Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
SÌ DELLA CAMERA AL DDL

Il suicidio semplificato dallo Stato ragioniere

Approvato ieri a Montecitorio il Ddl Bazoli, che ora passa al Senato. Un emendamento fa saltare la necessità del doppio certificato medico: ne basterà uno solo, diversamente che per l’invalidità civile... La morte, da materia giuridica penale-civile, è sempre più degradata a pratica amministrativa. Così anche l’iter suicidario viene snellito, alla faccia perfino della “libertà” informata.
- LA STANZA DELLA MORTE, di G. Rocchi

Vita e bioetica 11_03_2022

Il Ddl Bazoli-Provenza sulla legittimazione del suicidio assistito è passato ieri alla Camera. Ora il testo verrà discusso al Senato.

Due giorni fa, tra gli altri, è stato approvato un emendamento che esclude la doverosità del doppio certificato medico per accedere all’aiuto al suicidio, come era previsto nella versione originale del Ddl, e che invece prevede un’unica certificazione vergata o dal medico di famiglia o da uno specialista che ha in cura il paziente. Il medico di base o lo specialista devono attestare che la patologia di cui è affetto il paziente che chiede di morire è irreversibile con prognosi infausta o che questi semplicemente vive una condizione clinica irreversibile e che tale patologia provochi sofferenze fisiche o psicologiche ritenute dallo stesso paziente come intollerabili. L’emendamento, a firma di Andrea Cecconi (Maie) e del radicale Riccardo Magi, è stato approvato con 227 voti a favore, 171 contrari e tre astensioni.

Un comunicato stampa di Pro Vita e Famiglia correttamente commenta: «Il certificato del medico curante e di uno specialista sono entrambi obbligatori per ottenere l’invalidità civile, è aberrante che non lo siano per ottenere il suicidio assistito da parte dello Stato».

Da molto tempo in Italia la vita e la morte, in alcuni casi, da materie giuridiche proprie del diritto penale e del diritto civile sono state degradate a materie proprie del diritto amministrativo. La legittimità o meno di abortire come di ricorrere alla fecondazione artificiale trovano i loro criteri ispiratori nel rispetto di alcune regole procedurali: colloqui, esami, rilascio di certificati, etc. La vita e la morte si sono scolorite in questioni meramente burocratiche. L’assassinio (vedi l’aborto) e il rilevante attentato alla vita del nascituro (vedi fecondazione artificiale) non ricadono più nell’ambito del diritto penale, né in quello del diritto civile per i loro risvolti che interessano il diritto di famiglia e i diritti risarcitori, bensì nell’alveo del diritto amministrativo. Ciò non toglie che la violazione di alcune procedure burocratiche non possa comportare conseguenze anche in ambito penalistico e civilistico, ma sono appunto solo conseguenze di un illecito perpetrato in un’altra sfera giuridica.

A questa logica da ragioniere non sfugge nemmeno il Ddl Bazoli. Se la legittimità del suicidio passa unicamente dal rispetto di alcuni percorsi amministrativi, va da sé che è bene snellire il più possibile questi percorsi. Si tratta di una ricaduta inevitabile del processo di semplificazione amministrativa voluto dal Governo. Sul sito del Dipartimento della Funzione Pubblica, alla voce “Semplificazione amministrativa”, si può leggere: “Semplificare l’azione amministrativa vuol dire tagliare passaggi procedurali, controlli, adempimenti inutili: cioè vuol dire eliminare tutto quello che è superfluo o addirittura dannoso per un buon funzionamento dell’amministrazione”.

Ora, appare evidente che un doppio controllo sui requisiti risulta essere un inutile spreco di tempo ed energie, appesantisce l’iter mortifero, rende macchinoso ciò che invece dovrebbe essere un percorso lineare che deve portare il paziente dal proprio letto, dritto dritto, all’obitorio. Dunque, se la ratio dell’eutanasia si riduce al rispetto di una procedura, che questa sia la più snella possibile. Nessuno stupore quindi che il doppio licet sia stato ridotto ad uno solo.

Questo emendamento mette poi in evidenza che ai proponenti del Ddl nulla importa che realmente il paziente sia affetto da una patologia irreversibile a carattere infausto e che le sofferenze patite dal futuro de cuius possano essere efficacemente curate, importa solo rendere l’accesso all’eutanasia il più comodo possibile. Alla rigorosa verifica delle condizioni si sostituisce la volontà di liberalizzare l’eutanasia sempre più. Stesso approccio pragmatico lo abbiamo in tema di aborto e fecondazione artificiale. Che quindi l’eutanasia sia scelta privilegiata e non la vita, come nel caso della 194 dove l’aborto e non la nascita deve essere privilegiato e come nel caso della Legge 40 e delle sentenze della Consulta sulla stessa legge dove si favorisce solo la via della provetta contro la sterilità e l’infertilità e non altre soluzioni.

La volontà di morte, questo cupio dissolvi in camice bianco, è così accentuato che deve prevalere anche sul tanto osannato principio di autodeterminazione. Infatti, non tutelerebbe maggiormente la libertà del paziente avere due pareri su una questione che, è proprio il caso di dirlo, è di vitale importanza? Non è questo il caso in cui melius abundare quam deficere, meglio abbondare che scarseggiare? No, perché la parola d’ordine è “fare in fretta”: niente pastoie burocratiche, via a troppi passaggi e troppe carte. Se uno cova una minima idea suicidaria che abbia una corsia preferenziale per il cimitero. L’intento non è quindi quello di stornare l’aspirante suicida dal gettarsi dal cornicione con l’aiuto della medicina, bensì quello di dargli una spinta.

Questo è tanto vero che il certificato può essere firmato, così come prevedeva il testo originario, anche dal proprio medico curante il quale, se è vero che conosce il paziente da tempo, però spesso non ha quelle competenze specifiche che potrebbero fare la differenza. Pensiamo, ad esempio, alla categoria dei palliativisti che, nella stragrande maggioranza dei casi, sono contrari all’eutanasia, proprio loro che dovrebbero essere i primi a promuoverla dato che stanno gomito a gomito con i pazienti sofferenti e, spesso, terminali. Loro che conoscono cosa è il dolore del corpo e dell’anima dovrebbero essere i frontmen dell’eutanasia ed invece non è così. Già una chiacchierata con questi specialisti forse farebbe mutare i propositi suicidari a molti. Ma è proprio questo che si vuole evitare: che qualcuno metta i bastoni tra le ruote alla perfetta macchina di morte dello Stato.