Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Giuseppe Lavoratore a cura di Ermes Dovico

PRESIDENZIALI

Austria: vince il verde, ma il futuro è blu

Nel ballottaggio (ripetuto) in Austria confermata la vittoria dell'ecologista Alexander Van der Bellen, seppure con un margine di appena 3 punti. Ma l'FPÖ di Norbert Hofer è la vera forza emergente e potrebbe candidarsi a guidare il Paese nel 2018.

Esteri 05_12_2016
Alexander van der Bellen

Sebbene il Paese fosse già stato chiamato ad eleggere il Presidente della Repubblica nel maggio scorso, le operazioni di voto per la scelta della più alta carica dello Stato austriaco si sono dovute ripetere domenica 4 dicembre in quanto, nella precedente occasione, erano emerse delle irregolarità in merito al voto per corrispondenza, che avevano portato il candidato conservatore Norbert Hofer a non accettare l’esisto finale e fare ricorso, vincendolo. Come sei mesi fa, però, ad imporsi è stato il verde Alexander Van der Bellen, che ha nuovamente sconfitto il suo rivale dell’FPÖ (destra) con un vantaggio di poco più di 3 punti percentuali.

Secondo gli ultimi dati disponibili, infatti, il progressista ha conquistato il 51,7% dei consensi, mentre il candidato conservatore si è fermato al 48,3%, un risultato che peraltro ha accettato ancor prima che diventasse ufficiale, come conferma il messaggio di ringraziamento ai sostenitori e di congratulazioni all’avversario pubblicato poco dopo la chiusura delle urne. 

L’affermazione di Van der Bellen sembra essere dovuta, oltre al supporto di quasi tutti i partiti e di numerosi media, soprattutto alla diffusa paura che un’eventuale vittoria dell’FPÖ avrebbe potuto significare una svolta verso l’estrema destra e avrebbe potuto generare politiche fortemente reazionarie e xenofobe. Questa interpretazione è confermata anche da un sondaggio condotto dal Wiener Zeitung secondo cui oltre il 30% degli intervistati ha dichiarato di aver votato contro Hofer proprio perché spaventato dal suo programma e dalla sua ideologia. Il candidato conservatore, del resto, sia durante la campagna dello scorso maggio che in quella più recente, non ha fatto mistero delle proprie posizioni fortemente anti-immigrazione ed euroscettiche, contrapponendovi i valori tipicamente cristiani dell’Austria.

L'uso della religione, però, gli ha anche attirato l’ostilità di una fetta dell’elettorato cattolico e moderato, che ha mal digerito l’uso strumentale della fede a scopi propagandistici. Proprio per cercare di ottenere il supporto dei centristi, che in gran parte si erano già schierati a favore di Van der Bellen, poco prima del voto il candidato conservatore si è dato da fare per cercare di moderare le proprie posizioni, non riuscendo però ad invertire il trend che lo vedeva in svantaggio, anche per i meriti del suo avversario. Quest’ultimo, infatti, è stato in grado di passare in pochi mesi da outsider e candidato “di bandiera” a leader politico capace di rappresentare tutti coloro i quali temevano l’avanzata dell’FPÖ. L’ex-leader dei Verdi, inoltre, non solo ha confermato o incrementato il vantaggio nelle grandi città (che nel Paese d’oltralpe sono tradizionalmente progressiste), ma è riuscito anche a limitare lo svantaggio nelle campagne o nei piccoli centri, conquistando alla fine 4 Ländern (regioni) su 9 e la capitale Vienna. 

Quanto appena detto, comunque, non toglie il fatto che il risultato di queste elezioni presidenziali debba rappresentare un campanello d’allarme per tutte le forze europeiste dell’Unione e, ovviamente, soprattutto per quelle locali. Visto dall’esterno, infatti, quello di Hofer è un risultato incredibile, poiché il leader conservatore ha saputo costruire una campagna per cavalcare la paura e la diffusa contrarietà all’immigrazione, tanto da riuscire a mobilitare numerosi austriaci delusi dai partiti tradizionali e non facendosi condizionare dalle ripetute accuse di voler portare il Paese al periodo nazista.

Potendo contare solamente sulle forze del proprio movimento, egli infatti è riuscito ad ottenere il sostegno di quasi un austriaco su due, perdendo di soli tre punti sulla coalizione composta da tutti gli altri partiti costituzionali. Alla luce di ciò, non sembra azzardato affermare che se l’unione delle forze progressiste e moderate non avesse trovato quasi per caso in Van der Bellen il candidato ideale, esse sarebbe stata sconfitta dall’ondata populista di Hofer. La Grosse Koalition dei movimenti “tradizionali”, infatti, è ormai da tempo in forte crisi e solo restando unita si dimostra in grado di superare un FPÖ (con il blu come colore che lo rappresenta) quanto mai agguerrito e ormai pronto a proporsi come vera forza di governo. Va infatti ricordato che la carica di Presidente è prettamente simbolica, in quanto il potere è concentrato nelle mani del Cancelliere, carica per il cui rinnovo gli austriaci saranno chiamati alle urne nel 2018.

Il problema principale per le forze tradizionali è che SPD e ÖVP hanno detenuto ininterrottamente il potere a partire dal dopoguerra, senza che nessuno, almeno sino al defunto Haider, fosse in grado di mettere in dubbio il loro predominio. Questo bipolarismo pressoché inalterabile, però, ha stufato gli austriaci, che ormai guardano a movimenti nuovi e anti-sistema in grado di proporre soluzioni alternative. Ciò sta portando un numero sempre maggiore di commentatori ad affermare che se né i socialdemocratici, né i popolari saranno in grado di trovare una nuova collocazione, l’ FPÖ, che i sondaggi accreditano già del 30% dei consensi, potrà seriamente ambire a governare l’Austria entro due anni.