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VENERDI' SANTO

I cristiani perseguitati e il "silenzio complice"

Il Triduo Pasquale ha al suo centro la preghiera per e con i cristiani perseguitati. La persecuzione è il Venerdì Santo della Chiesa. Essa si svolge, ha detto il Papa, nel nostro «silenzio complice», manifestazione tra le più gravi del peccato da cui il Venerdì Santo ci chiama a convertirci.

MAPPA DELLA PERSECUZIONE di S. Magni

Ecclesia 04_04_2015
Via Crucis al Colosseo

Come aveva annunciato Papa Francesco nell’udienza dello scorso mercoledì, in quest’anno 2015 così particolarmente insanguinato dalle violenze contro i cristiani – all’ultima strage il Pontefice ha esplicitamente fatto cenno in un telegramma ai vescovi del Kenya – il Triduo Pasquale ha al suo centro la preghiera per e con i cristiani perseguitati. La persecuzione è il Venerdì Santo della Chiesa. Essa si svolge, ha detto il Papa, nel nostro «silenzio complice», manifestazione tra le più gravi del peccato da cui il Venerdì Santo ci chiama a convertirci. Il tema è ritornato nell’omelia del predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa, nel corso della celebrazione della Passione del Signore in San Pietro, presieduta dal Papa, nei testi delle stazioni della Via Crucis al Colosseo predisposti dal vescovo emerito di Novara mons. Renato Corti, e nelle parole del Pontefice al termine della Via Crucis.

L’omelia di padre Cantalamessa è partita da un’opera d’arte, l’«Ecce homo» del pittore fiammingo del secolo XVI Jan Mostaert. Il predicatore l’ha descritta così: «Gesù ha in capo una corona di spine. Un fascio di arbusti spinosi che si trovava nel cortile, preparato forse per accendere il fuoco, ha suggerito ai soldati l’idea di questa crudele parodia della sua regalità. Dal capo di Gesù scendono gocce di sangue. Ha la bocca semiaperta, come chi fa fatica a respirare. Sulle spalle gli è posto un mantello pesante e consunto, più simile a latta che a stoffa. E sono spalle solcate dai colpi recenti della flagellazione! Ha i polsi legati a due ritorte con una rozza fune; in una mano gli hanno messo una canna a modo di scettro e nell’altra un fascio di verghe, simboli beffardi della sua regalità». In questo dipinto impressionante vediamo «Gesù che non può più muovere neppure un dito; è l’uomo ridotto all’impotenza più totale, il prototipo di tutti gli ammanettati della storia».

Cantalamessa ha collegato il dipinto di Mostaert a un celebre pensiero del filosofo Blaise Pascal: «Cristo è in agonia fino alla fine del mondo: non bisogna dormire durante questo tempo». C’è un «significato troppo misterioso» e teologicamente complesso del pensiero secondo cui Gesù, pure risorto e anzi proprio perché è risorto, continua la sua agonia. Ma il «senso più certo di quelle parole» è che «Gesù è in agonia fino alla fine del mondo in ogni uomo o donna sottoposti agli stessi suoi tormenti». «Per una volta», ha chiesto il predicatore, «non pensiamo alle piaghe sociali, collettive: la fame, la povertà, l’ingiustizia, lo sfruttamento dei deboli. Di esse si parla spesso — anche se mai abbastanza —, ma c’è il rischio che diventino delle astrazioni». Pensiamo invece alle vittime concrete, ai perseguitati, ai torturati, che oggi nella maggior parte dei casi sono cristiani.

«I cristiani non sono certamente le sole vittime della violenza omicida che c’è nel mondo – ha ricordato padre Cantalamessa –, ma non si può ignorare che in molti paesi essi sono le vittime designate e più frequenti. È di ieri la notizia di 147 cristiani trucidati dalla furia jihadista degli estremisti somali in un campus universitario del Kenya. Chi ha a cuore le sorti della propria religione, non può rimanere indifferente di fronte a tutto ciò. Gesù disse un giorno ai suoi discepoli: “Viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere onore a Dio” (Giovanni, 16, 2). Mai forse queste parole hanno trovato, nella storia, un compimento così puntuale come oggi». La Pasqua del 2015, ha detto il predicatore, è per la Chiesa una Pasqua di martiri.

Citando un editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera, Cantalamessa ha affermato che «c’è stato qualcuno che ha avuto il coraggio di denunciare, da laico, la inquietante indifferenza delle istituzioni mondiali e dell’opinione pubblica di fronte a tutto ciò, ricordando a che cosa una tale indifferenza ha portato nel passato». Davvero «rischiamo di essere tutti, istituzioni e persone del mondo occidentale, dei Pilato che si lavano le mani».

Il nostro esempio, però, non è Pilato. È Gesù che muore gridando: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Luca, 23, 34). «Questa preghiera non è semplicemente mormorata a fior di labbra; è gridata perché la si oda bene. Anzi non è neppure una preghiera, è una richiesta perentoria, fatta con l’autorità che gli viene dall’essere il Figlio: “Padre, perdona loro!”».  Poiché non c’è preghiera di Gesù che il Padre non ascolti, «dobbiamo credere che ha ascoltato anche questa sua ultima preghiera dalla croce, e che quindi i crocifissori di Cristo sono stati perdonati da Dio (certo, non senza essersi prima, in qualche modo, ravveduti) e sono con lui in paradiso, a testimoniare per l’eternità fin dove è stato capace di spingersi l’amore di Dio». 

