Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Giovedì Santo a cura di Ermes Dovico
IL CASO

Gay pride, riparare si deve: lezione di Trieste a Genova

Nel capoluogo ligure Bagnasco e il suo ausiliare fermano i parroci sulla preghiera riparatrice al gay pride di domani. Ai cristiani Lgbt invece è concessa ogni anno una chiesa, con la presenza del vicario. Il silenzio degli uffici di curia, tra imbarazzi e convenienza. A Trieste invece è il vescovo Crepaldi in persona a promuovere un atto di riparazione dopo le espressioni blasfeme in sfilata. Perché i veri discriminati sono i fedeli ai quali viene impedito di pregare. 
-"COLPITA E SPORCATA LA FEDE DEL POPOLO" di Giampaolo Crepaldi
- E IL CARDINALE BECCIU CAMBIA LA DOTTRINA di Riccardo Cascioli

Attualità 14_06_2019

A Genova sono vietate, ma a Trieste invece sono promosse direttamente dal vescovo. Stiamo parlando delle preghiere di riparazione sorte in questi ultimi anni a fronte dei gay pride che in giugno si snodano lungo la penisola. Com’è ormai costante, le kermesse arcobaleno danno il peggio di sé offrendo uno spettacolo disdicevole che spesso e volentieri offende il pudore e il sentimento religioso.

Dalla prima riparazione pubblica svoltasi a Reggio Emilia ad opera del Comitato Beata Scopelli due anni fa, in tutt’Italia si sono moltiplicate iniziative libere di fedeli non organizzati in movimenti specifici, per risarcire il Sacro Cuore di Gesù dello spettacolo blasfemo offerto dalla militanza gay. Quest’anno ad esempio ne sono state fatte ad Avellino, a Pavia e a Varese.

Ebbene, giungono in contemporanea due episodi che in un certo senso mostrano chiaramente lo stato di confusione con cui la Chiesa italiana affronta non solo i gay pride, ma anche in generale tutta l’offensiva omosessualista in corso.

Genova. A fronte del gay pride organizzato per domani, 15 giugno, un gruppo di fedeli si è mosso con parroci conoscenti o di riferimento per recitare tre Rosari di riparazione al corteo arcobaleno. Si sarebbero dovuti tenere un Rosario e un’Adorazione eucaristica ieri nella chiesa di Santa Marta, oggi nella chiesa di San Pio X e domani nell’abbazia di Santo Stefano. Un vero e proprio “triduo riparatorio” – se così possiamo chiamarlo – perfettamente in linea con Miserentissimus Redemptor, l’enciclica di Pio XI sull’Atto di Riparazione al Sacratissimo Cuore di Gesù.

Ma mercoledì è arrivata la doccia gelata. Il comitato ha informato che “la curia arcivescovile di Genova ha chiesto ai sacerdoti responsabili delle chiese di annullare i momenti di preghiera di riparazione pubblici già programmati. Invitiamo pertanto i fedeli interessati alla riparazione di pregare altrove, in comunione spirituale”.

La Nuova BQ è venuta a conoscenza che la segnalazione alla curia è partita da uno dei tre parroci, che, forse per eccesso di zelo, ha avvertito di quanto stava per fare nel concedere la chiesa per un atto di riparazione. A quel punto è arrivata una chiamata direttamente da parte del vicario generale e vescovo ausiliare Nicolò Anselmi che ha stoppato le iniziative di preghiera.

I tre parroci, in sostanza, hanno detto di aver ricevuto – questa informazione è stata ribadita alla Nuova BQ da uno dei promotori - una telefonata del vescovo ausiliare, il quale li ha informati che il cardinale Angelo Bagnasco (arcivescovo di Genova in foto) ha ritenuto inopportune queste iniziative.

Nel corso della giornata di ieri la Nuova BQ ha chiesto conto di questa versione e della notizia in sé rilanciata dalle agenzie, sia al cardinale Bagnasco sia al suo ausiliare. Ma nel primo caso, uno dei membri della segreteria, Giovanni Battista Valle ci ha risposto imbarazzato di non saperne nulla e di non poter né confermare né smentire; Nel secondo caso invece, la segreteria dell’ausiliare e vicario ci ha informato che Anselmi “è impegnato tutto il giorno in riunione e non può essere disturbato e che non si può lasciargli messaggi”. Un comportamento davvero poco trasparente dato che, ufficialmente, la diocesi non ha comunicato nulla, ma che forse svela una certa convenienza a non sollevare troppa polvere. 

