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IN MEMORIA

Carlo Caffarra, un ricordo personale e spirituale

"Ho vissuto la dipartita del card. Carlo Caffarra con dolore e serena fiducia. Ma anche «di ogni cosa perfetta ho visto il limite» (Sal 118,96)" Un ricordo personale dell'arcivescovo di Bologna. Una riflessione sulla teologia, sulla morte, sulla liturgia e su quei dubia rimasti senza risposta.

Ecclesia 17_09_2017

Ho vissuto la dipartita del card. Carlo Caffarra con dolore e serena fiducia. Ma anche «di ogni cosa perfetta ho visto il limite» (Sal 118,96). Così mi è tornato alla mente il ricordo di qualche prete che con lui non si era trovato bene. E ho percepito il sollievo di quanti hanno considerato la sua morte un ostacolo in meno per il nuovo corso. A fronte della morte di grandi personaggi c’è sempre qualcuno che tira un sospiro di sollievo: ricordo un discorso dopo l’attentato a san Giovanni Paolo II (13.5.1981), che lasciava intuire un: “Purtroppo non è morto!”; conosco quanto Giordano di Sassonia († 1237), successore di san Domenico alla guida dell’Ordine Domenicano, scrisse sulla morte di Innocenzo III (16.7.1216), con il quale i rapporti istituzionali erano stati un poco difficili: «Nel frattempo il signor Innocenzo papa fu tolto di mezzo (sublatus est de medio) e gli successe Onorio» (Libellus..., 45): che bel sollievo! Però mi è anche venuto in mente: «Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti» (Lc 6,26). Se Caffarra fosse stato un “falso profeta”, il plauso sarebbe stato più fragoroso, ma a suo danno.

Il mio rapporto con Caffarra è maturato lentamente e soprattutto non si è assestato principalmente sulle grandi tematiche dell’agire morale e della difesa della vita, ma ha toccato altri temi e confronti suscitando altre riflessioni. Con discrezione ne scrivo qualcosa, contribuendo, spero, a mettere ulteriormente a fuoco il ritratto e la ricchezza del personaggio.

Sentii per la prima volta Caffarra, allora Vescovo di Ferrara, in una sessione di formazione per presbiteri nel Seminario di Bologna il 14.2.2002. Il tema era piuttosto complesso: “Educazione e Risurrezione di Cristo”. Come suo solito, partì citando alcune esperienze semplici della vita umana per risalire alla corretta antropologia, al senso e ordine delle cose (metafisica) e passare quindi all’educazione. La domanda di senso di chi si apre alla vita e la relativa guida sono però l’incontro con una persona e qui Caffarra citò con originalità la Visitazione, quando Maria porta il Signore Gesù a Giovanni, ancora nel seno della madre Elisabetta ma desideroso di rapportarsi con qualcuno che lo apra al senso della vita. La Risurrezione di Cristo poi permette di educare rispondendo in positivo alla domanda della morte, che nell’uomo senza fede mette in dubbio il senso della vita. Ricordo che ne fui ammirato ma non entusiasta per il poco peso dato al tema biblico della Risurrezione, che fece la comparsa solo negli ultimi cinque minuti. Capii in seguito che questo era il carisma di Caffarra: fondare i presupposti reali e umani della fede, senza i quali il discorso biblico diventa la copertura di errori che a loro volta lo vanificano (e quanta “lectio divina” corre questo pericolo!).

Poi Caffarra venne a Bologna come Arcivescovo prendendo possesso il 15.2.2004. La maggior parte della stampa lo presentò come “conservatore”, tanto che in una intervista egli si affaticò per mostrare di non esserlo. Tra il clero più avanzato e informato si sussurrava di un colpo di mano di Wojtyla, che aveva piazzato lì un suo uomo, non tenendo conto dei suggerimenti venuti dalle sedi istituzionali. Nello stesso anno Sergio Cofferati diventava sindaco di Bologna e le sue maniere non erano troppo democratiche..., per cui qualcuno lo legò a Caffarra, dicendo che la città era (dittatorialmente) governata da un Coff-Caff.

Non era facile sottrarsi alla spinta di questi continui messaggi negativi, però adagio adagio mi accorsi che Caffarra era «mite e umile di cuore» (Mt 11,29). La controprova fu la sua rinuncia accettata il 27.5.2015 e il tono dimesso della sua uscita.

Come uomo di governo Caffarra, per quanto ne so, non arrivava alle conclusioni pratiche a partire da ragionamenti deduttivi rigorosi e senza scampo per le persone. Certo, si impose quando c’era di mezzo la dottrina e così vietò l’esibizione in chiesa di un coro dichiaratamente omosessuale, ma per il resto aveva un rispetto quasi scrupoloso delle persone, dei collaboratori e del loro lavoro. Ho da raccontare al riguardo due episodi personali.

In preparazione al Congresso Eucaristico Diocesano 2007 bisognava approntare un sussidio. Verso la fine, la sessione dottrinale, della quale facevo parte, ricevette la visita di Caffarra, che propose di inserire una serie di tematiche alternative che avrebbero scompaginato il lavoro. Ci guardammo preoccupati. Allora gli feci notare che si era proceduto così da accordi con la direzione e non si poteva adesso ricominciare daccapo. Immediatamente Caffarra rispose: «Ah no, se gli accordi erano questi, lasciate tutto come è; soltanto se potete aggiungere qualcosa sul digiuno eucaristico circa il quale gli ortodossi sono molto sensibili e i cattolici molto meno...». Naturalmente fu accontentato, ma rimasi edificato dalla sua correttezza.

