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LA RICERCA

Crisi demografica, una via d'uscita c'è

Metà dei paesi al mondo ha un tasso di fecondità sotto il livello di sostituzione, lo dice una ricerca di The Lancet . Si sta andando verso una situazione globale insostenibile, il che richiede interventi drastici: cominciare a rivedere la legge sull'aborto, ad esempio, cambierebbe la situazione.

Editoriali 13_11_2018

Tra il desiderio di brindare al successo e la preoccupazione per le conseguenze. Così nei giorni scorsi il sito della BBC ha dato ampio rilievo alla notizia che in tutto il mondo si registra un forte calo dei tassi di fecondità. La notizia della BBC faceva riferimento a una ricerca presentata sull’ultimo numero della rivista scientifica The Lancet, che in realtà presenta una serie di approfondimenti demografici e sanitari globali molto interessanti che misurano l’evoluzione dal 1950 al 2017.  Una lente d’ingrandimento su 195 paesi nell’arco di quasi 70 anni.

Ma il dato che viene considerato più sorprendente dagli stessi ricercatori è la scoperta che già la metà dei Paesi al mondo è con tassi di fertilità al di sotto del livello di sostituzione, valutato all’incirca in 2.1 figli per donna. Peraltro il numero di paesi che scende sotto il  livello di sostituzione è destinato ad aumentare in fretta visto che già sono almeno una ventina i paesi che sono proprio al limite del livello di sostituzione e che in tutto il mondo i tassi di fecondità sono in declino: nel 1950 il tasso globale di fecondità era di 4.7 figli per donna, oggi è di 2.4.

In realtà c’è da sorprendersi della sorpresa da parte degli esperti. A chi anche superficialmente ha seguito in questi anni gli andamenti demografici non poteva sfuggire il drastico calo dei tassi di fecondità e l’inverno demografico che attanaglia tantissimi paesi. Se l’Europa nel suo insieme ha da tempo tassi di fecondità molto bassi (1.4 l’Europa centrale, 1.6 sia l’Europa occidentale sia quella orientale), anche l’Asia Pacifico, il Nord America e i Paesi del Golfo sono ormai saldamente nel club dei “senza figli”, a cui si stanno aggiungendo anche i paesi nordafricani. A mantenere alti i tassi di fecondità c’è ormai soltanto l’Africa sub-sahariana, esclusa quella meridionale, (4.9 figli per donna) oltre all’Afghanistan (6.0).

Secondo i ricercatori tre sono i principali motivi del calo della fecondità: la diminuzione della mortalità infantile (che spinge a mettere al mondo meno figli), la diffusione della contraccezione, l’emancipazione delle donne che oggi studiano e lavorano. Anche qui si tratta di analisi sostanzialmente conosciute.

Un elemento da considerare è che malgrado ciò la popolazione mondiale continua ad aumentare all’incirca di 80 milioni di persone l’anno perché, come noto, ci vogliono generazioni perché i tassi di fecondità si trasformino in numeri assoluti. In ogni caso già 30 paesi sperimentano la crescita negativa della popolazione, e sarebbero di più se i numeri non fossero nascosti dall’immigrazione.

Ma come valutare questi numeri? La BBC azzarda che «si dovrebbe parlare di una storia di successo» visto che sono decenni che vengono investite globalmente risorse finanziarie ingenti per il controllo delle nascite. Storditi da sessanta anni di propaganda anti-natalista, con il mito della sovrappopolazione e della bomba demografica, si è portati naturalmente a salutare con soddisfazione il tanto agognato obiettivo. Ma non a caso il giornalista della BBC usa il condizionale: dietro lo schermo dell’ideologia anti-natalista fa capolino infatti la realtà, che dice tutt’altro sulla situazione demografica. Uno degli autori della ricerca, ad esempio, fa notare che avere più ultra65enni che giovani è una situazione globalmente insostenibile, e deve essere rivista in fretta (al rialzo) l’età della pensione che attualmente nel Regno Unito è fissata a 68 anni. Ma anche l’invecchiamento della forza lavoro ha delle conseguenze serie per l’economia, e si potrebbe continuare. Ancora i ricercatori mettono in rilievo che anche se la popolazione aumenta – almeno ancora per un po’ – è già cambiata radicalmente la struttura della popolazione per età, il che richiede un urgente adeguamento della società, dell’economia e della politica alla nuova situazione.

Basta dare un’occhiata all’Italia che - insieme al Giappone – è il paese industrializzato dove più acuta è la crisi demografica, per capire che tra i governanti non c’è alcuna consapevolezza della drammaticità della situazione. Né si può seriamente pensare che sarà l’arrivo di immigrati a compensare la mancanza dei nostri figli: come abbiamo detto più volte le persone non sono numeri e l’immigrazione massiccia porta più problemi di quanti ne possa risolvere.

Ma c’è un aspetto interessante che viene sottolineato nella ricerca di The Lancet, ovvero che alcune scelte politiche possono causare cambiamenti anche in tempi relativamente brevi. L’esempio riportato è quello della Romania, dove Ceausescu nel 1966 vara una legge contro l’aborto e solo nel giro di un anno si registrano il 100% in più delle nascite. Aldilà delle intenzioni, chi ha scritto questo passaggio dice una cosa importantissima: se si fosse davvero preoccupati della situazione si agirebbe senza indugio, cominciando proprio dalla legge sull’aborto. Qualche segnale positivo sta arrivando in queste settimane da alcuni consigli comunali (Alessandria dopo Verona) ma è chiaramente troppo poco.