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SIRIA

I curdi sono isolati, colpiti sia da Assad che dai turchi

In Siria la situazione si complica per i curdi, all'apice del loro successo militare. Dopo che hanno conquistato una fascia di sicurezza al confine con la Turchia, Erdogan si è spinto a riconciliarsi con Assad e con Putin, pur di combatterli. E l'aviazione di Damasco li bombarda. Il Kurdistan è finora l'unico rifugio sicuro per i cristiani, ora è premuto su tutti i lati.

Esteri 21_08_2016
Bandiere dell'YPG curda

Gli occhi del mondo sono concentrati sulle sofferenze di Aleppo; ma non è l'unica area della Siria dove si muore in queste ore. Con l'indebolimento dell'Isis sta infatti venendo al pettine il nodo dei curdi, con giravolte che mostrano quanto gli interessi altrui si combattano sulla pelle delle popolazioni stremate di quest'angolo del mondo. E quanto in questo groviglio sia difficile stabilire una linea di demarcazione netta tra torti e ragioni.

Per il terzo giorno consecutivo l'aviazione siriana ieri ha colpito infatti Hasakeh, una delle principali città a maggioranza curda, nella zona nord orientale della Siria. Mai in cinque anni di guerra i caccia di Damasco erano entrati in azione in quest'area; fonti curde parlano di decine di vittime, tra cui anche bambini. Già da settimane - con l'allontanarsi verso sud del fronte con l'Isis - la non belligeranza con i militari e i gruppi fedeli ad Assad rimasti in questi anni asserragliati nel centro della città, appariva in crisi. E martedì, da uno screzio a uno dei tanti posti di blocco, sono iniziati i combattimenti. Stavolta a nulla è valso il tentativo di mediazione dell'arcivescovo siro-cattolico locale, Jacques Hindo: giovedì Damasco ha mandato i caccia a riaffermare la sovranità, con una mossa politicamente pesantissima. Dal punto di vista umanitario la conseguenza è stata ovvia: migliaia di persone in fuga dalla città che era riuscita a resistere agli uomini con la bandiera nera.

Non può sfuggire, però, il contesto più generale in cui avviene tutto questo: scaricate le evanescenti milizie “moderate” del fronte anti-Assad, gli americani in Siria nell'ultimo anno hanno puntato tutto sui curdi, l'alleato rivelatosi più affidabile e anche efficace nella lotta all'Isis. Se infatti il sedicente califfato non è arrivato a Kobane (mentre i turchi al di là del confine stavano a guardare) e se nell'ultimo anno poi l'Isis ha perso posizioni importanti tanto in Siria quanto in Iraq, è principalmente perché le milizie curde (col sostegno più o meno diretto degli Usa) l'hanno combattuto, mentre Damasco e i russi colpivano al Nusra nelle aree di Homs, Aleppo e Idlib. 

L'avanzata dei curdi, però, è l'incubo peggiore del presidente turco Erdogan: con la conquista pochi giorni fa di Manbij, a nord di Aleppo, l'obiettivo di una fascia di territorio controllata interamente dai curdi lungo il confine con la Turchia è diventata infatti molto vicina. E questo (ancora più del fallito golpe) spiega l'improvviso ritorno a Canossa di Erdogan con Putin e il clamoroso riposizionamento di Ankara nell'intero scacchiere siriano. Perché - con buona pace di al Jazeera e delle monarchie del Golfo - oggi la priorità della Turchia non è affatto Aleppo, ma fermare i curdi. E l'alleato migliore sta diventando proprio quel Bashar al-Assad che per cinque anni Ankara ha cercato di spodestare. 

L'altro giorno il ministro degli esteri turco Cavusoglu è volato a Teheran a incontrare gli iraniani. Il tutto mentre lo stato maggiore di Damasco - per difendere i raid ad Hasakeh - attribuiva ai curdi la responsabilità dell'escalation usando la sigla del Pkk, con un evidente segnale ad Ankara. Così ieri il primo ministro turco Yildrim, in una conversazione con un gruppo di giornalisti a Istanbul, si è spinto molto avanti. Ha cominciato a dire che Assad potrebbe avere un ruolo nella transizione a Damasco (cosa finora sempre esclusa dalla Turchia). Si è detto preoccupato per l'integrità della Siria (come se non fosse il premier di un Paese che ha lasciato entrare lì migliaia di foreign fighters). E ha annunciato che “nei prossimi sei mesi la Turchia sarà più attiva” su questo scacchiere. Basta mettere insieme gli elementi per capire quale sia oggi la strategia di Ankara: piuttosto che i curdi meglio Assad al confine, con la Russia a fare da garante sugli equilibri di domani in Siria. E se le forze lealiste siriane davvero cercheranno di spazzare vie le milizie curde, i turchi daranno loro volentieri una mano. 

Chi non ci sta - ovviamente - è Washington che giovedì è arrivata a far alzare in volo i propri caccia nell'area di Hasakeh. Mossa velleitaria: gli Stati Uniti non sono nelle condizioni oggi per imporre un blocco aereo sui cieli delle regioni a maggioranza curda in Siria. Però Mosca ieri pomeriggio ha compiuto almeno il gesto di muoversi, con un tentativo di mediazione tra le milizie curde e Damasco, pare però senza grandi risultati.   

Di certo è impressionante vedere come oggi i curdi siano nel mirino ovunque nella regione: in Turchia non è bastata l'immediata presa di distanza dal golpe a risparmiare la repressione all'Hdp - il partito dei curdi, che nelle elezioni del giugno 2015 aveva raccolto a sorpresa oltre il 13 per cento dei consensi. Il principale quotidiano curdo è stato chiuso, i vertici dell'Hdp sono accusati di “fiancheggiamento al terrorismo”, la guerra nelle regioni del sud infuria. Ma anche in Iraq i rapporti tra Baghdad ed Erbil si fanno ogni giorno più tesi: le milizie sciite lanciano strali minacciosi contro i peshmerga curdi, pretendendo (adesso) che rientrino nei ranghi e rinuncino alla battaglia di Mosul. A completare il quadro notizie di scontri arrivano sempre più spesso anche dall'Iran, altro Paese dove i curdi sono una minoranza consistente (circa il 10 per cento della popolazione).

Il conflitto in Siria e in Iraq ha indubbiamente rafforzato le aspirazioni indipendentiste dei trenta milioni di curdi che vivono nell'area a cavallo tra i due Paesi e la Turchia. E questo crea problemi a tanti equilibri. Ma è troppo comodo pensarci solo adesso, prospettando l'ennesima ingiustizia per un popolo che già dopo il crollo dell'Impero Ottomano si trovò a pagare un prezzo altissimo. Tra l'altro sarebbe bene ricordare anche che se i cristiani nelle piana di Ninive - da due anni, pur tra mille difficoltà - hanno trovato un posto dove sopravvivere alle scorribande dell'Isis, è stato in Kurdistan. E ancora oggi a Erbil vivono in condizioni ben più sicure che a Baghdad. 

Che l'amministrazione Obama abbia compiuto scelte scellerate in Siria è un dato di fatto. Ma non è un buon motivo oggi per abbandonare i curdi, illudendosi che i cristiani possano ritrovare pace in un Medio Oriente dove - in nome della real politik - si preferisce reprimere le minoranze insieme a Erdogan.