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LA STORIA

Così Ezio ha vinto il dolore e ritrovato la vita

Nel febbraio del 1982 la mente e il cuore di sua moglie si sono spenti: piangeva sempre, rifiutava il cibo, non si alzava dal letto. Ezio Vacillotto aveva poco più di 30 anni, un figlio alle elementari, un lavoro che lo costringeva a continue trasferte fuori città. Era entrato in un labirinto e non sapeva proprio come uscirne.

Famiglia 26_06_2015
L'Icaro di Matisse

 «Nel febbraio del 1982 la mente e il cuore di mia moglie si sono spenti. Passavo le giornate a incoraggiarla, sostenerla, la portavo con me al lavoro, nel weekend non la abbandonavo un attimo. Niente da fare: non rispondeva più ad alcuna sollecitazione: piangeva sempre, rifiutava il cibo, non si alzava dal letto e, inoltre, si chiudeva per giorni e giorni in un mutismo che non riuscivo a scalfire in alcun modo», racconta Ezio Vacillotto, manager, sposato da 40 anni, residente a Milano. «Dopo aver consultato vari medici ho deciso di portarla da uno psichiatra. L’infausta diagnosi è arrivata: depressione gravissima, a rischio suicidio». 

Ezio Vacillotto aveva poco più di 30 anni, un figlio alle elementari, un lavoro che lo costringeva a continue trasferte fuori città e in più non poteva contare su parenti e amici. Era entrato in un labirinto e non sapeva proprio a quale filo d’Arianna attaccarsi. La sera si ritrovava a dover pulire la casa, sistemare la biancheria, cucinare, seguire nei compiti il figlio, ascoltare le sue avventure quotidiane, controllare le dosi dei farmaci e somministrarle a sua moglie. Tanta fatica senza alcuna gratificazione: davanti a lui aveva una persona senza voce, il corpo quasi immobile, lo sguardo perso.

«La scelta del matrimonio mia moglie e io l’abbiamo fatta perché eravamo molto innamorati e desiderosi di fare tante cose insieme: volevamo formare una famiglia, viaggiare, condividere ogni cosa, leggere, pregare, partecipare alla vita in parrocchia, cenare con gli amici». Ora nessuno dei desideri di Ezio si sarebbe più avverato: una quotidianità dagli artigli feroci lo stava travolgendo. «Mi sentivo in trincea, perennemente in guerra con un nemico infido, inafferrabile. In quel periodo sognavo spesso porte chiuse, stanze senza finestre, scale in salita: la strada certi momenti mi sembrava davvero troppo ripida. Almeno così credevo». Ma proprio nei momenti più difficili spesso c’è una svolta, una “via di Damasco”, bisogna saperla vedere.  

Ezio Vacillotto ha incontrato questa via di luce attraverso l’amico Luciano Valeriani, un uomo che credeva profondamente in Dio e che riusciva con il suo ottimismo a trasformare in positività il negativo. Era così sul lavoro, in famiglia, con gli amici. «Grazie alla sua vicinanza la mia fede si è irrobustita e il percorso tortuoso che stavo vivendo è diventato un’occasione per mettere l’acceleratore alla mia energia, per potenziare la mia volontà sfidante, per rafforzare il rapporto con mia moglie su un piano diverso, più spirituale, meno “sentimentale”. Da quel momento fino alla fine degli anni ottanta il mio amore per lei ha dovuto superare ogni calcolo contabile, ogni dare-avere, ogni rancore e rivendicazione». Per raggiungere questo traguardo Ezio ha dovuto capire la differenza tra ciò che avrebbe voluto e ciò che aveva, tra sogni e realtà. Luciano gli suggeriva di non abbandonare utopie, preghiere, viaggi, ritiri spirituali, ma di imparare a viverli in modo diverso portando poi la loro forza propulsiva in famiglia. Il segreto per farcela, suggeriva Valeriani, non era opporsi alla depressione, rimuginare, ricordare i momenti felici del fidanzamento e rammaricarsi all’idea che non sarebbero più tornati. La strada per tenere unita la famiglia, nonostante tutto, non era dichiarare guerra alla malattia, ma riconoscere in quel dolore qualcosa di più grande che valeva la pena vivere.

«Ho sentito in Luciano la voce di Gesù. La sua vicinanza ha neutralizzato i pensieri ripetitivi, la paura, la rabbia». Al posto di questi sentimenti a Ezio è venuta voglia di lottare, pregare di più, esserci, aiutare chi aveva bisogno quanto o più di lui, guardare il Cielo. Sembra un paradosso, ma proprio in quella vita vorticosa in cui era costretto a svolgere il doppio ruolo di padre e madre, casalingo e professionista ha scoperto la forza che viene dalla contemplazione. Ha affittato una casa in Val Brembana andava là in vacanza con la famiglia e quando la faticosissima giornata era finita si soffermava a guardare le stelle insieme a suo figlio. «Capisco che questa sia una Fede semplice, ma ho origini contadine e sono convinto che dietro ogni stella ci sia davvero un angelo, una creatura divina che ci ascolta anche se distante anni luce da noi. Già San Francesco che definiva le stelle chiare, preziose e belle trascorreva tante ore a guardarle. Attraverso le osservazioni del Cielo era più semplice per me “sentire” Dio e percepire che, forse, la nostra vera casa non è sulla terra».

Strano, ma più Ezio riusciva a uscire dalla logica di veder soddisfatti i suoi “diritti” di marito e il desiderio di uno scambio emozionale “alla pari” con la sua compagna di vita più la malattia di sua moglie conosceva dei momenti di tregua. Un vero mistero. Durante questi spiragli luminosi i coniugi Vacillotto riuscivano persino ad andare al supermercato sotto casa, fare la spesa e cucinare insieme. Una festa! «Per mia moglie – dice Ezio - queste azioni che sembrano banali in realtà sono sfide pari a una difficilissima scalata. Faccio tesoro di questi momenti che mi aiutano a perseverare nel mio impegno di fedeltà a lei». 

Oggi, la terapia farmacologica è più mirata, riesce a stabilizzare meglio l’umore, ma resta il problema perdita di vitalità, mancanza di connessione emozionale. Ed è difficile sostenere questo silenzio di vita all’interno di un matrimonio. «Certo è durissima, se non sentiamo in tutto questo la voce di Dio che, nel mio caso, a volte mi culla riportandomi nel cascinale della mia infanzia, tra le braccia di mio padre che riusciva sempre a dirmi con gli occhi che mi voleva bene. Altre volte mi spinge a dedicarmi a chi ha bisogno del mio aiuto, altre volte ancora mi porta semplicemente a inginocchiarmi e stare in silenzio chiedendo aiuto a Gesù, senza pretendere di capire». Perché, sotto sotto, spesso quella che noi chiamiamo ragione è una Regina subdola e arrogante che ci fa deragliare da impegni, promesse, contratti. «Sono convinto, invece, che i patti si debbano rispettare al di là delle variabili drammatiche che la vita introduce e che in questo dire sì c’è tutto il senso della nostra vita».

 

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