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Decreto Valditara: la contro-proposta dell’estate “parentale”

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Il finanziamento dell'apertura delle scuole durante l'estate e la pretesa dello Stato che fa la mamma. Urge una contro-proposta parentale. 

Editoriali 16_04_2024

Il decreto con cui il ministro (della pubblica istruzione e del merito) Giuseppe Valditara ha finanziato l’apertura delle scuole di istruzione primaria e secondaria durante l’estate avrà senz’altro ottenuto molti apprezzamenti. Lo Stato che fa la mamma anche d’estate, dato che le mamme vere non cessano di lavorare l’8 giugno quando termina l’attività scolastica, piace senz’altro a molti. A me invece non piace e penso che le famiglie dovrebbero starne alla larga ed eventualmente pensare a soluzioni alternative.

Le attività previste e finanziate dal decreto Valditara riguardano percorsi “di aggregazione e formazione”. I destinatari e i contenuti potranno essere fissati anche in collaborazione con università, enti locali e organismi del terzo settore. Alla base del decreto c’è il “Programma nazionale scuola e competenze 2021-2027” che prevede il finanziamento di attività sportive, musicali e teatrali legate alla “sostenibilità”. Altri fondi arriveranno dal PNRR per la formazione alle discipline STEM.

La novità Valditara non è assoluta. I comuni già sono da anni su questa strada dell’utilizzo degli edifici delle scuole primarie per dei “grest” laici. Il fatto è che alunni e studenti a scuola ci stanno già troppo e non è buona cosa aumentare il tempo in cui le famiglie mettono i propri figli nelle mani dello Stato-Educatore. È naturale che non si tratterà solo di intrattenimento ludico, finalità estranea di per sé alla scuola, ma le attività saranno condite con finalità formative e educative che potrebbero essere anche discutibili. Dietro l’educazione all’integrazione può nascondersi di tutto.

Sotto l’educazione alla sostenibilità pure. Dietro la formazione alle discipline STEM in pratica si nasconde l’avviamento alla digitalizzazione. Nessuna garanzia di neutralità educativa, dunque. L’eventuale collegamento con le università o gli enti locali, più che tranquillizzare, preoccupa, data la caratterizzazione ideologica di molti di questi enti, che comunque fanno sempre parte del sistema statale e articolano ma non diminuiscono la centralizzazione educativa. Nemmeno il riferimento all’eventuale collaborazione con gli enti del terzo settore può mettere l’anima in pace, perché il terzo settore in Italia ha scarsissima autonomia progettuale in quanto è anch’esso finanziato dallo Stato, direttamente o indirettamente, ed è campo di militanze ideologiche molto accentuate. Alle attività estive nelle scuole statali saranno certamente cooptati enti del terzo settore allineati a quelli che oggi si intendono essere i “valori civici” politicamente corretti.

In ogni caso si tratta di un ulteriore declassamento della famiglia, naturalmente con la scusa di aiutare la famiglia. Lo Stato si prende i figli dalla culla all’università, emargina i genitori dal compito educativo e li relega nel mondo del lavoro e siccome nove mesi non bastano, ora si prende anche i tre mesi estivi. È doloroso constatare che questa cultura dell’educazione pubblica è presente in tutte le forze politiche ed è in grado di sopravvivere al susseguirsi delle maggioranze.

Vista la cosa in questo modo, però, può manifestarsi anche una via d’uscita alternativa. Sarebbe cosa buona che alcune famiglie si organizzassero in proprio, fuori dallo Stato, per gestire in autonomia il periodo estivo in forma “parentale”. Accertata una comune visione cristiana dell’educazione, le famiglie potrebbero programmare la giornata dei propri figli dopo la fine delle lezioni a scuola. A curarsi dei figli potrebbero essere di volta in volta diverse figure: una mamma che non lavora, figli maggiori che possono dedicare qualche ora togliendola allo studio universitario, qualche nonno ancora attivo e propositivo, amici che hanno del tempo libero insieme a delle competenze nel campo educativo. Una specie di “scuola parentale estiva”, alla cui espressione però sarebbe meglio togliere la parola scuola, che qui adopero per far capire il concetto di fondo. Non si tratterebbe solo di sostituire un centro estivo parrocchiale o statale con un altro, sarebbe piuttosto un radicale cambiamento di prospettiva, espressivo della consapevolezza di rompere il circolo vizioso: io Stato ti distruggo la famiglia e poi intervengo con le mie strutture in suo aiuto, tu pensa a lavorare che ai tuoi figli ci penso io, anche d’estate.

Questa proposta mi sembra interessante anche per un altro motivo. Organizzare una vera e propria scuola parentale è difficoltoso, ma organizzare una custodia educativa dei figli per i tre mesi estivi può essere un obiettivo fattibile. Certo non semplice, ma fattibile sì. Da questa esperienza può consolidarsi la convinzione di un “fai da te” educativo e sussidiario e, chissà!, qualche gruppetto di famiglie potrebbero poi essere incoraggiate a mettere in piedi anche una vera e propria scuola parentale. Intanto riappropriamoci dei figli durante l’estate, poi potremmo passare a riprenderceli anche negli altri nove mesi, non si sa mai.