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PONTE MORANDI

Genova, inutile trovare il colpevole senza una conversione collettiva

Impressionano le immagini dei morti, gente comune come noi diretta in vacanza e quelle in cui il ponte Morandi era salutato come simbolo del progresso senza limiti. Oggi invece ci si scaglia contro i costruttori e si cerca un colpevole, secondo un'idea pessimista dell'uomo. Sono due prospettive errate e quindi incapaci di risolvere i problemi. Solo una visione permette una operosità intelligente e una vera vigilanza, ecco quale.  

Editoriali 18_08_2018

C’era chi aspettava da mesi le vacanze, come la famiglia morta sul ponte Morandi di Genova mentre si dirigeva verso la Sardegna. C’era una comitiva di ragazzi francesi, tutti pircing e tatuaggi, pronti a salpare per la Sicilia. C’erano dei lavoratori che tornavano finalmente a casa, come il camionista francese dopo un lungo peregrinare per l’Europa. C’erano conviventi, fidanzati, separati. C’erano bambini, adolescenti, giovani, mamme e papà. C’era l’Italia e potevamo esserci anche noi sul ponte Morandi di Genova, specialmente in questo tempo di vacanze.

Dovrebbero sorgere spontanee molte domande sul senso della vita e sulla morte ineluttabile, eppure quella che si è scatenata è innanzitutto una caccia alle streghe, dove c’è chi, come Di Maio, ha subito accusato i vertici della società Autostrade prima ancora che la giustizia faccia il suo corso. Tutti paiono cercare una responsabilità immediata come per sgravarsi della propria. Accade in politica ai 5 Stelle, che per oscurare il fatto di essere sempre e comunque contro le grandi opere (anche nel caso della sostituzione di questo ponte ipotizzata per anni), hanno fretta di trovare il colpevole. Ma quello che succede in politica capita anche a livello umano; meglio trovare un responsabile, così da farsi una ragione della morte improvvisa di gente comune come noi e così consolarsi pensando di eliminare il male per illudersi che non accadrà più nulla di simile. 

Non che non si debba cercare una ragione, una responsabilità. Non che non si debba comprendere il motivo del crollo, nei tempi necessari a fare chiarezza, ma il giustizialismo irrazionale e ideologico non è quello che serve a tal fine. Paiono infatti dominare due sfaccettature della stessa ideologia che impediscono entrambe di tenere davvero a bada il male: l'una appare nelle immagini degli anni Sessanta apparse nei Tg, quando all’inaugurazione del ponte Morandi fu presente tutta la stampa d’Italia e perfino il Presidente della Repubblica, in un clima di progresso infinito, come se, dopo la Grande Guerra e il boom economico, il futuro sarebbe stato sempre più positivo e privo di limiti: l'altra contrappone all'ottimismo miope il pessimismo per cui nell'uomo domina il male, perciò “no” alle grandi opere, "no" al progresso in ogni forma o a qualsiasi cosa possa disturbare la natura.

Questi due atteggiamenti che facevano anni fa dell’uomo costruttore un dio e che ora lo dipingono come un cancro, eliminando uno dei fattori umani (il male o il bene), sono culturalmente parecchio dannosi. L’unica visione realista resta quella cristiana per cui l’uomo porta in sé una ferita che lo rende soggetto al male, ma anche una spinta e un desiderio infiniti di bene. Un uomo cosciente di questo saprà allora che dovrà vigilare sia sulla sua vita privata, sia su quella sociale, consapevole di poter cadere in ogni momento e di avere bisogno di Altro per raggiungere il bene a cui aspira. Solo in una visione tale l'opera umana non è disprezzata, ma se mai ben studiata e mai considerata priva di limiti, portando perciò a vigilare su di essa nel tempo tramite piani di controllo e di manutenzione. Lo stesso realismo è quello per cui l’uomo, che desidera il paradiso, vigila sulla sua esistenza, sapendo di essere debole e fragile, con il passare degli anni, alla demoralizzazione. Un uomo tale rendendosi conto di non essere in grado di vivere ogni istante all’altezza per cui è fatto, domanda aiuto.

Per questo nel Vangelo ambrosiano di giovedì scorso il Signore, dopo aver ricordato che prima di comparire davanti al Giudice bisogna chiudere i conti con il male («Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, lungo la strada procura di accordarti con lui, perché non ti trascini davanti al giudice e il giudice ti consegni all'esecutore e questi ti getti in prigione»), perché «ti assicuro, non ne uscirai finché non avrai pagato fino all'ultimo spicciolo», dice ai Galilei: «Quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite (cioé non vi rivolgerete a me, ndr), perirete tutti allo stesso modo».

Parole dure? No realiste, appunto, che riguardano i morti di Genova, fra cui ci saranno forse santi o grandi peccatori, e ciascuno di noi. Così, davanti alle tragedie stradali che stanno colpendo in questi giorni di viaggi e vacanze l’Italia, non è possibile non scorgere un monito di conversione personale e sociale. Prima ancora che cercare le colpe fuori di noi.