L’Arcivescovo non era del tutto soddisfatto dei programmi scolastici del suo Seminario. Venne il giorno in cui in un autorevole consesso bisognava riapprovare tali programmi. Ebbene Caffarra, nel rispetto della situazione e delle persone, non tentò alcun colpo di mano. Anzi, quando di fronte a 6 ore di spiritualità si giunse a ridurle a 4 e quando io continuavo a insistere che era un compromesso assurdo perché di spiritualità 2 ore bastavano e avanzavano, il Cardinale mi bloccò con un bonario ma inflessibile: «Padre, non bisogna stravincere!».

Dopo il ritiro dal ministero di Arcivescovo, lasciai passare qualche mese e andai a fargli visita per ringraziarlo del servizio episcopale. Era il 10 marzo 2016. Venne lui stesso alla porta e conversammo per circa un’ora. Parlammo di dottrina e dei pericoli attuali. Non era ancora uscita Amoris laetitia; Caffarra non aveva dubbi sul mantenimento della dottrina, solo paventava il pericolo che soluzioni di compromesso venissero delegate in misura eccessiva al foro interno, alla coscienza, secondo la tipica scuola gesuitica. Parlammo poi della FTER (Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna), che a suo dire si era caratterizzata un po’ troppo negli studi positivi: comprensibile osservazione da uno come lui! Da qui passammo a discettare sul senso delle Scritture nella Chiesa, che non è quello della Riforma protestante. Parlammo anche del commento di san Tommaso al De divinis nominibus di Dionigi l’Areopagita: Caffarra lo stava meditando e a suo dire era una grammatica della conoscenza di Dio.

Casualmente parlammo anche della morte. Il Cardinale mi confidò che nel momento di trasferirsi aveva deciso di lasciare la sua ricchissima biblioteca al Seminario, preferendo lasciarla subito e non post mortem. Tuttavia nel momento di cederla aveva avvertito il distacco che, aggiunse, era un anticipo del grande distacco della morte. Gli citai quasi a memoria un testo di L. Bouyer secondo il quale tutti al momento della morte dovremo rinunciare a tutto quello che il monaco ha rinunciato in vita (cf Introduzione alla vita spirituale, Borla, p. 212) e convenimmo che la morte era una sorta di “monachesimo assoluto”. Nessuno dei due forse pensava che i dotti riferimenti tra qualche mese sarebbero diventati per lui una realtà. Riflettendoci, ho notato che il grande distacco fu dai libri e non - come per molti - dal governo episcopale. E questo è un segno di saggezza e buona salute psicologica. Se chi governa è immerso solo nel governo senza interessi intellettuali o artistici - tifare per una squadra di calcio non basta -, rende infelice se stesso e gli altri. Per fortuna Caffarra non fu così.

Tornai a trovarlo il 20 marzo 2017, proponendomi di non toccare l’argomento dei “dubia” e, quasi per un tacito consenso, anch’egli si astenne da ogni riferimento, anche se rilevò che certe provocazioni morali erano una vera sfida a Dio. Mi confrontai con lui su certe linee di interpretazione delle calamità naturali e dei castighi di Dio e ci trovammo in perfetto accordo. Parlammo poi di liturgia, delle preoccupazioni per la revisione del linguaggio liturgico. Non so come, ad un certo punto citai la nobiltà e la bellezza del canone romano (la prima preghiera eucaristica) e Caffarra mi confidò di averlo usato la mattina stessa per la solennità di san Giuseppe (al 20 perché il 19 era una domenica di Quaresima) con edificazione della sua piccola “famiglia”: «Veramente, come dice il Concilio di Trento, questo canone ispira devozione». Citò Trento a braccio e anch’io lo ricordavo a braccio. Andai dopo a consultare il testo e lo trascrivo per la gioia di chi legge: la Chiesa «ha stabilito da molti secoli il sacro canone, talmente puro da ogni errore, da non contenere niente che non profumi di grande santità e pietà, e non innalzi a Dio la mente di quelli che lo offrono» (D 1745). E qui troviamo Caffarra dotato di un profondo spirito liturgico, visibilmente immerso nel mistero durante le celebrazioni, autore di omelie profondamente bibliche, inserite nella liturgia e quindi molto differenti dalle sue conferenze: ciò che non capita a tutti i Vescovi e Cardinali!

La morte del card. Caffarra è stata senza risposta alle sue domande, ai dubia. Umanamente questo fa tristezza, ma cristianamente è leggibile con una consolante interpretazione di san Giovanni Paolo II al n. 9 di Orientale lumen (2.5.1995): la tradizione conserva nella memoria tutto ciò che lo Spirito ha disseminato nella storia «dando quindi speranza a coloro che, pur non avendo veduto i loro sforzi di bene coronati da successo, sanno che qualcun altro li porterà a compimento».

Ecco: adesso “qualcun altro” siamo noi, nella dolce memoria di Carlo Caffarra, Vescovo della Chiesa di Dio.

PS: Biffi dispensava battute di spirito, Caffarra di meno, ma prima di congedarmi da un’udienza mi raccontò una barzelletta vera. Pochi anni dopo l’Humanae vitae partecipò a un congresso in Francia abbastanza... movimentato. Un Padre Domenicano sostenne che era difficilissimo se non impossibile per gli sposi osservare i richiesti periodi di continenza. Si alzò una professoressa che replicò: «Io sono sposata e lei sostiene che non è possibile osservare un periodo di continenza. Bene. E dopo questo io dovrei credere che lei è in grado di osservare la castità per tutta la vita?». Non ci fu risposta.