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Importante l'ambiente, ma non se blocca tutto. Perché L'Osservatore Romano sposa allora le posizioni antiumane del WorldWatch Institute?

Attualità 20_04_2011
agricoltura

Lo scorso 8 marzo monsignor Silvano Tomasi, Osservatore della Santa Sede presso le Istituzioni ONU di Ginevra richiamava ancora una volta il “grido” di Benedetto XVI alla FAO (2007): «Il diritto al cibo è un diritto fondamentale perché è intrinsecamente legato al diritto alla vita». Mi chiedo tuttavia se esista, anche negli ambienti meglio informati, la reale consapevolezza di quale sia l’attuale situazione di sicurezza alimentare, cioè della disponibilità di cibo e, nel caso tale sicurezza non sia per nulla garantita, quali le cause e quali i rimedi.

Procediamo con ordine: la situazione non è drammatica, ma potrebbe precipitare poichè le scorte di cereali sono ben lontane da quei 60-65 giorni senza produzione di cui si parlava un tempo (oggi siamo a poco più della metà). Inutile, allora, attribuire le responsabilità alla speculazione - che comunque si inserisce in caso di penuria e non certo di abbondanza - per gli aumenti di prezzo (oggi siamo ben oltre il massimo di 213,5 $/ton, per un paniere di vari cereali e semi oleaginosi, raggiunto nel 2008 in occasione della precedente crisi). Per capirci, molti prezzi sono aumentati fra un 50 sino ad oltre il 100%.

Quali le cause, almeno le principali? Secondo la FAO e l’IFPRI (International Food Policy Research Institute di Washington), che lo sostengono da oltre 10 anni, a fronte di un aumento dei consumi alimentari che era facilmente prevedibile (più “bocche e soprattutto “bocche” più sofisticate) non vi è stato nell’ultimo decennio un reale aumento della produzione mondiale. Dopo di che altre cause possono essere ricercate nelle bioenergie (alimenti sottratti per fare biodiesel, bioetanolo, biogas ecc.), nella maggior produzione di alimenti di origine animale e questo è il senso di “bocche sofisticate” (Cina e India in particolare) ecc. ecc. Tutto vero, ma sorprende non ci si renda conto che l’agricoltura non è solo “food” (la legna per scaldarmi da bambino veniva dai campi) e soprattutto non è solo vegetali perché l’uomo è onnivoro-carnivoro e nella giusta misura carne, latte, uova, pesce sono indispensabili.

Ci possiamo ora chiedere perché fra metà e fine dell’ultimo secolo la produttività agricola (per unità di superficie) è aumentata in Cina (a puro titolo di esempio) di 4 volte ed ora non più? Anche qui non vi è una sola ragione, ma un insieme che però si possono associare in una sola parola: ambientalismo, cioè preoccupazione per i rischi di tipo ambientale: ostacoli alla diffusione delle piante OGM, all’uso di fertilizzanti ed antiparassitari ecc., per favorire invece le forme di agricoltura biologica notoriamente meno produttive. Tutto male? Certo che no, poiché la maggiore sensibilità alla salvaguardia dell’ambiente è sempre più doverosa; ma qualcosa di male sicuramente c’è:

