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STORICITA' DEI VANGELI

Il curioso mistero del sabato deuteroproto

L’anno 31 d.C. è importante per comprendere il capitolo 2 del vangelo di Giovanni, dove sono assegnati 46 anni al tempio di Gerusalemme.

Cultura 15_10_2011
predicazione di giovanni battista

L’anno 31 d.C. è il più probabile candidato per comprendere pienamente il senso del capitolo 2 del vangelo di Giovanni, dove sono assegnati 46 anni al tempio di Gerusalemme. Un precedente articolo de La Bussola Quotidiana ne ha trattato in dettaglio.

L’episodio si situa all’inizio della vita pubblica di Gesù, quando Giovanni il Battista non era ancora stato arrestato. Gli esordi pubblici di questo profeta datano al XV anno di Tiberio (quindi nel 29 d.C.) e trovarono terreno fertile tra il popolo per vari motivi. Solitamente si rimarca la grande attesa di un Messia; talvolta si collega questo sentimento popolare al malcontento verso i Romani; altre volte lo si riferisce allo scadere, proprio in quegli anni, dei 490 anni della profezia di Daniele, calcolati a partire dal decreto del re Artaserse che (nel 458 a.C.) aveva consentito ad Esdra di ripristinare il culto nella Gerusalemme post-esilica. Probabilmente tutte queste motivazioni coesistevano nella speranza e nella volontà di preparare convenientemente la venuta del Messia-liberatore. A favorire la massiccia affluenza di gente sulle sponde del Giordano potrebbe aver soprattutto contribuito un’occasione molto speciale, determinatasi nel preciso calendario seguito dagli Ebrei: il 29-30 ed il 30-31 d.C., da tishri a tishri (settembre), erano rispettivamente un anno sabbatico ed un anno giubilare, perciò anni provvidenziali per avere tempo libero dal lavoro e rivolgersi a Dio, occupandosi della propria anima.


Prima di argomentare questa affermazione che potrebbe apparire azzardata, è doveroso comprendere meglio la logica dell’anno sabbatico e dell’anno giubilare. Una settimana è notoriamente composta da sette giorni, di cui il settimo per gli Ebrei era il sabato, giorno del riposo di Dio creatore. La domenica diventerà per i cristiani il giorno della resurrezione, giorno del Signore, l’ottavo giorno (da cui origina il perimetro ottagonale dei fonti battesimali). Questo ottavo giorno ritorna ogni sette, essendo il primo di una nuova settimana; così pure la festa di Pasqua innesca un periodo di sette settimane che conduce alla Pentecoste, nel cinquantesimo giorno dopo la Pasqua.


Similmente per gli anni, ogni sette uno era sabbatico, di riposo per gli uomini e per la terra, che non veniva seminata e che pertanto la primavera successiva non prevedeva la mietitura. L’anno civile ebraico inizia nel settimo mese, tishri, a cavallo del nostro settembre/ottobre. Ogni sette settenni (49 anni) viene il cinquantesimo anno, che è l’anno del solenne giubileo. Come l’ottavo giorno non è un giorno in più rispetto ai sette della settimana, ma è il primo di un nuovo ciclo di sette giorni, così il cinquantesimo anno è il primo anno dopo un settimo (sabbatico), ovvero è il primo di una nuova serie di quarantanove anni. Dunque l’anno giubilare cade sempre dopo un anno sabbatico e questo succede ogni quarantanove anni. L’anno giubilare è ben descritto nella Bibbia. Oggi usiamo celebrarlo ogni 50 anni (l’ultimo è stato nel 2000), mentre per gli Ebrei era regola festeggiarlo ogni quarantanove (nel cinquantesimo anno, come numero ordinale) il che rende ancor più trasparenti i riferimenti celati nel “settanta volte sette” del perdono che Gesù chiede di saper dare e le “settanta settimane” (di anni) della profezia di Daniele. Se ne deduce infatti che la logica del calendario ebraico è tutta pensata in multipli di sette (giorni, settimane ed anni) e non, per esempio, in multipli di cinque o di dieci.  
      

Illustrata la teoria, indaghiamo i riscontri disponibili per raccordarla a delle date precise e soprattutto all’ipotesi espressa, cioè di un doppio anno festivo sabbatico+giubilare, proprio negli anni che videro fiorire la predicazione del Battista e, sulla sua scia, l’inizio di quella di Nostro Signore Gesù Cristo.


La Bibbia riporta un’unica citazione esplicita di un anno sabbatico, precisamente nel primo libro dei Maccabei. I due testi dei Maccabei esprimono le date secondo il calendario greco (seleucidico), tramite cronologie apparentemente contraddittorie ed invece logicissime, coerenti e precise: risultano solo disallineate di sei mesi, con il primo libro che computa gli anni da primavera a primavera ed il secondo da autunno ad autunno, secondo le due modalità a cui hanno attinto le rispettive tradizioni. Non è però impossibile correlare i due testi, anche grazie all’aiuto degli scritti del “solito” Giuseppe Flavio. 

