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UE

Dobbiamo ripensare l'Europa per salvarla

Finita la festa per la Francia, si ricomincia a parlare dei problemi seri. Parigi registra un deficit troppo alto da dieci anni e Berlino invita il neo presidente Macron a porvi rimedio. Ma quanto è sostenibile ancora il modello tedesco, per la Francia, l'Italia e gli altri paesi che non riescono a stare al passo? Si impone una nuova riflessione su quale Europa vogliamo.

Editoriali 13_05_2017
Parlamento europeo

Macron ha vinto, l’Europa è salva! Spentosi il grido di gioia comandata per l’arrivo all’Eliseo di un presidente “europeista” in realtà i problemi restano, in primo luogo per la Francia. Diversamente infatti da quanto quasi ogni giorno ripete (chissà perché) il grosso della nostra stampa, sulla scena europea non c’è un solo discolo, l’Italia. La Francia è anche peggio, con in più la complicazione che il commissario europeo per gli affari economici, Pierre Moscovici, è un importante notabile del Partito socialista francese, ora spinto ai margini dalla vittoria di Macron.

L’ultima volta che il deficit pubblico francese è rimasto al di sotto del 3% del prodotto interno lordo, PIL, come stabilito dagli accordi in sede di Unione Europea, risale al 2007, ossia a dieci anni fa. Improvvisamente accortosi della situazione, Moscovici ha adesso dichiarato che “L’Europa guarda a Macron domandandogli di essere serio in tema di finanza pubblica e tener fede agli impegni presi dalla Francia (…) non sarebbe buona cosa che la Francia fosse l’ultimo Paese in Europa a restare in una situazione di deficit eccessivo”. Per due volte, nel 2013 e nel 2015 (in quest’ultimo caso mentre a Parigi era ministro lo stesso Moscovici), la Commissione aveva concesso alla Francia due anni di tempo per mettersi in regola; a questo punto però non è più disposta a ulteriori indulgenze.

Non c’è dubbio che gli echi a Bruxelles della situazione politica interna della Francia complicano ancor di più la situazione, ma al di là di questo siamo ormai di fronte a un problema strutturale, quello del governo del deficit degli Stati, che la Germania impone di affrontare in modi di fatto insostenibili per Paesi come la Francia, l’Italia ma non solo. Essendo strutturale il problema è perciò politico, ma non esiste oggi in sede europea un ambito politico in cui poterlo affrontare adeguatamente. Né, a nostro avviso, ha senso che ciascuno degli Stati membri lo affronti negoziando con Bruxelles per conto proprio. Non si tratta di ottenere il meglio possibile nel quadro della situazione attuale; si tratta di cambiare il quadro. Da questo punto di vista con Macron non cambia niente. Per i motivi che più sopra si dicevano, si corre anzi il rischio che con lui paradossalmente le cose possano peggiorare.

In questo quadro la farraginosa “macchina” delle istituzioni europee non solo non è di aiuto ma sta diventando un peso sempre meno facile da sopportare.  Come ottimamente viene documentato nel nostro Europa sì, ma quale?, n.8 de “I libri della Bussola”, che uscirà tra breve, se non si vuole che naufraghi l’Unione va radicalmente riformata. Viceversa si pretende di lasciarla di andare avanti così come è coprendo la sua crisi con un deliberato equivoco: con la pretesa cioè che chiunque non sia d’accordo con questa Europa sia perciò ostile all’Europa in quanto tale. La ragione occhiuta dell’equivoco è evidente: si mira in questo modo ad accreditare l’attuale Unione Europea come l’unica legittima e possibile. Viceversa, pur essendo vero che una qualche forma di unione dei popoli europei è oggi opportuna, e forse indispensabile, non però ogni Europa va bene. 

L’esodo della Gran Bretagna dall’Unione ridà però spazio a un asse franco-tedesco che, malgrado ogni possibile attrito immediato, diventa irrevocabile. In forma tuttavia assai diversa da quella delle origini: con un centro di gravitazione non più renano bensì berlinese, ovvero prussiano. Ciò impone al nostro Paese un profondo ripensamento della sua politica europea, del quale fino ad oggi non si vede traccia né a sinistra né a destra. Pur senza chiudere la porta a Francia e Germania, a noi conviene diventare in tutta la misura del possibile un punto di riferimento e di forza per i Paesi membri, sia attuali che futuri, dell’Europa Sudorientale e Orientale. A noi conviene investire nel loro sviluppo e farne un volano per la riapertura dell’intera Europa al Mediterraneo e al Levante.  Che si tratti di una complessa operazione è evidente, ma è l’unica via su cui è realistico mettersi per uscire da una condizione che altrimenti non cesserà di divenire sempre più periferica e marginale. E anche per riequilibrare a vantaggio di tutti un predominio della Germania che altrimenti finirà ancora una volta, e con le consuete conseguenze catastrofiche, per diventare insopportabile.