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USA

Golpe contro Trump: il sogno dei conservatori

Donald Trump ha già vinto la candidatura alla Casa Bianca con il voto popolare. Ma il Partito Repubblicano non lo ha ancora digerito. Un gruppo di delegati conservatori mira dunque a cambiare in corsa le regole del gioco per bocciarlo alla prossima Convenzione. Ma a questo punto sarebbe un autogol clamoroso.

Esteri 22_06_2016
Donald Trump

Non c’è solo Bernie Sanders a sognare una Convention di partito con il golpe: ci stanno pensando seriamente anche alcuni conservatori non rassegnati a vedere il Partito Repubblicano deragliare con Donald J. Trump. Dopo l’idea di sfidare da destra il milionario attraverso un candidato indipendente, è questa la notizia che tiene banco adesso negli Stati Uniti. Sul piano tecnico, il meccanismo che lo permetterebbe è questo.

I 1542 delegati alla Convenzione ottenuti con il voto popolare nelle primarie conferiscono matematicamente a Trump la nomination Repubblicana (il quorum è di 1237 su 2472). L’unico modo per negargliela sarebbe che alla Convenzione la maggioranza dei delegati non votasse per lui, ma le regole del partito lo vietano. Però le regole del partito si possono cambiare: se alla Convenzione la maggioranza dei delegati decidesse di modificarle, potrebbe farlo. A quel punto i delegati sarebbero svincolati e voterebbero secondo coscienza. I delegati che le primarie assegnano ai vari candidati in lizza sulla base del voto popolare sono infatti tenuti a rispettare il criterio di attribuzione stabilito dal partito, ma non è affatto detto che in cuor loro appoggino il candidato cui vengono assegnati; a maggior ragione negli Stati in cui la legge elettorale maggioritaria assegna in blocco tutti i delegati in palio a chi ottiene la maggioranza dei voti popolari.

A tentare sul serio quest’impresa estrema sono due delegate Repubblicane elette in Colorado, Kendal Unruh e Regina Thompson, che pochi giorni fa hanno costituito il fronte denominato “Free the Delegates” (“Libera i delegati”). Alla prima conference-call dell’iniziativa, il 16 giugno, hanno partecipato 30 delegati alla Convenzione nazionale Repubblicana provenienti da 15 Stati diversi; meno di una settimana dopo, il 20 giugno, alla seconda conference-call hanno preso parte più di mille delegati, 400 dei quali hanno già aderito all’iniziativa volta a modificare le regole della Convenzione, proprio nel momento in cui Trump licenzia un suo fedelissimo, Corey Lewandowski, il direttore della sua campagna elettorale. La cosa è oltremodo significativa giacché suona come uno stop ai toni esagerati e ai temi caricaturali che sinora hanno fatto la fortuna di Trump ma che, gestiti da Lewandowski, restano assai detestati da buona parte del movimento conservatore a cui inevitabilmente Trump (in lotta perenne con i sondaggi che ne misurano le distanze da Hillary Clinton) deve chiedere voti decisivi l’8 novembre. Come ogni politico Repubblicano degli ultimi 50 anni, anche Trump sta toccando ora con mano la cruda verità: senza l’appoggio del movimento conservatore nessun Repubblicano può vincere.

Il movimento dei delegati anti-Trump si è già dato anche un braccio operativo, iniziando il 19 giugno a raccogliere i fondi necessario all’impresa attraverso un comitato ad hoc chiamato “Courageous Conservatives”. Il livello dello scontro è alto. «Trump afferma di essere pro-life, ma era pro-aborto», dice Gayle Ruzicka, delegata anti-Trump dello Utah. «Afferma di essere a favore del matrimonio tradizionale, ma non lo è mai stato. Il suo stile di vita è tale da impedirmi di sostenerne la candidatura. Trump non sembra nemmeno comprenderli i princìpi cristiani». Talmage Pearce, delegato dell’Arizona, punta il dito contro la «visione truffaldina, sbruffona, insolente, ricattatoria e liberal» del tycoon newyorkese. E dal canto proprio Trump risponde accusando di complotto i suoi avversari delle primarie Jeb Bush e Ted Cruz.

Sia come sia, quest’ultimo scontro potrebbe dare ai Repubblicani il colpo di grazia. Difficilmente un partito così spaccato saprà conquistare la Casa Bianca. I conservatori lo sanno bene, ma sembrano disinteressarsene. Il fatto che uno dei loro “capitani”, il presidente della Camera federale Paul Ryan, sostenitore obtorto collo di Trump in nome dell’unità del partito, domenica 19 abbia dichiarato alla rete televisiva NBC, proprio mentre si svolgeva la seconda riunione virtuale dei “ribelli”, «non è compito mio dire ai delegati cosa fare e cosa non fare» ha fatto esclamare alla “pasionaria” Unruh: «Paul Ryan ci ha firmato l’autorizzazione dei genitori».