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SINDACI CONTRO PREFETTI

Immigrazione: non è razzismo, sono barricate contro il caos

Un sindaco del messinese si ribella all'arrivo (senza preavviso) di decine di immigrati. Una cittadina del palermitano non vuole accoglierne altri, perché non ha le strutture necessarie. Un sindaco lombardo del Pd fa quattro giorni di sciopero della fame perché il prefetto gli ha assegnato il doppio degli immigrati senza avvertirlo. La ribellione è contro la caotica gestione dell'immigrazione. Ma la chiamano "razzismo".

Editoriali 16_07_2017
Vincenzo Lionetto Civa, il sindaco "ribelle"

Sindaci contro prefetti. Proteste di immigrati in centri d’accoglienza fatiscenti. Sbarco di migliaia di immigrati da navi europee. Quella di ieri, più che l’ennesima giornata di fuoco dell’immigrazione mediterranea, è la dimostrazione lampante che la situazione sta sfuggendo di mano.

A tener banco sui social network è soprattutto la vera e propria ribellione del comune di Castel Umberto. Dovevano arrivare 30 immigrati, tutti minorenni, ma i cittadini, a partire dal sindaco Vincenzo Lionetto Civa, si sono messi letteralmente di traverso. Con le loro auto hanno bloccato le vie di accesso all’hotel Canguro, che avrebbe dovuto ospitare gli immigrati. Il sindaco lo spiega così: “Con un atto unilaterale senza preavviso, un minuto fa la prefettura di Messina mi ha semplicemente informato che trenta immigrati in nottata saranno trasferiti presso l'hotel il Canguro”. Secondo il primo cittadino siciliano “Non ritengo questo un atto di coinvolgimento istituzionale corretto per gli ovvi motivi di ricaduta sulla nostra comunità la gestione è stata data ad una cooperativa di Palermo mi sto recando immediatamente sul luogo dove indossando la fascia tricolore bloccherò l'ingresso con la mia autovettura della struttura alberghiera e li rimarrò”.

Sempre restando in Sicilia, nel piccolo comune di San Martino delle Scale (provincia di Palermo), un comitato cittadino sta raccogliendo firme contro l’arrivo previsto di un altro gruppo di immigrati. Nella petizione, sottoscritta da decine residenti, si sottolineano i rischi corsi dalla frazione dinanzi all’avvio di “un’attività di ricezione di profughi e/o sfortunati immigrati in immobili ricadenti proprio nella località di San Martino delle Scale, sinora destinata, e naturalmente vocata, a centro turistico/residenziale”. La frazione, si legge, non godrebbe neppure delle infrastrutture necessarie ad accogliere una popolazione di immigrati. Assenza di illuminazione, presenza di manti stradali sconnessi ricoperti di vegetazione, assenza delle idonee e necessarie vie di fuga in caso di emergenza, (quali incendi e “possibili rivolte”). 

Altra regione, altro sindaco in rivolta: a Besnate, in provincia di Varese, il sindaco Giovanni Corbo (Pd) ha fatto quattro giorni di sciopero della fame perché, senza informarlo, la prefettura ha raddoppiato il numero di immigrati ospitati nel suo piccolo paese lombardo. Solo ieri ha accettato di interrompere la sua protesta del cibo, perché le autorità gli sono venute incontro: 10 immigrati saranno trasferiti in altre strutture e gli altri in eccesso verranno ricollocati nelle prossime settimane. La protesta era partita perché, anche qui senza preavviso, da 15 che erano, i richiedenti asilo erano improvvisamente diventati 32. “Un sindaco deve avere la certezza che la Prefettura rispetti le regole — dichiarava Giovanni Corbo — noi avevamo dato la nostra disponibilità all’accoglienza di un certo numero di migranti, ma un giorno, parlando con la cooperativa che li accoglie, mi sono reso conto che erano raddoppiati e io non ne sapevo nulla”.

Ma si tratta di una goccia nel mare. Perché anche ieri gli sbarchi sono stati migliaia. La nave tedesca Rhein ha sbarcato a Corigliano, in Calabra, 932 immigrati africani sub sahariani, quasi tutti uomini maggiorenni (595 contro 121 donne e 203 minorenni). A Bari, la nave britannica Echo ha sbarcato 640 uomini. Sono 1500 persone in più da alloggiare e sfamare, nel corso delle lunghissime procedure per verificare la loro identità e la validità della richiesta di asilo. Pur sapendo che, nell’Africa sub sahariana, vi sono solo pochi paesi fuggendo dai quali è ritenuta legittima la richiesta di asilo. E che la composizione della massa dei nuovi arrivi, in maggioranza uomini e maggiorenni, è finora tipica dell’immigrazione economica e non di una fuga da un teatro di guerra o persecuzione.

E tutto questo: solo nelle 24 ore di ieri.

L’immigrazione non può essere considerata come una “emergenza”, ormai è un problema cronicizzato nel corso degli ultimi quattro anni. Dovremmo avere acquisito esperienza e preparate le misure per accoglienza, smistamento e verifica dei documenti. Dovremmo aver già formato del personale esperto e avere un’opinione pubblica ormai pronta e informata sul fenomeno non più nuovo. Eppure non c’è niente di tutto questo, come dimostrano i casi esemplari (e non unici) dei comuni siciliani e del lombardo. Aree fra loro agli antipodi, sindaci con sensibilità politiche diverse, sono stanchi di essere trattati dal Ministero degli Interni come sudditi obbedienti, pronti a ospitare stranieri a comando, in base ad esigenze di cui non vengono neppure informati.

“Razzismo” è la contro-accusa tipica di chi punta il dito contro sindaci e strutture locali. Ma di razzismo c’è poco o nulla, in questi casi. Come dimostra la protesta del sindaco Giovanni Corbo, renziano, favorevole all’accoglienza allo Jus Soli. Protesta contro il comportamento della prefettura, non contro gli immigrati da accogliere. E il discorso è lo stesso, in generale, nell’opinione pubblica italiana, che osserva angosciata e attonita, lo svolgersi degli eventi dal 2013 ad oggi. Non c’è un’ondata di razzismo, ma di perplessità. Perché nessuno spiega, con argomenti razionali, come mai le navi italiane ed europee debbano andare fin sotto le coste libiche a raccogliere immigrati da portare in Italia. E nessuno si capacita di come queste migliaia, decine di migliaia di persone arrivate, vengano distribuite a pioggia sul territorio, di imperio, per decisione del governo centrale, spesso senza consultarsi con i cittadini e le autorità locali, provocando il degrado immediato di interi quartieri. E le rivolte dei cittadini, che ora sono poche e non violente. Ma che in futuro potrebbero sfuggire di mano.