L’anno seleucidico deriva dall’ascesa al potere di uno dei generali di Alessandro Magno (i diadochi, cioè i successori). Alessandro Magno morì nel giugno del 323 a.C. Tra i suoi generali prevalse Seleuco Nicatore, che entrò trionfante in Babilonia iniziando nell’estate del 311 a.C. “l’era seleucidica”, nel dodicesimo anno dalla morte di Alessandro Magno.  E’ questo l’anno di accesso al regno (anno “zero”, secondo l’usanza greca). L’anno 1 di questo calendario è pertanto il 310-309, che nel primo libro dei Maccabei è da nisan a nisan, mentre nel secondo va da tishri a tishri. 


Seguiamo per semplicità la cronologia del primo dei due libri dei Maccabei: nel 145 c’è la profanazione del tempio; nel 148 il tempio viene ridedicato da Giuda Maccabeo; nel 149 muore il profanatore Antioco Epifane; nel 150 inizia la guerra contro i siriaci: qui c’è l’accenno all’anno sabbatico in corso (1 Mac 6,49-53); nel 151 in estate arriva Demetrio. Giuda Maccabeo, l’eroe che istituì la festa di hanukkah, prima sconfigge Nicanore alla fine del 151, poi muore in battaglia all’inizio del 152 seleucidico. Tradotto nel nostro calendario, l’origine della festa di hanukkah è nel dicembre del 163 a.C., la morte dell’Epifane all’inizio del 162, l’anno sabbatico nel 161-160, coerente con l’ipotesi di partenza e con le date rilevabili da Giuseppe Flavio, fino alla “festa di Nicanore”, il 13 adar a ridosso del purim del 159 a.C., seguita dalla morte di Giuda Maccabeo nella primavera di quell’anno.
 

Fissato così l’anno sabbatico nell’Antico Testamento, cerchiamo quello giubilare nel Nuovo. Un curioso modo di fare esegesi consiste nell’eliminare dalle traduzioni le parole incomprensibili, tanto più se il senso della frase sembra non cambiare. L’ingloriosa sorte è toccata ad un vocabolo che c’è nel solo vangelo di Luca (deuteroproto), oggi scomparso in quasi tutte le traduzioni italiane. E’ quasi intraducibile (letteralmente: “secondoprimo”), ma associato alla parola sabato merita attenzione, non trattandosi evidentemente di un sabato qualunque. La difficoltà era già nota a San Girolamo (+420), che scrisse di aver chiesto consiglio per interpretarla al suo maestro San Gregorio Nazianzeno (+390). In effetti il passo risultava oscuro già a meno di quattro secoli dalla scrittura del vangelo di Luca.

Poco usato nella letteratura greca ed inedito nel resto della Bibbia, il nostro “sabato deuteroproto” è scritto durante una disputa sulla facoltà di utilizzare le mani (non la falce) per recuperare pochi chicchi da una spiga (senza mietere). Il dato oggettivo limita il gesto ad un periodo tra aprile e l’estate, a meno che non fosse impedita la mietitura, il che prolungherebbe l’intervallo utile fino all’autunno successivo (tishri). Deutero vuol dire “secondo”; proto significa “primo”, ma anche “nuovo”. Il fatto si attaglia al caso di un secondo anno sabbatico susseguente al primo; il “secondo sabato” è anche un “primo anno” ed il secondo è più importante del primo (proto può significare anche questo).


Non è insensato ritenerci in presenza di un significativo “uno-due”. L’episodio che Luca riferisce al sabato deuteroproto è presente anche in Matteo 12,1 e Marco 2,23. Da notare che in Luca 4,1 il discorso di Gesù a Nazaret sembra fatto apposta per un anno giubilare. In Luca 6,1 la situazione si adatta alle vicissitudini di un anno in cui non si mieteva. Ed in Luca 6,6 si è ancora alle prese con un sabato. I vangeli sinottici riportano in parallelo a Luca 8 (logicamente successivo a Luca 6) la parabola del seminatore (Matteo al capitolo 13 e Marco al capitolo 6). Dunque finalmente (due anni dopo) tornano in scena i seminatori e Gesù da buon comunicatore sfrutta l’attualità per rivelare come agisce Dio. Un’ulteriore conferma indiretta ci viene da Giovanni nell’episodio della samaritana: l’anno è il medesimo, poco prima dell’arresto di Giovanni il Battista; le messi già biondeggiano (aprile/maggio), ma curiosamente Gesù cita un detto che rinvia la mietitura a quattro mesi dopo (Gv 4).
          

Riassumendo: l’unico anno sabbatico esplicitato nella Bibbia è il  161-160 a.C. (da tishri). Di sette anni in sette, ci porta a catalogare come sabbatico il 29-30 d.C. (nota bene: l’anno zero non esiste). La citazione del “sabato deuteroproto” (presente in Luca 6,1) permette di ipotizzare una situazione di due anni sabbatici consecutivi nel biennio 29-31 d.C. Questa ipotesi si raccorda a tutte le date riferite da Giuseppe Flavio che scandiscono gli antichi quadrienni olimpici, si adatta alla cronologia degli anni dei Seleucidi che troviamo nei libri dei Maccabei e fa luce ai passi evangelici che alludono al ciclo sabbatico/giubilare. La Bibbia non è “solo” un libro storico, ma è certamente “anche” un libro storico.