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TORONTO

La casa della dolce morte: i frutti sociali dell'eutanasia di Stato

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Ecco dove portano i frutti dell'eutanasia di Stato: la Maid House di Toronto è una “Casa della dolce morte” che, secondo il proprio sito, è stata istituita per fornire ai morituri, una ambiente di supporto, inclusivo e confortevole.

Vita e bioetica 29_09_2023

Il Canada fa parte di quei paesi, come il Belgio e l’Olanda, che in fatto di eutanasia, sono all’avanguardia del progresso ed hanno leggi che permettono di esaudire qualunque richiesta del paziente. Ed anche del cittadino semplicemente afflitto, depresso e stanco di vivere. 

Secondo Avvenire, nel solo 2021, in Canada, “le morti per eutanasia e suicidio assistito sono state il 3,3% del totale dei decessi”. Raggiungendo, in un solo anno, le diecimila operazioni di Maid. Sigla che in loco sta per Medical assistance in dying, ovvero assistenza medica al morire. Ma che si potrebbe pure tradurre, con triste paralogismo, “morte medicalmente assistita”. Quelle diecimila “buone morti” hanno rappresentato, rispetto al 2020, un aumento del 32%. 

Ma il medico e la medicina, per noi gente comune, non esistono per scongiurare il decesso? Non più in Canada. Almeno dal 2002, l’anno in cui fu varata dai progressisti la prima legge sull’eutanasia. Ovviamente, 20 anni fa, si era molto più prudenti e cauti di oggi e si dichiarava, da parte dei proponenti e nello stesso testo di legge, che si trattava solo di pazienti anziani, inguaribili, distrutti da sofferenze tanto inutili quanto lancinanti. 

Ma che volete, il progresso è il progresso e le leggi si possono riformare. E così si è passati, anno dopo anno, e senza soluzione di continuità, a casi sempre meno gravi. Malati senza alcun dolore fisico, depressi cronici, perfino minorenni la cui vita, secondo genitori senza scrupoli, non “avrebbe senso”. 

L’ultima conquista o se vogliamo l’ultimo simbolo di questa mentalità mortifera è la Maid House di Toronto. Una associazione che gestisce una Casa, la Maid House appunto, per coloro i quali hanno domandato e ottenuto un “aiuto a morire”. Una sorta di “Casa della dolce morte” che, secondo il proprio sito, è stata istituita per fornire ai morituri, “una ambiente di supporto, inclusivo e confortevole”. Confortare però, secondo il dizionario Treccani, significa “rendere forte a sopportare un dolore, incoraggiare”… 

L’idea della Casa eutanasica deriva dal fatto che alcuni dei cittadini (auto) destinatisi ad essere suicidati (da altri), non desiderano morire a casa e neppure in un freddo ospedale. In cui magari, alla stanza accanto, un medico all’antica sta disperatamente cercando di guarire e salvare un anziano o un bambino sofferente. 

Così, i falsi samaritani canadesi, hanno messo a disposizione di coloro “che hanno diritto a ricevere l’eutanasia”, uno spazio “sicuro e affidabile”. Il tutto gestito da caritatevoli “medici, infermieri, esperti di etica, sostenitori e volontari” i quali “credono nella scelta, nella tranquillità e nella dignità del fine vita per i pazienti e le loro famiglie”. D’altra parte questi medici che aiutano a morire il disperato, lo fanno, secondo la Carta dei valori presente sul sito, per scopi umanitari ed umanistici. “Forniamo sollievo”, “rispettiamo i valori e le credenze”, ponendosi l’obiettivo di “migliorare l’accesso alla morte assistita”. Ma si può migliorare l’accesso alla morte di qualcuno?  

In ogni caso, il Report annuale appena uscito, è piuttosto trionfalista e la struttura di Toronto, seppur ancora poco nota, ha già confortato, nel 2022, il suicidio di 125 persone stufe di vivere. 

Domenica 10 settembre si è celebrata la “Giornata mondiale per la prevenzione del Suicidio”. Giornata divenuta utilissima visto l’aggravarsi del problema, specie tra giovani e giovanissimi. In Italia, per esempio, l’Ospedale Bambino Gesù ha pubblicato dei dati agghiaccianti sul tema, con oltre 387 minorenni a rischio suicidio: ricoverati, aiutati e salvati in extremis. 

Domanda: esiste qualcuno all’Onu, ad Amnesty, alla Croce Rossa, all’Oms per dire alla politica che se combattiamo il suicidio e vogliamo lottare per prevenirlo ed evitarlo, non possiamo poi legalizzarlo, banalizzarlo, promuoverlo e “migliorarne le condizioni di accesso”?