei saggi contenuti in "teologia e magistero oggi" dove vengono riproposti i fondamenti della fede cattolica che fanno da contraltare al relativismo modernista. 

Ecclesia 14_08_2017
Teologia

Caro direttore,

faccio riferimento alla lettera aperta di mons. Antonio Livi dell’8 agosto scorso, festa universale di san Domenico. Come egli ha scritto benissimo, ognuno di noi è chiamato ad avere la “coscienza del proprio dovere davanti a Dio”. 

Ma non solo. Oggi dobbiamo ricuperare la coscienza della preziosità di quanto ci è stato consegnato, insieme alla nostra Fede, nel Battesimo. La possibilità di realizzare la nostra umanità in pienezza, secondo il progetto di Dio che ci vuole felici, il pieno compimento della nostra ragione, lo sviluppo maturo della santità, in conformità con la personalità di Cristo, la prospettiva di una socialità umana, del Regno di Cristo, sicut in coelo et in terra, dove pulsi la Carità stessa di Dio, in virtù della grazia divina riversata nei cuori.

Questi sono i fondamenti che vengono richiamati nel primo quaderno della collana Divinitas Verbi, edito da poco dalla casa editrice Leonardo da Vinci, dal titolo Teologia e magistero oggi. Si mette in evidenza qui che il relativismo dilagante in certa teologia di stampo modernista ha fatto prevalere le opinioni personali o gli interessi mondani così che essa ha finito per ergersi a “giudice” del Magistero e della Tradizione, smarrendo in tal modo la sua funzione, contraddicendo al suo proprio compito. 

Le posizioni relativistiche che dissolvono l’autorità del Magistero, della Tradizione, e di conseguenza anche della Scrittura, in definitiva, finiscono per imporre un’«autorità» diversa, quella del teologo aggiornato, del mondo con le sue mode e “voglie” passeggere. E’ il riferimento, invece, ai dati oggettivi, che ci superano e che ci “obbligano” tutti, che ci libera dalla pretesa di pochi di imporre l’umanitarismo ateo, indifferentista, “la religione globale”. Non sta scritto da nessuna parte, infatti, che, per fare spazio al prossimo nel nostro cuore, saremmo chiamati a rinunciare alle Verità insegnateci da Cristo, a venire meno alla Carità verso Dio. Il richiamo al Magistero, rettamente interpretato, poi, ci libera anche dallo zelo amaro di chi, in un clima di diffusa confusione, crede di rendere un buon servizio alla Chiesa mediante critiche a ecclesiastici, prive della preparazione necessaria e talvolta irrispettose. 

Il riferimento costante ai criteri veri (oggettivi, validi) e ai principi universali (validi per tutti e per tutti i tempi), al retto uso della ragione, deve sempre ispirare ogni cattolico preparato e ogni studioso di cose sacre, perché aiuta a rasserenare gli animi, a confermare nella vera fede e a preparare alla “buona battaglia”, nell’equilibrata difesa della verità e del Vangelo, del Papa e del Magistero.  

In questo quaderno di Divinitas Verbi, infatti, si spiega la natura del ruolo del Papa, il senso dell’infallibilità e come viene esercitata, e, nel contempo, si aiuta a comprendere il valore e il significato dei testi magisteriali, che cosa vogliono insegnare e che cosa comandano, come valutare in modo corretto i testi non chiari o ambigui. Tutto questo con l’intento di interpretazione scientifica corretta e serena, così necessaria oggi sia per evitare ogni indebita discussione o ermeneutica inattinente, sia per placare un’animosità sempre crescente in molti ambienti “cattolici”, segno di scarso riferimento alla retta ragione.  

Vorrei peraltro ricordare che già molti anni fa la voce di Paolo VI si alzava chiara per denunciare quanto Antonio Livi ribadisce da tempo: «Non saremmo fedeli all'univocità della Parola di Dio, al Magistero, che ne deriva, della Chiesa, se ci arrogassimo la licenza d'un «libero esame», di un'interpretazione soggettiva, d'una subordinazione della dottrina definita ai criteri delle scienze profane, e tanto meno alla moda dell'opinione pubblica, ai gusti e alle deviazioni... della mentalità speculativa e pratica della letteratura corrente» (Paolo VI, Insegnamenti, VI, 1969; Tip. Pol. Vat., 1970, p. 957).

Livi non manca di segnalare spesso la fonte di tali insegnamenti teologici problematici. Karl Rahner, invero, scrive: «...Dinanzi all'esperienza della fede e alla teologia dei nostri fratelli riformati noi abbiamo il dovere di prendere il più possibile sul serio il principio protestante della sola Scrittura, perch'esso sottintende un'esperienza religiosa autentica, e a mio avviso, una tradizione teologica egualmente autentica, che risale al passato cattolico». E ancora:. «L'unità dell'oggetto della fede, ...rende perlomeno inverosimile e inammissibile, dal punto di vista religioso, l'ipotesi di due fonti di fede, di due trasmissioni della fede materialmente diverse, una chiamata Scrittura, e l'altra tradizione». (K. Rahner, Sacra Scrittura e Tradizione, in «Nuovi Saggi I», Ed. Paoline, Roma 1968, pp. 192 e 197).

Peccato che lo sforzo di una certa teologia di “aggiornare” la fede sul modello del pensiero moderno abbia manifestato già da tempo il suo fallimento. Sia perché si rifà ad impostazioni filosofiche di almeno due secoli fa (Rahner si richiama ampiamente ad Hegel nato nel 1770 e morto nel 1831), sia perché queste sono nate vecchie, a causa della povertà del loro messaggio fondato su di un soggettivismo autoreferenziale, solipsistico, privo di riferimento alla realtà fino all’esaltazione del dubbio per il dubbio, dell’assurdo, del contraddittorio in quanto tale. La condanna, in definitiva, del pensiero umano all’inconcludenza. Quel fenomeno che Antonio Livi chiama “il suicidio della teologia” (Teologia e Magistero oggi, p. 79).