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POLITICA

Giovani immigrati senza lavoro e senza avvenire

L'integrazione resta un'illusione. Se Papa Francesco individua nel lavoro e nella famiglia gli elementi fondamentali perché i giovani abbiano un futuro, che avvenire hanno i giovani immigrati senza lavoro e senza famiglia? Se nemmeno la Svezia, con un'economia in crescita, riesce a inserire gli immigrati nel mondo del lavoro, che speranze dà la povera Italia, dove il 40% dei giovani italiani è disoccupato? Quella che emigra dall'Africa è una generazione di giovani senza futuro, che non troverà un avvenire migliore da noi.

Politica 15_06_2017
Immigrati

Il 10 giugno Papa Francesco si è recato al Quirinale in visita ufficiale. Con il Presidente della repubblica Sergio Mattarella ha parlato di politiche famigliari e del futuro dei giovani italiani, rinnovando il suo appello a creare delle opportunità di lavoro dignitoso che consentano alle nuove generazioni di formare una famiglia e mettere al mondo dei figli.

“Il lavoro stabile – ha detto il Pontefice – insieme a una politica fattivamente impegnata in favore della famiglia, primo e principale luogo in cui si forma la persona-in-relazione, sono le condizioni dell’autentico sviluppo sostenibile e di una crescita armoniosa della società. Sono due pilastri che danno sostegno alla casa comune e che la irrobustiscono per affrontare il futuro con spirito non rassegnato e timoroso, ma creativo è fiducioso”. 

“Le nuove generazioni – ha proseguito il Papa – hanno il diritto di poter camminare verso mete importanti e alla portata del loro destino in modo che, spinti da nobili ideali, trovino la forza e il coraggio di compiere a loro volta i sacrifici necessari per giungere al traguardo, per costruire un avvenire degno dell’uomo, nelle relazioni, nel lavoro, nella famiglia e nella società”. 

Le nuove generazioni ne hanno diritto. E i nuovi arrivati, gli immigrati? Papa Francesco ha parlato anche di loro congratulandosi con stato e popolo italiani per “l’accoglienza ai numerosi profughi che sbarcano sulle sue coste, l’opera di primo soccorso garantita dalle sue navi nel Mediterraneo e l’impegno di schiere di volontari”. È chiaro – ha aggiunto – che poche nazioni non possono farsi carico interamente di assicurare “un’ordinata integrazione dei nuovi arrivati nel proprio tessuto sociale”.

Ma proprio le sue precedenti parole su giovani, lavoro e famiglia indicano che l’integrazione dei numerosi immigrati che continuano a raggiungere l’Italia non è affatto questione di poche o tante nazioni unite in un progetto di accoglienza. 

Un lavoro dignitoso e stabile, condizione necessaria di integrazione, e una famiglia, primo indispensabile luogo di affetti, di formazione e socializzazione: mancano entrambi alle centinaia di migliaia di giovani africani e asiatici accolti in Europa. Nessun paese europeo è in grado di offrire un’occupazione a così tante persone, men che meno l’Italia dove il 40% dei giovani – la stessa fascia d’età dell’87% degli immigrati illegali – sono disoccupati e 4,5 milioni di persone vivono in condizioni di povertà assoluta. Ma persino la generosa Svezia, che vanta un’economia in crescita, nel 2016 è riuscita ad assicurare un lavoro regolare a meno di 500 immigrati su oltre 163.000 arrivati l’anno precedente. 

Senza lavoro e senza famiglia. Per molti di loro emigrare è un progetto individuale, altri si mettono in viaggio spinti e aiutati dai parenti, ma quasi tutti arrivano soli. E nascono in Italia, da donne appena sbarcate, bambini senza papà, nonni, zii, fratelli: lontani per anni, forse per sempre. I minori non accompagnati, come fossero tutti orfani, vengono inseriti in programmi di inclusione nella società italiana: resi davvero orfani anche se in qualche parte del mondo genitori, zii, fratelli forse si sono pentiti di averli affidati ai trafficanti che li hanno portati via o, se invece sono stati rapiti, non si danno pace, si domandano che ne è di loro e se sono ancora vivi.   

“Noi siamo una generazione oggettivamente privata di avvenire” scriveva all’inizio degli anni 90 Axelle Kabou, una sociologa camerunese autrice di un libro dal titolo insolito e che fece scandalo: E se l’Africa rifiutasse lo sviluppo? Kabou denunciava l’abbandono in Africa degli ideali di libertà, giustizia, rispetto dei diritti umani assimilati negli anni della dominazione europea e in nome dei quali si erano combattute le guerre di indipendenza: con essi – diceva – sono venute meno le speranze di sviluppo economico e sociale e a farne le spese sono generazioni di giovani senza futuro.

A emigrare illegalmente, adesso, sono le generazioni successive a quella di Axelle Kabou. Oggi, “senza avvenire”, più di chiunque, sono proprio i giovani che lasciano l’Africa e impongono all’Europa di accoglierli, ospitarli. Iniziano una nuova vita nel peggiore dei modi: ricorrendo a espedienti e alla forza, con la complicità di organizzazioni criminali. Senza un lavoro stabile, senza una cerchia famigliare, dovranno vivere quasi tutti senza poter contare sui pilastri giustamente individuati da Papa Francesco come necessari per costruirsi una vita degna e affrontarne le sfide. Quanti drammi individuali si preparano, e, per i paesi che accolgono senza poter integrare, l’arduo compito di far fronte a crisi economiche e sociali difficili se non impossibili da risolvere. 

Una città italiana come tante, accogliente, impegnata nell’integrazione dei “nuovi cittadini”, ha dedicato a loro il mese di giugno. Lo ha chiamato il “Mese senza muri”. Tra le iniziative e gli eventi figurano una corsa a staffetta, spettacoli musicali e teatrali, una apericena multietnica. In occasione della giornata internazionale del rifugiato, il 20 giugno, è stato organizzato un torneo di calcio, “Un calcio per l’integrazione”. 

Musica, sport, convivialità, buone intenzioni di pace, dignità, legalità. La pretesa o l’illusione che l’integrazione sia questo e che basti a trasformare i giovani immigrati in uomini responsabili, soddisfatti, apprezzati e ben inseriti è imperdonabile.