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RETROSCENA

Il dilemma dei cristiani

In Siria si giocano molte partite, compreso il futuro dei cristiani in Medio Oriente. Ecco perché la minoranza cristiana resta prudente.

Attualità 05_08_2011
cristiani in siria
Da una parte ci sono le notizie sempre più terribili sulla repressione sanguinosa delle proteste messa in atto dall'esercito siriano. Con Hama di nuovo città martire, come capitò già con Assad padre. E l'imbarazzo della comunità internazionale che - al di là delle parole e dei gesti simbolici - non è in grado di fermare i blindati di Assad figlio. Contemporaneamente, però, c'è anche l'estrema prudenza dei cristiani siriani. Per non dire vero e proprio terrore per quello che potrebbe accadere con la caduta del regime al potere a Damasco: all'inizio della rivolta ben due vescovi - il patriarca melkita Gregorio III Laham e il vescovo caldeo di Aleppo, il gesuita Antoine Audo - rilasciarono addirittura interviste preoccupate sulle manifestazioni di piazza “pilotate dall'estero”, in contrasto con la libertà garantita dal presidente Assad.

Chi ha ragione? E come guardare a questa evidente contraddizione? Gad Lerner sul suo blog (e in un articolo pubblicato su Vanity Fair) l'ha liquidata in una maniera molto sbrigativa: sostenendo che i cristiani stanno facendo una battaglia di retroguardia, difendono i loro interessi e a Damasco sono tra i profeti di sventura. Restano legati alle “fandonie” del dopo 11 settembre e non sentono il vento nuovo che soffia tra i giovani siriani. Può darsi che sia così.

Però quello che Lerner si dimentica di aggiungere è un piccolo dettaglio fondamentale per capire il travaglio che scuote oggi i cristiani siriani: il fatto che loro in questi anni sono stati i testimoni diretti di quanto accaduto nel vicino Iraq. Cioè nel Paese “liberato” dalla dittatura di Saddam Hussein e del laico partito Baath (lo stesso da cui proviene la dinastia Assad), trasformatosi poi in un incubo per i cristiani. Siria e Iraq erano due Paesi molto simili da questo punto di vista: patria di minoranze cristiane numericamente significative e con una storia e un radicamento importante nella propria terra. Oggi la situazione è radicalmente cambiata: se in Siria i cristiani sono ancora una comunità di un milione di persone che può vivere la propria fede senza sostanziali problemi, in Iraq sono diventati meno di 500 mila, in gran parte confinati nella piana di Mosul. Ancora l'altro giorno una bomba islamista ha colpito una loro chiesa a Kirkuk. E dove sono finiti tutti gli altri, quelli che sono fuggiti? Alcune centinaia di migliaia sono tuttora nei campi profughi dell'Unhcr in Siria: cioè sotto gli occhi di chi assiste perplesso alla “primavera araba”.

Per chi ha vissuto questa esperienza è così fuori dal mondo, retrogrado, menzognero, avere paura di fare la stessa fine? E non è un'analisi un po' naive ritenere che in un Paese come la Siria, cruciale per gli equilibri di tutto il Medio Oriente, oggi a confrontarsi siano solo “i giovani” e il dittatore sanguinario? Quanto sta succedendo ad Hama - guarda caso la roccaforte dei Fratelli musulmani nel Paese - è la dimostrazione di come il manicheismo non sia lo schema migliore per leggere la “primavera araba”. Le forze in campo sono tante, soprattutto in un Paese mosaico come la Siria. Con l'esercito nelle mani degli alawiti, minoranza rispetto ai sunniti (80 per cento della popolazione) e per di più costituita da una setta islamica che solo l'alleanza degli Assad con Teheran è riuscita a sdoganare all'interno dello stesso mondo sciita.

Ma ci sono anche i sauditi, che sostengono la rivolta in chiave anti-iraniana. E i turchi che - ospitando le conferenze dell'opposizione al regime siriano - non nascondono le proprie ambizioni di potenza regionale. Persino Israele, poi, è combattuto: meglio il “nemico sicuro” Assad o quello che potrebbe venire dopo?

Tutto questo per dire che la posizione dei cristiani siriani va ascoltata prima che giudicata. Certamente non ci può essere sicurezza vera legando il proprio destino a quello di un dittatore come Assad. E le riforme in senso democratico sono una necessità ineludibile per la Siria. Ma la tutela della minoranza cristiana non può essere una questione banale nelle analisi sulla situazione a Damasco. Se si eccettua il caso del tutto particolare del Libano, trent'anni fa in Medio Oriente solo in tre Paesi i cristiani rappresentavano una percentuale significativa della popolazione: in Egitto, in Iraq e in Siria. In Iraq abbiamo visto come è finita; in Egitto i copti oggi si trovano nel mirino dei salafiti e si chiedono sempre più apertamente se piazza Tahrir per loro sia stato un affare.

Se ora si aprisse un fronte anti-cristiano anche in Siria sarebbe una vera tragedia. E la presenza dei seguaci di Gesù rischierebbe davvero di ridursi a qualche ghetto sparso a macchia di leopardo sulla cartina del Medio Oriente.