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POLITICA

Centristi in agonia, ma Renzi rischia grosso

Che si vada alle urne subito o alla scadenza naturale nel 2018, l'accordo sulla riforma elettorale alla tedesca, con sbarramento al 5%, condanna i centristi alla scomparsa. Le dure accuse degli alfaniani a Renzi possono cambiare poco, ma la corsa alle urne presenta gravi rischi anche per il leader Dem.

Politica 03_06_2017
Renzi e Alfano in tempi più spensierati

Il “Nazareno bis” almeno un effetto l’ha già prodotto: ha diviso il Paese in due tronconi. Da una parte chi vuole le urne subito, dall’altra chi preferirebbe arrivare alla scadenza naturale della legislatura. Entrambi gli schieramenti, però, non sono animati da un sincero amore per il proprio Paese, bensì da un insano egoismo, che si traduce in biechi calcoli tattici e che rischia di scaricarsi sulla pelle dei cittadini. Il clima di intesa tra le quattro principali forze politiche (Pd, Forza Italia, Lega, Cinque Stelle) sul sistema elettorale tedesco si è deteriorato all’indomani delle rivelazioni-choc  di alcuni esponenti centristi sulla presunta richiesta di far cadere il governo Gentiloni che l’ex premier Renzi avrebbe formulato al partito di Alfano, in cambio di uno sbarramento al 3% e non al 5% come invece si va profilando.

Il ministro degli Esteri se ne guarda bene dal dimettersi, ma annuncia che l’esperienza della collaborazione col Pd può ritenersi conclusa e punta a superare la soglia del 5% alle prossime elezioni. Rancori personali tra Renzi e Alfano, ruggini che risalgono già all’epoca del governo Letta, quando l’ex sindaco di Firenze già tramava per andare a Palazzo Chigi mentre Angelino era ministro. Ora quest’ultimo accusa Matteo di essere lo spietato killer di tutti i governi (ha già fatto cadere quello di Letta e il suo e ora vorrebbe sbarazzarsi quanto prima di quello attuale) e la replica di Renzi, peraltro prevedibile, è che Alfano è legato alle poltrone, a prescindere dal colore politico dei governi. D’altra parte, la storia dice questo.

Ma al netto delle diatribe tra ormai ex alleati, la scommessa dei centristi per la prossima legislatura, in caso di riforma elettorale alla tedesca, appare alquanto velleitaria. Alternativa popolare è ben lontana dalla soglia del 5%, c’è chi dice che non arriverebbe neppure al 3% e gli altri possibili componenti di un cartello di forze di centro, in particolare Fitto e Parisi, sembrano sfilarsi e si dicono disinteressati a una sommatoria di cespugli finalizzata solo ad entrare in Parlamento. La verità è che l’area di centro è in parte presidiata da Forza Italia, in minima parte anche dalla Lega, e che anche il Pd renziano sembra più interessato a conquistare il voto dei moderati che non a presidiare l’area della sinistra, lasciando peraltro campo libero a una probabile alleanza tra scissionisti bersaniani e dalemiani e la nuova formazione politica guidata da Giuliano Pisapia.

Senza un federatore un minimo carismatico e nuovo rispetto all’attuale scenario politico (Parisi lo sarebbe solo in parte e il Ministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda sembra puntare più in alto), ben difficilmente i centristi di Alfano e Lupi riusciranno a rientrare in Parlamento. C’è da scommettere che qualcuno di loro busserà alla porta di Forza Italia, sperando di essere riaccolto e ricandidato, e qualcun altro, tramite Gentiloni, assicurando lealtà fino all’ultimo al suo governo, punterà a una collocazione in extremis nelle liste del Pd. Il che finirà per assottigliare ulteriormente la dote elettorale di Alternativa poplare.

Gli alfaniani ormai sono in un tunnel senza uscita. Denunciano che Renzi li aveva esortati a far cadere il governo Gentiloni già a febbraio. Se fosse vero sarebbe un comportamento di una gravità inaudita, ai limiti dell’eversione. Ma non ci sono prove e quindi nell’immaginario collettivo il rischio è che questa appaia solo una ripicca dei centristi per la probabile fissazione della soglia del 5% per la prossima tornata elettorale.

Anche Renzi, però, avrà ora maggiori remore a staccare la spina all’esecutivo e quindi a gettare la maschera, visto che pure una parte consistente della sinistra ritiene che il suo obiettivo fosse questo già mesi fa. Lo ha ribadito anche Pierluigi Bersani ieri in un’intervista a “Repubblica”, accusando Renzi di aver perso molta credibilità nel Paese proprio per questi suoi “giochetti” e paventando i rischi per il Paese di una precipitosa corsa verso le urne.

Ma, come si diceva all’inizio, se per convenienza i principali partiti corrono al voto per rilanciare nel campo della prossima legislatura la “patata bollente” della manovra finanziaria, c’è anche chi, per convenienza opposta, vuole che si voti nel maggio 2018 (election day con le regionali di Lombardia, Lazio e altre regioni), affinchè Gentiloni si consolidi come premier, il Pd renziano si logori, Forza Italia si indebolisca vista l’età avanzata del suo fondatore, e nuovi aspiranti leader (Calenda, Pisapia, Parisi, Draghi) possano occupare la scena politica.

Disegni divergenti e incompatibili, sui quali Mattarella vigila senza, per ora, sbilanciarsi. Renzi è riuscito ad imporre al suo partito ritmi serrati per le primarie e per la sua rielezione a segretario, alimentando però fortissimi malumori tra i dem. Ora vuole applicare lo stesso schema al Paese, dimenticando, però, che qui non può decidere da solo. Ci sono altri partiti non disponibili ad appiattirsi sui suoi disegni di rivincita. C’è il Quirinale. E, soprattutto, ci saranno gli italiani che diranno la loro nel segreto dell’urna. Il 4 dicembre c’è già stata un’illuminante anticipazione di quello che pensano.