Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Sant’Atanasio a cura di Ermes Dovico
UNIONE EUROPEA

La Commissione apre a "nozze" e adozioni gay

Con la libera circolazione dei documenti si forza il riconoscimento delle "famiglie" omosessuali.
- L'Europa dove tutto è permesso

Attualità 07_04_2011
"matrimonio" gay

 

La Commissione Europea sta spingendo per il riconoscimento forzato in tutta Europa delle unioni civili, dei “matrimoni“ omosessuali e delle adozioni di bambini da parte di coppie gay.

Come? Promuovendo la libera circolazione dei documenti pubblici e il reciproco riconoscimento automatico degli effetti degli atti di stato civile in tutti gli Stati membri dell’Unione Europea. Fra i quali anche i papier riguardanti matrimonio e adozioni.

L’iter è questo. Il 14 dicembre la Commissione ha pubblicato sul tema un cosiddetto “Libro Verde” - la consultazione pubblica in merito al ruolo che la UE deve avere su un determinato argomento - chiamando i cittadini a contribuirvi  con il proprio parere. Le opinioni che perverranno saranno - ma comunque in modo non vincolante - prese in considerazione dalla Commissione al fine di definire le strategie politiche successive. La scadenza entro cui i cittadini europei sono tenuti a far pervenire i contributi è il 30 aprile.

A lanciare l’allarme su quello che a prima vista potrebbe sembrare solo un utile snellimento burocratico è lo European Dignity Watch, l’organizzazione non governativa che a Bruxelles si batte per la difesa dei tre pilastri di ogni società civile, vita, famiglia e libertà fondamentali della persona, il quale ha preparato, in sei lingue, una puntigliosa ed efficace analisi critica del colpo di mano della Commissione. Giacché proprio di un colpo di mano si tratta.

Certamente, al lato pratico, l’automatismo della ricezione nei diversi Paesi europei di documenti pubblici riguardanti i cittadini senza altri esborsi di denaro e lungaggini, è appunto auspicabile, ma la semplificazione degli adempimenti amministrativi verso cui sta spingendo la Commissione porterebbe con sé l’armonizzazione indebita di aspetti della legislazione particolarmente sensibili e  per questo motivo assai dibattuti, avendo finalmente trovato il modo per aggirare le legislazioni di quei Paesi che ancora frappongono barriere al “matrimonio” e alle adozioni gay.

Sarebbe infatti sufficiente che un documento pubblico venisse validamente emesso in un certo Paese per essere senza colpo ferire recepito in un altro. Per esempio un certificato di stato di “famiglia” omosessuale.

Per capirsi: due cittadini per esempio dei Paesi Bassi che lì - dove la legge lo permette - si fossero “sposati”, sarebbero una “famiglia” anche in Italia dove però la legge non lo consente, così come sempre nel nostro Paese lo sarebbero due cittadine “sposate” del Regno Unito che lì - dov’è legale - avessero adottato un piccolo orfano, cosa che da noi è illegale.

Questa mossa palesemente antidemocratica, che cancella con un colpo di spugna i parlamenti nazionali, è quindi lo strumento con cui oggi la Commissione Europea - e su un punto tanto eticamente sensibile quanto controverso - dota indebitamente la UE di una sovranità, di un potere esecutivo e di una vincolatività dei propri decreti assolutamente nuova e non sottoposta ad alcuna ratifica da parte della volontà popolare dei cittadini, obbligando tutti a legalizzare ciò che in alcuni luoghi è illegale. Anche perché aggira gli stessi trattati europei, per esempio il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea che comunque all’articolo 81.3 teoricamente protegge gli Stati membri da queste prevaricazioni sancendo che per il diritto di famiglia vanno ascoltati i parlamenti nazionali.

Del resto, la semplificazione amministrativa spianerebbe la via anche al “turismo matrimoniale” e magari pure adottivo: i cittadini omosessuali di un Paese in cui non è possibile contrarre “matrimonio” legale o adottare figli potrebbero darsi cioè da fare per contrarre legalmente “matrimonio” e adottare prole fuori dal proprio Paese (ottemperando ovviamente a tutte i requisiti di legge richiesti dal Paese ospite), vedendosi poi automaticamente riconosciuto il proprio stato di “famiglia” ovunque nei Paesi UE. Per esempio, affinché due persone italiane possano sposarsi oggi in Spagna, almeno una delle due deve risiedere in Spagna. Risiedere in Spagna non è però affatto complicato, bastano poche scartoffie; e questo vale sia per le persone eterosessuali, sia per le persone omosessuali, le quali, in Spagna, a differenza dell’Italia, possono “sposarsi”. Grazie allo snellimento amministrativo proposto dalla Commissione Europea il loro “matrimonio” spagnolo verrebbe allora domani riconosciuto anche in Italia. Facile ipotizzare dunque che Paesi come la Spagna si trasformerebbero in ambiti “paradisi gay” da sfruttare per bypassare le legislazioni di Paesi come l’Italia.

Figuriamoci del resto che quanto la Commissione Europea vorrebbe con questa riforma amministrativa imporre a un insieme di Stati europei che politicamente e giuridicamente non sono uniti non accade nemmeno negli Stati Uniti d’America, i quali, pur federali, sono però davvero un Paese unito e sovrano, vincolato da una Costituzione, da una legislazione e da un sistema giudiziario comuni. Negli Stati Uniti, Paese unito e federale, il “matrimonio” omosessuale è infatti legale in qualche Stato: pochi, per esempio il Massachussetts - il primo Stato dell’Unione a farlo, nel 2004 -, ma non in altri, per esempio il Texas o l’Oklahoma. Nessuna legge federale si sogna, in quel Paese unito politicamente e giuridicamente come non lo è invece la UE, di imporre in ogni luogo ciò che è legale solo in alcuni. Anzi, negli Stati Uniti vige - per quanto combattuto esso sia dalle lobby omosessuali - persino quel Defense of Marriage Act del 1996 che proibisce - nonostante il Massachussetts e altri, pochi, luoghi simili - il riconoscimento del “matrimonio” gay da parte del governo federale, per non parlare delle adozioni.

Ma non tutto forse è già perduto. C’è ancora margine d’intervento. Per questo lo European Dignity Watch invita tutti, privati e organizzazioni, a reagire, scrivendo, con tanto di nome, cognome e indirizzo, a

European Commission Directorate-General for Justice
Unit A1 - Judicial Cooperation in Civil Matters
B-1049 Brussels
Fax No: + 32-2/299 64.57

oppure utilizzando l'e-mail

erzsebet.ambrus@ec.europa.eu

Ricordate, entro il 30 aprile.

 

NOTA BENE
Dopo la pubblicazione originale di questo articolo, molti lettori ci scrivono domandando consigli, dritte
e persino un modulo unitario di lettera da inviare alla Commissione Europea.
Grazie a tutti i gentili lettori. Tutti tengano presente, però, che un modulo unitario di lettera rischia di diventare controproducente. La discussione avviata dalla Commissione Europea, infatti, è del tutto personale. Quindi è davvero molto meglio far giungere missive personalizzate, persino - al limite - piuttosto informali. Gli elementi utili si trovano in questo articolo e sul sito dello European Dignity Watch. Ciò peraltro non vieta che all'EuroCommissione scrivano anche gruppi e associazioni.
Grazie

 

- Là in Europa dove oggi tutto è permesso, di M. Respinti