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LA STRATEGIA DEL CALIFFATO

Jihad, cosa si cela dietro gli arresti in Italia

Due afghani fermati a Bari. In pochi giorni l'intelligence ha arrestato due marocchini, un macedone e uno sloveno: tutti foreign fighters. Il Califfato prosegue nell'obiettivo della creazione di una Umma islamica che annulli le nazionalità. Ma prima bisogna compiere la migrazione (Egira) in Siria con i foreign fighters. Che torneranno in Europa definitivamente: per conquistarla. 

Cronaca 11_05_2016
Un'operazione anti jihad

Il 28 aprile scorso venivano arrestate a Lecco quattro persone, come si legge nell’ordinanza di custodia cautelare, per «partecipazione ad associazione con finalità di terrorismo internazionale». Si tratta una coppia di marocchini residenti regolarmente sul territorio italiano e residenti in provincia di Lecco, un altro marocchino di 23 anni residente provincia di Varese, già noto alle forze dell'ordine poiché fratello di un presunto foreign fighter espulso dall'Italia nel gennaio 2015 e morto in Siria mentre combatteva per lo Stato islamico, e un’altra marocchina Wafa Koraichi, sorella di Mohamed Koraichi che risulta ancora latitante con la moglie Alice Aicha Brignoli, convertitasi all’islam circa otto anni fa.

L’8 maggio il Ministro dell’Interno Alfano annuncia che i Carabinieri del ROS, in collaborazione con la Polizia slovena, hanno portato a termine un’operazione conclusasi a Lubiana con l’arresto di Rok Zavbi, “un cittadino sloveno ritenuto un foreign fighter responsabile di arruolamento con finalità di terrorismo internazionale, oltre che di avere avviato un processo di radicalizzazione e di reclutamento di aspiranti jihadisti sul territorio nazionale italiano”.

Possibili i rapporti tra costui e Ajhan Veapi, un macedone residente ad Azzano Decimo, in provincia di Pordenone, arrestato in febbraio. Costui, nato in Germania si sarebbe recato più volte in Germania, dove vive una sorella e parte della sua famiglia d’origine, tre volte in Macedonia, per poi ritornare sempre in Italia. Domenica 8 maggio, il carcere di Piacenza è stato lo scenario di una rivolta da parte di quindicina di persone, 14 magrebini e due italiani, che avrebbero inneggiato all’Isis e al jihad e che in passato avrebbero esultato per gli attentati a Parigi.

Ieri l’annuncio del “fermo di due cittadini afgani, uno accusato di terrorismo internazionale, che svolgeva sopralluoghi nei pressi di obiettivi sensibili nella città di Bari funzionali alla predisposizione di attentati terroristici da parte della organizzazione di appartenenza, mentre l'altro cittadino afgano è stato fermato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”.

 

Gli arresti appena citati e le informazioni ad essi correlate forniscono una serie di informazioni dalle quali scaturiscono inevitabilmente delle considerazioni sul presente e il futuro del jihadismo nel nostro paese e non solo.

In primo luogo le nazionalità degli attori: marocchina, italiana, slovena, macedone e afghana. I paesi coinvolti nei loro spostamenti: Balcani, Germania, Italia con un denominatore comune rappresentato dall’immancabile passaggio in Siria. E’ inevitabile non pensare all’annuncio del “ritorno del califfato” pronunciato da Abu Bakr al-Baghdadi nel giugno 2014: “E’ uno Stato in cui l’arabo e il non arabo, il bianco e nero, l’orientale e l’occidentale sono fratelli. E’ un califfato che ha riunito il caucasico, l’indiano, il cinese, il levantino, l’iracheno, lo yemenita, l’egiziano, il maghrebino, l’americano, il francese, il tedesco e l’australiano. Allah ha riunito i loro cuori e li ha resi fratelli, per Sua grazia, che si amano l’un l’altro per amore di Allah, che sono schierati nella stessa frontiera, difendendosi e proteggendosi l’un l’altro, e sacrificandosi l’un l’altro”.

