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PAKISTAN

Asia Bibi è libera e all'estero. Il silenzio stampa l'ha salvata

Asia Bibi ha lasciato il Pakistan. La donna cristiana accusata di blasfemia è libera dallo scorso novembre, rimasta in una località segreta, mentre il governo fronteggiava l'ondata crescente delle proteste islamiste e ne arrestava i leader. Il lungo silenzio sul suo caso è servito a far sbollire la tensione e a salvarla: ora è in Canada al sicuro.

Libertà religiosa 09_05_2019
Islamisti in marcia per impiccare Asia Bibi

Asia Bibi ha lasciato il Pakistan. La notizia è ufficiale. È stata confermata dal Ministero degli affari esteri pakistano l’8 maggio: “Asia Bibi – ha dichiarato una fonte ministeriale – è una donna libera e se ne è andata di sua volontà”.  Il governo non ha rivelato la sua destinazione né quando fosse partita, ma il suo avvocato, Saif ul Mallok, ha confermato alla Bbc che adesso si trova in Canada dove si è ricongiunta con due figlie che già da mesi hanno ottenuto asilo nel paese.

Finalmente è al sicuro, per quanto possa esserlo una persona su cui da dieci anni gli integralisti islamici hanno concentrato risentimento e odio, credendola rea di blasfemia per aver insultato il profeta Maometto. È questa l’accusa che ne ha deciso il destino, formulata nel giugno del 2009 dalle sue compagne di lavoro musulmane dopo un diverbio. Mentre con loro lavorava in un campo, qualcuno le aveva chiesto di andare ad attingere dell’acqua, ma le operaie avevano protestato dicendo che lei non era musulmana e perciò non aveva il diritto di toccare il secchio dell’acqua. Pare che lei abbia difeso Gesù e la propria fede: “il mio Gesù ci ha salvati – avrebbe replicato – che cosa ha mai fatto per voi il vostro Profeta?”. La lite sembrava finita e invece alcuni giorni dopo alcune compagne l’hanno denunciata, sostenendo oltre tutto che avesse offeso il Profeta di fronte a una folla di 25 persone. Asia era quindi stata prelevata dagli agenti di polizia e condotta in carcere dove è rimasta fino all’autunno del 2018 quando la Corte suprema, nell’ultimo grado di giudizio, l’ha definitivamente assolta.

Nel 2010, nonostante le contraddizioni, le incongruenze e le irregolarità rilevate nelle testimonianze raccolte, che difatti alla fine hanno indotto i giudici a dichiarare che il fatto contestato non sussisteva, era stata condannata a morte, la prima donna in Pakistan a rischiare la pena capitale per aver commesso blasfemia. 

La notizia della sua assoluzione ha provocato in alcune delle principali città del paese manifestazioni violente, organizzate dai due più importanti partiti islamisti: il Tehreek-i-Labbaik Pakistan, Tpl, e il Tehreek-e-Labbayk Ya Rasool Allah. La capitale Lahore è stata bloccata per tre giorni dalle proteste. È iniziato un tesissimo braccio di ferro, vinto alla fine dal governo che nella notte del 24 novembre 2018 e il giorno successivo, in risposta alle accuse di essere al servizio dell’Occidente e di Israele e all’annuncio di nuove oceaniche proteste, ha ordinato l’arresto di migliaia di militanti dei due partiti, inclusi i loro capi – tra cui Khadim Hussain Rizvi, Asif Ashraf Jalali e Pir Afzal Qadri – questi ultimi con accuse pesantissime di sedizione e terrorismo per aver organizzato le proteste. “Asia Bibi non c’entra, gli arresti sono conseguenza del rifiuto da parte del Tlp di ogni proposta alternativa formulata dal governo”. Con queste parole il ministro dell’informazione Fawad Chaudhry commentava gli arresti, dopo che qualche giorno prima il primo ministro Imran Khan, in carica da pochi mesi, aveva duramente condannato gli islamisti dichiarando inammissibile che dei giudici venissero accusati e minacciati di morte mettendone in dubbio l’integrità e il valore.

Nel frattempo Asia Bibi il 7 novembre era stata portata in un luogo segreto, sorvegliata costantemente dalle forze di sicurezza per proteggerla dagli islamisti che minacciavano di ucciderla, sostituendosi alla giustizia. Era evidente che solo lasciando il paese lei e la sua famiglia avrebbero potuto sperare di vivere in relativa sicurezza e lasciarsi alle spalle quei dieci terribili anni di prigionia con una sentenza capitale incombente. Un problema drammatico si poneva al governo pakistano: riuscire a far uscire dal paese Asia, mettendola in salvo, senza che però gli islamisti, benché indeboliti e privati dei loro leader, scatenassero rappresaglie cruente contro i cristiani: chiese, scuole, istituti religiosi, le comunità e le famiglie, soprattutto in pericolo nei centri minori e nelle campagne dove è più difficile proteggere la popolazione.

La soluzione è stata il silenzio, chiesto dalle autorità religiose e politiche a tutti, in Pakistan e nel mondo. Non tutti hanno capito che questa era la sola via che forse avrebbe permesso di salvaguardare almeno in parte i cristiani pakistani: smettere di parlare di Asia Bibi, farla per quanto possibile dimenticare.

Qualche reazione da parte degli islamisti ci sarà, tuttavia, adesso che la notizia si diffonde della sua partenza. Presidiare chiese, scuole e quartieri cristiani, controllare i militanti non basta a garantire la sicurezza di tutta la minoranza cristiana del paese. Gli interventi per salvarla e per emendare la durissima legge sulla blasfemia sono costati la vita persino a un governatore e a un ministro:  Salman Taseer, governatore del Punjab, ucciso nel gennaio del 2011 dalla sua guardia del corpo, e Shahbaz Bhatti, ministro cristiano per le minoranze, vittima due mesi dopo di un attacco mentre si recava senza scorta al lavoro. Tuttora molti pachistani considerano un eroe Mumtaz Qadri, l’assassino di Salman Taseer. La sua impiccagione nel febbraio del 2016 aveva suscitato sit in di protesta e dimostrazioni durate giorni.

“Ci eravamo dimenticati nuovamente di lei, prigioniera da sei mesi di un orrido limbo” ha scritto Giulio Meotti sui social. Non ci eravamo dimenticati di lei. Per lei abbiamo tanto pregato.