Affranto, ma ubbidiente, il comitato spontaneo di fedeli ha dovuto ripiegare su preghiere di riparazione private che si svolgeranno nella giornata di domani in un luogo segreto, come se fossimo tornati ai tempi delle catacombe. Resta il grandissimo caos per un comportamento che la curia di Genova non sembra aver alcuna intenzione di spiegare.

E’ curioso però che, mentre si negano d’imperio preghiere riparatrici per il gay pride in sé, non solo per le eventuali blasfemie proferite, dall’altro lato si aprono più che volentieri le porte alle chiese per le ormai classiche veglie antiomofobia. In San Pietro in Banchi ad esempio, le veglie omoeretiche si svolgono almeno dal 2017. E anche quest’anno, il 12 maggio scorso, la chiesa è stata aperta in occasione di una Preghiera ecumenica per le vittime dell’omofobia, della transfobia e di tutte le discriminazioni per un evento promosso dal Gruppo Bethel di persone Lgbt credenti liguri con la collaborazione della Cgil (perché?), dell’Associazione Princesa (fondata da don Andrea Gallo per i diritti dei trans) e dal Coordinamento Liguria Rainbow.

Ma c’è di più: a presiedere la veglia del 2017 c’era proprio il vescovo Anselmi. Ecco spiegato forse il perché proprio dall’ausiliare è arrivato lo stop riparatorio. Ma non deve stupire nemmeno questo doppiopesismo tipicamente clericale: ai gay pride ormai partecipano anche i gruppi dei cristiani Lgbt. Da un lato dunque si chiudono le chiese a chi prega per riparare gli affronti, dall’altro gli stessi affronti vengono compiuti proprio sotto gli occhi di persone che si dichiarano espressamente cattoliche.

Veniamo ora alla pars construens di questa storia. A Trieste il comportamento del vescovo è stato l’opposto di quello di Genova. Qui, il FVG pride ha lasciato dietro di sè ferite spirituali considerevoli. Basti pensare che durante il corteo è girata via social una foto di un cartello recante una storpiatura del Padre Nostro e dell’Ave Maria così disgustosa che in pochi sono riusciti a portare a termine la lettura. Ebbene: a fronte di questi oltraggi a Dio, a Gesù Cristo e alla Madonna, l’Arcivescovo Giampaolo Crepaldi ha disposto egli stesso la recita di un atto di riparazione.

Così recita il comunicato emesso proprio dalla diocesi di Trieste: “A seguito di alcune espressioni pubbliche, offensive e discriminatorie della fede cristiana, avvenute nell’ambito del Gay pride tenutosi a Trieste alcuni giorni orsono, si celebrerà una preghiera di riparazione il 13 giugno, a partire dalle 20.30, presso il Santuario diocesano di Monte Grisa”. E ieri sera, nel principale santuario cittadino, il popolo con il suo Arcivescovo ha pregato e riparato: "Si è colpito al cuore il nucleo più prezioso della nostra fede nel Cristo Signore e la nostra devozione. Ecco la necessità di riparare quello che è stato rotto e di pulire quello che è stato sporcato, che, da Gesù Cristo in poi, costituisce la missione propria della Chiesa e di noi cristiani", ha detto. 

La decisione di Crepaldi mostra chiaramente che riparare si può e si deve. Perché a Genova invece questa opposizione? Sbaglierebbe chi pensasse che siamo di fronte a due approcci diversi e a due sensibilità egualmente accettabili. No, una è cattolica, l’altra non è altro che un ripiegare la testa di fronte ad un potere minaccioso che fa la voce grossa e intimidisce.

Per capire chi dei due vescovi  occupi una posizione piuttosto che l’altra basti vedere come vengono trattate le vere vittime e i veri discriminati di questo impazzimento, i quali non sono gli omosessuali “gai” in giro per le strade e per le chiese, dato che quest’anno le veglie omoeretiche si sono svolte senza alcun intoppo, ma i cattolici silenziati, umiliati e trattati come “nemici” proprio dai loro stessi pastori. Sono loro le vere vittime della discriminazione della prepotenza "cattomosex".