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RIFLESSIONI SULLA MORTE DI GENOVA

Genova, la vita è la nave, non la dimora

Il cristiano dovrebbe essere convinto di quanto affermava santa Teresina di Lisieux: “La vita è la tua nave, non la tua dimora”. Purtroppo, l'esperienza ci dice che  molti cristiani oggigiorno, si sono lasciati  assorbire dalla mentalità del mondo e  non attendono più il ritorno di nostro Signore, perché dubitano delle promesse fatte da Gesù ai suoi discepoli, come quella di venire a prenderli per vivere l'eternità con Lui, nel suo Regno.

Editoriali 19_08_2018
Il presidente Mattarella alle esequie di Genova

“O Signore, insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore” (Salmo 89,12). Il mese di Agosto è considerato in Italia il mese del riposo per eccellenza, dato che le vacanze sono spese principalmente in questo periodo, mentre negli altri paesi europei le ferie vengono godute in vari momenti dell'anno. Dal primo agosto si chiudono le fabbriche e le attività delle grandi imprese, così le auto, cariche di bagagli, trafficano sulle strade e autostrade per raggiungere le varie località marittime e  montane. Nessuno dei vacanzieri sentirà il  bisogno di mettere in conto l'eventualità dell'incontro con la morte e a pochi sfiorirà il pensiero che la meta da raggiungere potrebbe non essere quella stabilita con l'agenzia viaggi, ma l'addio al mondo dei viventi.

Eppure la cronaca insegna che  tutti gli anni, nel periodo delle ferie, avvengono incidenti  sulle strade,  sui monti e nei mari con un numero elevato di morti. Ciononostante,  se qualcuno volesse menzionare la possibilità, in questo periodo di vacanza, di incontrare sorella morte corporale, come la chiamava san Francesco di Assisi, verrebbe fulminato da  sguardi commiserevoli e patetici, divenendo soggetto di sberleffi e gesti scaramantici. Come mai? Il monaco giapponese, Yamamoto Tsunetomo, diceva a proposito: “Tutti sappiamo di dover morire, ma ci illudiamo di poter morire dopo gli altri e che ancora non è venuto il nostro giorno”.

Ebbene, solo in questi primi  giorni di agosto sono capitati quattro fatti sconcertanti sulle strade italiane intasate di vacanzieri in transito verso le zone turistiche. L'ultimo in ordine di tempo quello di Genova dove a morire secondo le ultime informazioni sono stati in 42 e che ieri ha visto il pietoso rito dei funerali di Stato per 19 vittime.

E' proprio vero, quanto affermava Eucherio di Lione: “Non c'è niente che gli uomini vedono tutti i giorni come la morte, eppure non si scordano di niente quanto della morte”. “Cos'è la vita?”, chiese la giornalista Oriana Fallaci a un amico francese. E lui rispose: “La vita è un palcoscenico dove si viene buttati di prepotenza e dove si è costretti ad attraversare in un modo o nell'altro prima di uscire di scena. E per l'uscita non conta il tempo che ci metti, conta il modo in cui lo attraversi. L'importante, quindi, è attraversarlo bene”. Chi di noi, credenti in Cristo, si sente in grado di affermare di essere preparato ad accogliere  la morte? Sia chiaro che per  un ateo, per uno che non è convinto dell'esistenza dell'aldilà,  il tema della morte come una esperienza positiva  sia un tema senza senso. Ma per un cristiano, per uno che ha scelto  di seguire  Cristo e che  di conseguenza crede nell'esistenza di una vita  oltre la morte, essa dovrebbe essere  il pensiero positivo che lo dovrebbe aiutare, giorno dopo giorno, a vivere serenamente l'attesa dell'incontro con il  Signore Gesù.