In altre parole un appello ad annullare le nazionalità e le nazioni in nome della Nazione per eccellenza ovvero la umma che mira a trasformare l’umanità in “ummanità”.

Inoltre, il passaggio di tutti gli attori summenzionati in Siria rammenta un altro concetto espresso nel primo numero della rivista dello Stato islamico Dabiq: l’egira, ovverosia la migrazione, in questo verso lo Stato islamico sul modello della migrazione di Maometto dalla Mecca a Medina nel 622. Si legge: “Quindi accorrete al vostro Stato. Sì, è il vostro Stato. Accorrete perché la Siria non è dei siriani, l’Iraq non è degli iracheni”. Tuttavia il richiamo all’egira, nella visione islamica, prevede un ulteriore passo. Maometto è migrato a Medina e ha fondato sì lo Stato islamico, ma con l’intenzione e fine ultimo di ritornare a conquistare la propria città natale. Ed è proprio quest’ultimo particolare che si ritrova nelle motivazioni che giustificano e motivano il ritorno dei foreign fighters soprattutto in Europa. Quindi la migrazione verso il Califfato per alcuni è semplicemente un momento di passaggio in vista di un ritorno per riconquistare la parte del mondo denominata il territorio della guerra contrapposto al territorio dell’islam.

Inoltre le nazionalità degli attori legati ai recenti arresti ed eventi confermano che in Italia e in Europa tendono ad operare nazionalità attualmente non impegnate a livello locale. Non è un caso che i tunisini agiscano o in Tunisia o in Libia, che i levantini agiscano in Siria e Iraq e che, come ha riportato di recente la televisione satellitare Al Arabiya, contingenti si stiano muovendo dal Sinai alla Libia al pari di reclute provenienti dall’Africa subsahariana. In Medio Oriente la Siria è la priorità, in Nord Africa la Libia è la priorità, l’Europa è invece gestita dalle nazionalità “disoccupate” che devono però essere impegnate per mantenere elevati morale e tensione. I convertiti e le convertite con legami familiari con jihadisti seguono le stesse regole.

Anche i luoghi d’arresto offrono utili spunti. Si tratta di luoghi periferici e/o di confine dove la mobilità è più semplice e potenzialmente meno controllata oppure, come nel caso di Bari, dove il controllo dei flussi migratori, e talvolta il coinvolgimento con la criminalità locale, è quotidiano.

Anche il carcere, teatro ad esempio degli eventi a Piacenza, è risaputo essere un luogo, una periferia/ghetto di radicalizzazione. Qui la diffusione dell’ideologia dello Stato islamico, come qualsiasi altra ideologia radicale, è facilitata non solo dalla contiguità delle persone, ma soprattutto dal fatto che per un criminale lo Stato islamico, con la sua promessa di salvezza e di purificazione, può significare la “redenzione”. Basti pensare che l’autorizzazione a raggiungere lo Stato islamico si chiama “tazkiya” ovvero “atto di purificazione”.

Ultimo, ma non meno importante, il ruolo delle donne nel reclutamento e nell’azione di convincimento di familiari e amici come dimostra l’ordinanza degli arresti in Nord Italia. La rivista Dabiq dedica infatti una rubrica alle donne, mogli, madri, sorelle dei combattenti.

Da quanto appena riportato si evince quindi un panorama complesso da cui deriva la difficoltà nella gestione del fenomeno jihadista in Europa e in Italia, panorama che però risponde alle esigenze e alle priorità del Califfato a livello globale. A questo riguardo non è da sottovalutare il recente appello di Ayman al-Zawahiri, il leader di Al Qaeda, allo Stato islamico al fine di unire le forze in Siria per fare fronte e sconfiggere il nemico comune Assad. Se in un momento di difficoltà, lo Stato islamico accettasse l’alleanza con Al Qaeda e se questa alleanza si allargasse altrove, l’asse jihadista potrebbe recuperare forza non solo in Siria, ma anche in Libia e in Occidente.