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LA CANDIDATA

Clinton, affari (sporchi) di famiglia

La William J. Clinton Foundation altro infatti non è che questo funziona come una vera "fondazione d'affari". E la politica estera degli Usa, quando Hillary era segretaria di Stato, è stata messa al servizio degl’interessi milionari dei Clinton con totale disprezzo dell’interesse nazionale. Lo rivela Judicial Watch, dopo aver esaminato le email segrete della candidata democratica alla presidenza degli Usa.

Esteri 19_08_2016
Hillary e Bill Clinton

Ci sono politici di sinistra che possiedono una banca d’affari, e ci sono politici di sinistra come Bill e Hillary Clinton che invece hanno una fondazione d’affari. La William J. Clinton Foundation altro infatti non è che questo. Uno stratagemma abile e potentissimo per dirottare sui conti di famiglia cifre faraoniche, tutte regolarmente munte da dittatori, faccendieri, boss e ras di ogni sorta, e magari pure qualche servizio segreto di qualche potenza straniera. Ebbene, quando era Segretario di Stato del Paese più importante del mondo Hillary ci si è sfogata, piegando la diplomazia di Washington ai propri ricchissimi e opacissimi interessi personali. Ma la cosa più curiosa di tutte è che nessuno ferma il gioco. Da ogni inchiesta Bill e Hillary escono puliti, a ogni indagine se la cavano immacolati.

La più recente è anche la più clamorosa: quella riguardante la posta elettronica che l’allora capo del Dipartimento di Stato gestiva disinvoltamente attraverso un attaccabilissimo server privato di casa invece di usare gli strumenti criptati e sicuri messi a disposizione dal governo, posta elettronica ovviamente carica di notizie riservate, informazioni sensibilissime e segreti di Stato. L’FBI ha clamorosamente prosciolto l’ex First Lady da ogni accusa pur avendo accertato irregolarità gravi nel suo comportamento e dal canto proprio Hillary ha distrutto o sottratto allo scrutinio migliaia di email. Diverse di queste tornano però fuori adesso grazie a Judicial Watch, una organizzazione conservatrice fondata nel 1994 a Washington allo scopo di monitorare gli abusi di potere.

Avendo fatto causa nel 2015 al Dipartimento di Stato sulla base del Freedom of Information Act (la legge che impone al governo di rendere pubblici documenti prima secretati che nel 1966 fu varata dal presidente Lyndon B. Johnson [1908-1973]) e avendo vinto la causa, Judicial Watch mette ora a disposizione di tutti un dossier di 296 pagine fitte di corrispondenza elettronica e di omissis operati dall’ex Segretario di Stato tra cui 44 email totalmente prima occultate. La maggior parte di esse risultano scritte nei primi tre mesi del mandato di Hillary. Cosa rivelano? Il pressing costante e letteralmente imbarazzante svolto da alti responsabili della Clinton Foundation sui principali collaboratori di Hillary al Dipartimento di Stato affinché quest’ultimo assegnasse incarichi e mansioni a personaggi particolarmente graditi (cioè generosi verso la Fondazione) o combinasse incontri non esattamente trasparenti. Con lei al timone, infatti, la Fondazione “d’affari” dei Clinton sapeva come aggirare qualsiasi ostacolo e ottenere qualunque via libera. Per quattro anni, cioè, la diplomazia statunitense è stata messa al servizio degl’interessi milionari dei Clinton con totale disprezzo dell’interesse nazionale americano e persino della sicurezza.

Le email e i figuri che compaiono nel dossier sono tanti. Uno scambio è particolarmente rivelatore, addirittura paradigmatico. Risale all’aprile 2009 e inizia con la richiesta rivolta dall’avvocato e businessman Douglas J. Band, già consigliere personale del presidente Bill Clinton e quindi alto funzionario della Clinton Foundation, a Cheryl Mills e Huma Abedin, due collaboratrici di punta di Hillary al Dipartimento, allo scopo di mettere in contatto il milionario libanese-nigeriano Gilbert Chagoury, sempre generosissimo con la Fondazione “di famiglia”, con una persona “di sostanza” in Libano. Mills e Abedin rispondono in un batter d’occhio, Band replica, e la cosa è fatta. Il personaggio “di sostanza” è Jeffrey D. Feltman, allora ambasciatore degli Stati Uniti in Libano, Chagoury una vecchia conoscenza, sia dei Clinton (alla loro Fondazione ha donato in tutto 5 milioni di dollari, promettendone un altro miliardo alla Clinton Global Initiative, la controllata della Fondazione) sia della polizia svizzera (che nel 2000 lo ha condannato per riciclaggio di denaro). È uno degli uomini-chiave della “Nigerian Connection”, uno per favorire i cui traffici il Segretario di Stato Clinton si è rifiutata d’inserire Boko Haram nella lista delle organizzazioni terroristiche estere: è quello che senza mezzi termini sostiene il senatore Repubblicano David Vitter in una lettera indirizzata il 17 marzo 2015 al successore di Hillary al vertice della diplomazia statunitense, John F. Kerry. Come osserva il presidente di Judicial Watch, Thomas Filton, le email occultate dall’aspirante presidente degli Stati Uniti «mostrano che la Clinton Foundation, i donatori dei Clinton e altri funzionari hanno lavorato con Hillary Clinton potenzialmente violando la legge».

Sui social newtork impazza l’hashtag #PayToPlay ma i grandi media, occupati a demonizzare Donald J. Trump e soprattutto il suo elettorato, ignorano l’affaire. All’estero, per esempio in un Paese a caso, l’Italia, nessuno ne parla. E quello che probabilmente è il più grande scandalo internazionale degli ultimi decenni praticamente non risulta. Negli Stati Uniti è appena uscito un intero documentario, Clinton Cash di cui basterebbero solo pochi fotogrammi per far vergognare, e ritirare dalla scena pubblica, un politico degno di questo nome. Le email scomparse e rispuntate ora confermano le denunce. Ma benché sia letteralmente indegna di farlo, Hillary supererà tutto e con buona probabilità guiderà gli Stati Uniti.