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ISLAM

I Fratelli Musulmani istigano al terrorismo

Colpire gli interessi egiziani e il regime di Al Sisi, fino al suo rovesciamento. Così si esprime il nuovo appello dei Fratelli Musulmani, dopo la condanna a morte dell'ex presidente Morsi e di tutti i leader del movimento. Il documento giustifica la lotta armata e istiga a colpire obiettivi egiziani in patria e all'estero. 

Esteri 01_06_2015
Fratelli Musulmani

“Chiediamo alle forze che si oppongono al colpo di Stato, alle persone libere in Egitto e all’estero di serrare i ranghi nella resistenza a questa struttura criminale, ricorrendo a tutti i mezzi opportuni quali la rivolta civile e altri mezzi, per purificare la nazione dalla tirannide e dai crimini di chi ha portato a compimento il colpo di Stato e per fare trionfare il sangue dei martiri: ‘Gli ingiusti vedranno ben presto il destino verso il quale si avviano’ (XXVI, 227)” 

Così si chiude “L’appello per l’Egitto” lanciato il 27 maggio 2015 e sottoscritto da più di 150 ulema affiliati, direttamente o indirettamente, con il movimento dei Fratelli musulmani. L’appello segue di pochi giorni le manifestazioni che si sono svolte in tutta Europa - da Berlino a Milano, da Parigi a Roma – organizzate da sedicenti "comitati per la libertà e per la democrazia in Egitto", ma di fatto espressione politica del movimento dei Fratelli musulmani in Europa, per manifestare per il reinsediamento del presidente Morsi e contro la recente condanna a morte – non ancora confermata dal Gran Mufti d’Egitto – di quest’ultimo e di altri cento affiliati ai Fratelli musulmani tra cui il predicatore Yusuf Qaradawi, presidente sia dell’International Union of Muslim Scholars (IUMS) con sede a Doha sia del European Council for Fatwa and Research (ECFR) con sede a Dublino. 

L’appello per l’Egitto è la reazione “islamicamente corretta” alle sentenze egiziane, è l’ufficiale giustificazione della resistenza, armata e non, nei confronti di El Sisi che viene accusato al punto tre del comunicato di “proteggere i sionisti e di essere un nemico della resistenza palestinese”, in quanto la sua lotta contro la Fratellanza fa sì che si sia schierato con il braccio palestinese di quest’ultima, ovverosia Hamas. Al punto tre El Sisi è accusato di avere quindi tradito la religione e la patria, di avere “abbandonato il cammino dell’Inviato di Allah”, in altre parole lo si accusa principalmente di apostasia. Il punto 3 si chiude con la citazione coranica seguente: “E chi li [i giudei e i nazareni] sceglie come alleati è uno di loro. In verità Allah non guida un popolo di ingiusti” (V, 51).  

Al punto 4 si specifica che “i governanti, i giudici, i funzionari, i soldati, i mufti, i responsabili dei mezzi di comunicazione e i politici” che sostengono l’ingiusta uccisione di innocenti, secondo la sharia “sono assassini ai quali si applicano le regole che riguardano l’omicida, che richiede il tagliane secondo i precetti della sharia”. Non mancano le accuse di connivenza nei confronti dello shaykh di Al Azhar, all’articolo 8, e del Gran Mufti, all’articolo 9. 

Tuttavia è l’articolo 10 a chiarire la portata e la gravità, per la sicurezza in Egitto, del comunicato: “La difesa con ogni mezzo lecito […] è un dovere previsto dalla sharia, nessuno può impedirla né autorizzarla […] Allah –Egli è l’Altissimo – ha detto: ‘Chi si difende per avere subito un torto non incorre in alcuna sanzione. Non c’è sanzione se non contro coloro che sono ingiusti con gli uomini e, senza ragione, spargono la corruzione sulla terra: essi avranno un doloroso castigo’ (XLII, 41-42).” E’ evidente l’appello al jihad difensivo, in altre parole alla resistenza, che è da sempre un leit motiv dei predicatori della Fratellanza, da Qaradawi a Hamas. 

Non si deve dimenticare che Qaradawi – padre spirituale di tutti i firmatari dell’appello per l’Egitto - ha emesso fatwe in cui si giustificavano gli attentati suicidi in Israele e in Iraq durante l’”occupazione americana”, in cui autorizzava le donne a commettere attentati suicidi “senza il consenso del marito” e persino “senza indossare il velo” in nome della causa. Nell’aprile 2013 è stato Qaradawi a dichiarare, nel corso di un’intervista alla televisione satellitare Al Jazeera, che “il jihad in Siria è un dovere personale che spetta a tutti i musulmani” perché, come nel caso dell’Egitto odierno, governato da un tiranno. 

Il comunicato del 25 maggio scorso s’inserisce appieno in questa ideologia che condanna il jihad dell’ Stato islamico e di Al Qaeda, ma al contempo lo rende lecito nel momento in cui si individua un tiranno, un traditore, un nemico dell’islam come nel caso si El Sisi. Il 28 maggio 2015 un comunicato ufficiale del portavoce del movimento dei Fratelli musulmani ha accolto il documento suddetto ribadendo il dovere sharaitico alla “resistenza nei confronti del colpo di Stato con ogni mezzo sino a che non cadrà e non ritornerà la legalità”  poiché “gli ingiusti vedranno ben presto il destino verso il quale si avviano” (XXVI, 227).

Purtroppo la gravità del documento, che preannuncia lotta armata e resistenza sul territorio egiziano e non solo, riguarda da vicino anche l’Europa poiché tra i firmatari figurano due membri del European Council for Fatwa and Research con sede a Dublino, presieduto da Qaradawi. Si tratta di Hussein Halawa, imam del Centro islamico d’Irlanda dove ha sede il European Council, e Salem Abdul Salam al-Sheikhi, ex ministro degli Awqaf libico ora residente nel Regno Unito e attivo come predicatore in tutta Europa. Se a ciò si aggiungono le organizzazioni  islamiche affiliate direttamente o meno alla Fratellanza in Europa, gli attivisti per la democrazia in Egitto – che combattono e protestano solo per Morsi e la Fratellanza, ma dimenticano i condannati per apostasia in altri paesi islamici – non è difficile comprendere l’importanza e la portata dell’appello per l’Egitto. In modo particolare, siffatto appello dovrebbe aiutare a comprendere come molte realtà che condannano il jihad dello Stato islamico, non esitano a inneggiare alla resistenza armata qualora necessario. 

Pur condannando la pena capitale, comminata ma non ancora confermata, nei confronti dei membri della Fratellanza in Egitto, credo sia più che mai indispensabile aprire gli occhi sul relativismo dei valori e dei giudizi che impera nelle organizzazioni gestite in Europa e altrove dai Fratelli musulmani e agire nei loro confronti prima che un qualche paese occidentale venga indicato come “nemico dell’islam”, ovverosia islamofobo, e oggetto di resistenza. L’Europa, così come l’Egitto, devono comprendere che la lotta contro i Fratelli musulmani è una lotta globale contro un’ideologia che sin dalla sua nascita si è posta come unico rappresentante dell’islam, usurpando un ruolo che – non avendo l’islam un’autorità – non spetta a nessuno, tanto meno a chi promuove il relativismo della sacralità della vita.