Il cristiano dovrebbe essere convinto di quanto affermava santa Teresina di Lisieux: “La vita è la tua nave, non la tua dimora”. Purtroppo, l'esperienza ci dice che  molti cristiani oggigiorno, si sono lasciati  assorbire dalla mentalità del mondo e  non attendono più il ritorno di nostro Signore, perché dubitano delle promesse fatte da Gesù ai suoi discepoli, come quella di venire a prenderli per vivere l'eternità con Lui, nel suo Regno: “Vado a prepararvi un posto” - disse ai suoi discepoli. “E quando vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi  prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi” (Gv. 14,2-3). Durante la sua vita terrena Gesù parlava spesso della sua morte  con i suoi discepoli, manifestando loro  l'ardente desiderio di passarvi per portare a compimento la missione del Padre suo e Padre nostro.

Perché quando viene la morte viene anche Cristo, portandoci quella vita eterna che ci ha acquistato con la propria morte. Perciò quelli che amano la vera vita pensano spesso alla loro morte” (Il monaco Thomas Merton). “Se ami Cristo come puoi temere la sua venuta?” (San Gregorio Magno). Cosa significa avere vivo il pensiero della morte? Agire come i cristiani di Tessalonica che, con la scusa di dover  morire, non si impegnavano nella società, tanto da essere ammoniti severamente da san Paolo: “Chi non vuole  lavorare non deve neanche mangiare”? (2Ts. 3,10).

Si Racconta che una volta, quando san Luigi Gonzaga era novizio durante una ricreazione in cui si giocava a palla avvelenata, i  compagni del convento all'improvviso posero a Luigi la seguente domanda: “Se ti venisse data la possibilità di sapere che tra qualche minuto ti sarà chiesta l'anima, cosa faresti?”. “Io continuerei a giocare”, rispose il Gonzaga. La sua risposta potrebbe essere quella di una persona frivola, inconsapevole della morte o che evita tale consapevolezza. Talvolta i santi possono apparire del tutto spensierati, e lo sono, ma la loro spensieratezza è l'esatto contrario dell'incuria. La risposta di Luigi Gonzaga dimostra che affrontava già il rigore della questione, e l'imminenza della morte non l'ha paralizzato, lo ha spinto ad agire come gli altri ma in profondità, con verità.

La palla avvelenata non era una distrazione ma il suo compito in quel momento, un compito che egli viveva  già intensamente, nell'amore e nel suo completo affidarsi alla Provvidenza. Infatti quel che conta non è la grandezza di ciò che si fa, ma la verità e l'amore con i quali lo si fa. In questo Luigi Gonzaga è molto ebreo. Un brano del Talmud (teologia ebraica) comanda: “Se stai piantando un albero e ti dicono che il Messia sta arrivando, prima finisci di piantare l'albero”. Non si tratta di indifferenza per la venuta del Messia, ma di premura. Il contadino che pianta un olivo deve farlo come un modo per accogliere il Messia e questa intenzione non deve mai abbandonare il suo cuore. Luigi Gonzaga era un ragazzo serio, ecco perché giocava a palla.

Vivere nell'imminenza della fine non implica che non bisogna più divertirsi o piantare alberi o lavorare, per esempio, in banca. Esige soltanto che lo si faccia con serietà, che l'ordine delle priorità si disponga rispetto a questa fine. "Allora si giocherà a palla come se si giocasse con gli angeli; si pianterà un albero come si semina una preghiera; si accoglie un cliente che viene ad aprire un conto in banca come se fosse il Messia che viene ad aprire le nostre anime” (Fabrice Hadjadj in “Farcela con la morte” Ed. Cittadella, pag. 47-48).

San Giovanni Bosco raccomandava ai suoi ragazzi: “Lavoriamo come se dovessimo vivere sempre, e viviamo come se dovessimo morire in questo giorno”. I fatti tragici di  questi giorni ci ricordano la  caducità della nostra vita e la possibilità di trovarci  da un momento all'altro davanti a Dio a rimettere la nostra se pur breve esperienza di vita. Possiamo continuare a vivere come se  la morte,  troppo impegnata a visitare gli altri, non trovi  il  tempo per prendersi cura  di noi?