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EDITORIALE

Il genio di Morricone, aspirazione alla "musica assoluta"

Ha vinto un Oscar a 87 anni, ma da decenni Ennio Morricone è l'unico compositore italiano conosciuto in tutto il mondo, in forza solo della sua musica. Egli è un grande sperimentatore, un ricercatore sistematico nel campo della nuova musica e delle tecniche di improvvisazione. 

Editoriali 01_03_2016
Ennio Morricone

Altri musicisti italiani avevano già vinto un Academy Award prima di lui: il grande Nino Rota (Il Padrino), il giovane Dario Marianelli (Atonement), emerso proprio dalla scuderia dei collaboratori di Morricone, l’italo-americano Michael Giacchino (col cartoon Up della Pixar), e persino Nicola Piovani (La Vita è Bella).

Tuttavia Ennio Morricone, molto prima che arrivasse questo Premio Oscar 2016 per la miglior colonna sonora di The Hateful Eight di Quentin Tarantino, era già da molti decenni l’unico compositore italiano del XX secolo del quale tutti conoscono il nome, su scala mondiale. È un fatto assolutamente non scontato, in un clima culturale nel quale la morte di David Bowie diviene istantaneamente breaking news di tutti i notiziari del mondo occidentale, mentre la morte di compositori che resteranno per sempre nelle enciclopedie e nei libri di storia della musica come Berio, Boulez o Stockhausen riesce a malapena a strappare una notizia di una manciata di secondi all’interno del TG della sera. David Bowie era un “personaggio”, cantante e rock-star, mentre nessun compositore contemporaneo riesce neppure pallidamente a farsi notare dallo star-system internazionale.

Oggi un compositore è un artigiano che opera nell’invisibilità mediatica del proprio piccolo mercato, come un qualsiasi Anonymus medioevale: non una star, né un personaggio televisivo, a meno che lavori proprio per costruirsi un’immagine di celebrità, direi quasi un marchio, un personaggio riconoscibile, che so, per esempio da pianista occhialuto e introverso…

Come ha fatto, dunque, un timido e schivo artigiano ottantasettenne che non parla inglese, che non solleva lo sguardo e s’inceppa, trema e si commuove davanti alle telecamere, come ha fatto un simile anti-personaggio ad essere conosciuto in tutto il mondo, a ottenere un Premio Oscar alla carriera e uno per la miglior colonna sonora, avvolto dalla standing ovation e dal sincero affetto di tutta Hollywood?

L’ha fatto solo e semplicemente con la sua musica. È proprio la sua musica, sono i temi della sua musica per film a risuonare come indimenticabilmente impressi nella memoria di chi li ascolta, a vibrare per simpatia nell’istante stesso in cui li si riconosce ad un mero accenno. 

Rispetto alla grandiosa solennità wagneriana che per esempio è tipica delle musiche di John Williams o Hans Zimmer, c’è qualcosa di unico nell’impronta morriconiana, qualcosa che oserei definire come una «inattesa e concisa originalità». Morricone è un grande sperimentatore, un ricercatore sistematico nel campo della nuova musica, delle tecniche di improvvisazione, dell’uso mai scontato e talvolta estremo degli strumenti tradizionali; un compositore di musica da camera che quasi si sente in esilio per aver dedicato la carriera a quella che lui stesso definisce “musica applicata” piuttosto che alla “musica assoluta” alla quale il suo pensiero da sempre aspira e col quale si confronta idealmente in un processo di incontentabile auto-aggiornamento e raffinamento permanente del proprio artigianato. 

Credo di identificare un surplus di genialità dei suoi temi, soprattutto per quanto riguarda gli abbinamenti timbrici, sempre sfrontatamente innovativi: chi mai, negli anni ’60, avrebbe identificato l’arido Texas di fine Ottocento con un tema musicale per fischio accompagnato da chitarra elettrica, coro parlato, rintocchi di campana e frusta? A leggerlo sembra quasi comico, eppure il risultato divenne la più esatta e memorabile rappresentazione sonora del clima violento ed esasperato degli “spaghetti western” di Sergio Leone (clicca qui). 

Chi mai avrebbe affidato l’identificazione sonora di un tesissimo giallo di mafia ad uno scacciapensieri abbinato a una marcia lenta eseguita da clarinetto, clavicembalo e contrabbasso? (clicca qui). Oppure: sovrapporre un mottetto sacro, un inno militare, un oboe barocco in stile veneziano, un clavicembalo, una grancassa fuori tempo e bongos tribali: sembra la perfetta ricetta per una musica kitch, sconclusionata e imbarazzante, e invece divenne il più commovente momento musicale di Morricone nella complessa scena della battaglia finale in The Mission (clicca qui). Quale mente musicale, all’età di 87 anni, si sarebbe infine sognata di affidare a controfagotto, ottavino e charleston il sinistro, dissonante e per nulla americano tema che poi dilagherà attraverso tutto il caleidoscopio dell’orchestra in questo premiato Hateful Eight? (clicca qui)

Già un altro grande vecchio della musica italiana, arcigno e solitario, aveva rifiutato di schierarsi pro o contro le etichette sia musicali sia politiche della sua epoca, e in cambio aveva ricevuto con leggerezza, profondità e autoironia l’apice della fama e dell’affetto collettivo all’età di 80 anni: Giuseppe Verdi, col suo Falstaff. Fatte le debite proporzioni, il grande Morricone, affidandosi al realismo dei propri tentativi artigianali, conscio dei propri limiti ma anche dell’autenticità senza compromessi del proprio fiuto musicale, vagliato sempre dall’approvazione silenziosa e discreta della moglie Maria, ieri notte ci ha commossi e resi orgogliosi, con la forza e la consistenza della sua antieroica semplicità.

* compositore