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Dio ci parla nel deserto (e non usa lo smartphone)

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La Quaresima ci offre l’occasione del deserto, ma non basta: nel deserto possiamo comunque portarci lo smartphone, il televisore. Ci vuole il silenzio.

Editoriali 23_02_2024

«Ti condurrò nel deserto e là parlerò al tuo cuore» (Osea 2, 16). Questa frase mi è rimasta impressa nella mente fin da ragazzino. Nel libro omonimo, Dio ordina a Osea di sposare una prostituta; essa persevera nel suo peccato, insegue disperatamente i suoi amanti privandosi di ogni dignità. Ma Dio decide di redimerla: la porta nel deserto; la induce all’umiltà, cioè la forza a riconoscere la sua vera natura, il suo vero valore. Un passaggio doloroso, ma necessario per tornare a essere sposa amata e rispettata.

Ovviamente, Osea ritrae nel suo libro il rapporto tra Dio (lo sposo) e Israele (la sposa): una sposa infedele, inadatta, disprezzabile; eppure redimibile, contro ogni speranza e calcolo. Ovviamente, quanto vale per Israele vale per il Nuovo Israele, la Chiesa: il deserto e l’umiliazione, sono necessari perché la sposa possa ascoltare la voce di Dio e ritrovare il suo ruolo. Il deserto e l’umiliazione sembrano inaccettabili, una punizione troppo severa; sembra che Dio nasconda il Suo volto. Eppure è proprio in quella situazione che Dio ci parla.

Perché Dio ci parla sempre; ma per ascoltarlo abbiamo bisogno del silenzio. Abbiamo bisogno di abbandonare la musica di sottofondo, il frastuono, il chiacchiericcio, il rumore bianco che sempre accompagna le nostre giornate; abbiamo bisogno del deserto.

La Quaresima ci offre l’occasione del deserto, ma non basta: nel deserto possiamo comunque portarci lo smartphone, il televisore. Ci vuole il silenzio. Anche a Elia, Dio non parla nel fragore del vento impetuoso, nel fuoco: gli parla in una brezza leggera che, per essere colta, ha bisogno di silenzio (I Re, 19). Spesso lo dimentichiamo, vogliamo «sentire» la presenza di Dio, vogliamo che Dio ci parli con segni e manifestazioni; invece Dio parla nel silenzio, nel deserto. Il silenzio di Dio è la condizione quotidiana del cristiano, non l’emotività e la sensibilità del post-conversione. I santi l’hanno chiamata «notte dell’anima», «silenzio di Dio»; in realtà è il silenzio del mondo e dell’emotività, nel quale Dio ci parla, anzi ci sussurra delicatamente, per lasciarci ogni libertà. Anche quella di ignorarLo. Per sentire questo sussurro abbiamo bisogno del silenzio, del deserto.

Il deserto è il luogo dell’assenza di suono, dell’assenza di ogni cosa, del nulla: nessuna distrazione, niente che catturi la nostra fugace attenzione. Nel deserto, il mondo con il suo casino - come cantava Celentano - non c’è.

In buona sostanza: accettiamo di buon grado la Quaresima, approfittiamone per tornare a una vita senza distrazioni e perdite di tempo (sì, parlo di smartphone e televisori). Liberiamoci dalla confusione, dal rumore di fondo della vita moderna. Accogliamo le umiliazioni che Dio ci propone, perché queste, insieme al silenzio, sono la condizione per ascoltare la voce di Dio.

Questo, ovviamente, vale anche per la Chiesa, anzi: forse più per la Chiesa che per noi, visto che Osea parla del popolo di Dio come di una prostituta, che si concede a chiunque e vaga senza pace. Cambiamo dunque il nostro sguardo e cerchiamo di vedere l’amorevole Provvidenza divina anche dietro alla prostituzione e all’umiliazione auto-inflitta della Chiesa; ricordiamoci che è Cristo lo Sposo della Chiesa e che, per avere il suo ascolto, deve portarla nel deserto, nel silenzio, nell’umiliazione, nel nulla. Lì, finalmente, ella potrà tornare ad ascoltare la voce dello Sposo, lontana dalle tentazioni, dal clamore, dal brusio e dalle distrazioni mondane.

Una medicina amara, certo; ma salutare.