Questo ci sembra sorprendente. È difficile da credere. Ed è ancora più difficile amare e perdonare i nemici e i persecutori di oggi, del 2015. «Ci verrebbe da dire: “Signore, ci chiedi l’impossibile!”.  Ci risponderebbe: “Lo so, ma io sono morto per potervi dare ciò che vi chiedo. Non vi ho dato solo il comando di perdonare e neppure soltanto un esempio eroico di perdono; con la mia morte vi ho procurato la grazia che vi rende capaci di perdonare. Io non ho lasciato al mondo solo un insegnamento sulla misericordia, come hanno fatto tanti altri. Io sono anche Dio e ho fatto scaturire per voi dalla mia morte fiumi di misericordia. Da essi potete attingere a piene mani nell’anno giubilare della misericordia che vi sta davanti”».

Questo invito al perdono significa che dobbiamo rimanere passivi di fronte al male, non denunciarlo, non gridarne l’ingiustizia? «Al contrario», ha risposto Cantalamessa, la denuncia è obbligatoria. Ma è dal modo di denunciare il male e le persecuzioni che si riconosce il cristiano. «Cristo ha vinto il mondo, vincendo il male del mondo. La vittoria definitiva del bene sul male, che si manifesterà alla fine dei tempi, è già avvenuta, di diritto e di fatto, sulla croce di Cristo». Con il Venerdì Santo e la Pasqua « il male è perdente; tanto più perdente, quanto più sembra trionfare. È già giudicato e condannato in ultima istanza, con una sentenza inappellabile». Gesù «ha vinto la violenza non opponendo ad essa una violenza più grande, ma subendola e mettendone a nudo tutta l’ingiustizia e l’inutilità». 

Si potrebbe obiettare che il Vecchio Testamento riporta spesso vicende dove il popolo ebraico reagisce alla violenza con la violenza. Ma anche qui vale quel «da principio non fu così» che Gesù ricorda a proposito del divorzio. La paziente pedagogia di Dio ha accompagnato il suo popolo in diverse circostanze storiche, ma alla fine, come ha rifiutato il divorzio e il ripudio, così ha insegnato che «i veri martiri di Cristo non muoiono con i pugni chiusi, ma con le mani giunte». Ne abbiamo avuto «tanti esempi recenti. È lui che ai ventuno cristiani copti uccisi dall’Isis in Libia il 22 febbraio scorso, ha dato la forza di morire sotto i colpi, mormorando il nome di Gesù». E anche noi preghiamo, ha concluso Cantalamessa,  «per i nostri fratelli di fede perseguitati, e per tutti gli “Ecce homo” che ci sono, in questo momento, sulla faccia della terra, cristiani e non cristiani».

Con i cristiani perseguitati Papa Francesco ha seguito anche le stazioni della Via Crucis al Colosseo. Le meditazioni del vescovo emerito di Novara mons. Renato Corti hanno cercato di abbracciare tutte le dimensioni della sofferenza dell’uomo contemporaneo, e di proporre insieme – un compito certo non sempre facile – l’annuncio della verità della Resurrezione, affidato all’origine al «genio femminile» delle donne che per prime l’hanno compresa secondo un testo dell’allora cardinale Ratzinger, e l’offerta della misericordia di una Chiesa «povera e amica dei poveri» presentata con un testo del cardinale Martini, la verità sulla famiglia e l’invito a non giudicare chi si trova in situazioni difficili. Tra le sofferenze del 2015 citate nei testi di mons. Corti è emersa con forza speciale quella dei cristiani «perseguitati. condannati o addirittura trucidati solo perché credenti o impegnati in favore della giustizia e della pace. Essi non si vergognano della tua croce. Sono per noi mirabili esempi da imitare». 

Il testo ha ricordato il martirio nel 2011 del ministro cattolico pakistano Shahbaz Bhatti, invitando a meditare sul suo testamento spirituale dove si legge: «Ricordo un venerdì di Pasqua quando avevo solo tredici anni: ascoltai un sermone sul sacrificio di Gesù per la nostra redenzione e per la salvezza del mondo. E pensai di corrispondere a quel suo amore donando amore ai nostri fratelli e sorelle, ponendomi al servizio dei cristiani, specialmente dei poveri, dei bisognosi e dei perseguitati che vivono in questo paese islamico.  Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è così forte in me che mi considererei privilegiato qualora Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita». Preghiamo per i cristiani perseguitati, chiede la meditazione di mons. Corti, e onoriamo il sacrificio di martiri come Shahbaz Bhatti perché «si diffonda nel mondo il diritto fondamentale alla libertà religiosa». 

Papa Francesco, concludendo la Via Crucis, ha ricordato come nel cammino doloroso di Gesù abbiamo visto «ancora oggi i nostri fratelli perseguitati, decapitati e crocifissi per la loro fede in Cristo sotto i nostri occhi e spesso con il nostro silenzio complice». Questa complicità e indifferenza verso la persecuzione, come verso l’emarginazione e la disperazione, sono una manifestazione del nostro peccato. La Via Crucis, «sintesi» di tutta la vita di Gesù, ci mette di fronte ai «nostri quotidiani tradimenti e le nostre consuete infedeltà», «la brutalità dei nostri peccati», «la crudeltà del nostro cuore e delle nostre azioni». Ma la Via Crucis ci chiama a convertirci, a pentirci, a «trasformare la nostra conversione fatta di parole in conversione di vita e di opere». La misericordia del Signore ci aspetta, per perdonarci, ma vuole che ci pentiamo e chiediamo perdono. Per i cristiani perseguitati, come per tutti noi peccatori, «Venerdì Santo è strada verso la Pasqua della luce».

MAPPA DELLA PERSECUZIONE DEI CRISTIANI di Stefano Magni