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Caso Becciu: i dubbi restano ma non rientrano nel penale

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Esplosa la "bomba", l'interesse mediatico sul porporato è calato, man mano che  emergevano rivelazioni che hanno smentito diverse accuse. A dicembre la sentenza.

Ecclesia 28_11_2023

Un processo "mediatico", partito sulla scia del clamore provocato da una serie di articoli pubblicati su L'EspressoLa Repubblica e CorSera e che si appresta a finire in sordina.

L'affaire Becciu è curioso: se n'è scritto e parlato tanto dal settembre del 2020, quando esplose la "bomba" con le dimissioni e la rinuncia ai diritti del cardinalato, fino all'estate del 2021, quando è stata formalizzata la citazione a giudizio del porporato per i reati di peculato, abuso d’ufficio e subornazione.

Poi, a mano a mano che il processo è entrato nel vivo, l'interesse mediatico è calato drasticamente e le uniche voci che hanno cercato di documentarne le evoluzioni sono state soprattutto quelle dei non colpevolisti. Fa eccezione lo scalpore seguito alla diffusione della registrazione di una telefonata con il Papa finita nelle mani della stampa dopo essere stata acquisita in un'informativa degli inquirenti di Oristano. 
Tante rivelazioni emerse nel dibattimento e che hanno smentito diverse accuse fioccate nei primi mesi successivi alle dimissioni di Becciu, invece, sono passate quasi inosservate. 

C'è stata, depositata dai legali dell'ex sostituto, la lettera del cardinale Pietro Parolin dove trovava conferma quanto anticipato  dalla Nuova Bussola su un pagamento fatto in Australia dalla Segreteria di Stato per l'acquisto di un dominio web, e non certo, come era stato fatto intendere da alcuni autorevoli giornali, a possibile beneficio di un testimone nel processo contro il cardinale George Pell. C'è stata l'audizione di monsignor Edgar Peña Parra, attuale Sostituto, che ha confermato la versione di Becciu sul via libera concesso dal Papa al pagamento della società riconducibile a Cecilia Marogna per l'asserito contributo nel tentativo di liberare una suora colombiana rapita in Mali. C'è stato in aula il clamoroso dietrofront di Genoveffa Ciferri, amica di monsignor Alberto Perlasca, secondo cui sia lei che il grande accusatore di Becciu sarebbero stati «utilizzati tutti e due come gli scemi del villaggio» e avrebbero ricevuto da un'altra persona i suggerimenti per redigere il memoriale che ha portato il cardinale sardo alla sbarra. 

La vicenda, però, resta ancora oggi nell'immaginario del grande pubblico per l'acquisto dell'immobile di Sloane Avenue coi soldi della Segreteria di Stato e l'affronto della telefonata con il Papa registrata. Investimenti immobiliari così importanti, tuttavia, non sono una prerogativa della stagione di Becciu in Segreteria di Stato visto che la Santa Sede investe i suoi soldi nel mattone londinese (e non solo) sin dai tempi di Pio XII. Persino il Papa registrato al telefono scandalizza di meno perché ascoltando l'audio si capisce che il cardinale sardo, disperato, stava semplicemente cercando di ottenere dal suo interlocutore quella conferma che poi avrebbe dato monsignor Peña Parra nella sua deposizione come teste. 

Nonostante ciò, il dibattimento ha dimostrato che non aveva torto il cardinale Pietro Parolin ad utilizzare l'aggettivo «opaca» per definire l'operazione immobiliare di Sloane Avenue già nel 2019 visto quanto emerso sull'acquisizione di 30mila azioni senza però diritto di voto e quindi senza il controllo del fondo che gestiva il palazzo. 

Nell'arringa finale, gli avvocati di Becciu Fabio Viglione e Maria Concetta Marzo hanno sostenuto che durante il dibattimento è «caduto il “velo di Maya» e che da «una “notizia di reato”, quella relativa agli investimenti, siamo passati a una indagine sulla persona del cardinale». Il loro dito indice si è concentrato soprattutto sul ruolo di Perlasca, di cui abbiamo detto. Chiedendo l'assoluzione per l'imputato più illustre, i legali hanno riepilogato i tre filoni d'accusa e su quello relativo ai bonifici per la società riconducibile a Marogna hanno parlato di «risorse destinate al tentativo, poi andato a buon fine, di salvare una suora rapita in Mali». Ma è proprio su questo punto che restano i maggiori dubbi sulla condotta di Becciu.

Dubbi, però, che non rientrano nella materia penale visto che, come il dibattimento ha dimostrato, il prelato sardo ha agito sempre in accordo col suo superiore e che l'autorizzazione al pagamento, firmata dal suo successore Peña Parra, è stata data per i motivi asseriti di fare un tentativo per la liberazione della suora. Perchè affidare un incarico così delicato ad una società riconducibile ad una persona "scaricata" nel corso del processo da Palazzo Chigi che ha negato l'esistenza di un obbligo di segretezza asserito lasciando supporre la smentita di qualsiasi collaborazione coi servizi segreti italiani? 

Così come ha fatto il Papa, l'augurio è che nella sentenza attesa per metà dicembre il cardinale Becciu possa essere riconosciuto innocente perché è questo l'esito che ci si aspetterebbe alla luce del dibattimento. Al tempo stesso, senza più la spada di Damocle del procedimento penale, non sarebbe male se si potesse fornire ai fedeli una spiegazione più convincente della vicenda relativa al tentativo di liberare la suora rapita. E, se errori di valutazione sono stati commessi in buona fede, chiedere scusa in primis al Papa (se non è stato già fatto). 



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