  • dal momento che le esigenze sono ineludibili (ivi compresa la “dolorosa” perdita di efficienza per produrre carne, latte ecc.), produrre maggiormente si deve. In particolare è la produttività ad essere necessaria, altrimenti si deve ampliare la superficie intaccando le aree ora “naturali”: boschi e foreste, praterie ecc.;
  • aumentare la produttività senza utilizzare gli OGM implica ricorrere, più di quanto già non si faccia ora, ai mezzi tecnici di produzione (fertilizzanti, antiparassitari, mezzi meccanici, irrigazione ecc.) che hanno un impatto maggiore sull’ambiente di quanto non farebbero gli OGM.
La conclusione è che agricoltura biologica, no OGM ecc., sortiscono il risultato esattamente contrario allo scopo per il quale sono sbandierati. Per le ragioni anzidette nei paesi sviluppati, mentre in quelli poveri vi è un’altra ragione: i mezzi tecnici non ci sono o sono molto costosi o sono ancora quelli di prima generazione (più impattanti sull’ambiente). In questi ultimi paesi esiste una necessità ancora più impellente di OGM adatti in quanto il seme da solo – portando resistenza alle avversità biotiche ed abiotiche, insieme a miglior capacità di “approvvigionarsi” di azoto, fosforo ecc. – consente di superare le molte difficoltà strutturali di cui soffrono (scarse lavorazioni, assenza irrigazione, pochi concimi ecc.).
Naturalmente i problemi strutturali richiedono ugualmente una soluzione e sono:

  • nei Paesi sviluppati la decisione di tornare a produrre, nei dovuti modi, per non gravare sul mercato mondiale e semmai per rifornirlo maggiormente. Perché ciò accada non bastano i prezzi molto alti dei cerali - fra l’altro penalizzanti per le produzioni zootecniche, oltre che per quanti hanno difficoltà economiche per acquistare - ma opportuni sarebbero modi diversi di incentivare (esempio senza disaccoppiamento rispetto alla produzione) e soprattutto strumenti anti speculazione (stoccaggio sotto controllo pubblico) per evitare le fluttuazioni eccessive di prezzo che sono causa di sfiducia nei produttori;
  • nei Paesi poveri servono investimenti di tutti i tipi, a partire dall’istruzione (ed è un’impresa immane) per finire alle strade e ai mezzi di trasporto perché i prodotti possano entrare nei mercati (in mezzo vi sono l’acqua, la meccanizzazione elementare, i mezzi di protezione e di conservazione ecc.).
La mia apertura con la frase di Benedetto XVI non è stata casuale, la Chiesa è molto equilibrata essendo consapevole che l’”apertura alla vita” significa una popolazione in continua crescita (da 1,5 a 7 miliardi in poco più di 100 anni) e questo non può significare giudicare l’agricoltura con gli occhi del Worldwatch Institute, che ormai da decenni sostiene, in nome dell'ambiente, la necessità di politiche di controllo delle nascite. Eppure proprio le tesi del WorldWatch Institute sull'agricoltura sostenibile sono state "sposate" da L'Osservatore Romano del 19 aprile, in cui si trovano “perle” del tipo:
  • «l’aumento della produzione agricola è avvenuto con l’energia delle fonti fossili…». Ma lavorare i terreni per avere i prodotti vegetali significa l’uso di “macchine”…o l’autrice preferirebbe le braccia degli schiavi?
  • «il modello intensivo…ha soppiantato i sistemi di coltivazione tradizionale rispettosi dell’ambiente…». Peccato che, solo in Cina, sfamare la loro popolazione avrebbe richiesto 3 volte la superficie disponibile (da prendere dove?)
  • «i derivati animali rispetto a quelli vegetali ha danneggiato di fatto la salute umana…». Infatti è per questo che la vita media degli italiani, che mangiano giuste quantità di “derivati animali” è prossima o supera gli”80 anni”?
A parte le”perle”, nulla è perfetto; tuttavia non v’è dubbio che fra produzioni intensive efficienti perché razionali ed ecocompatibilità non vi è affatto contraddizione; al contrario fra metodi tradizionali di coltivazione e “apertura alla vita” la incompatibilità è certissima… parola di Worldwatch Institute!

Dunque, produrre alimenti (ed altro) per 7 miliardi di persone non è un gioco come costruire telefonini ed a nulla servono gli allarmismi o gli auspici più o meno fantasiosi, ma fuori dalla realtà; per contro servono politiche coerenti e di ampie vedute che si fondino su ricerca, formazione, investimenti ed anche una vera cooperazione internazionale su basi solidaristiche.