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EUROPA

La Germania torna ad essere grande potenza

Volente o nolente, l'Europa, per tutto il Novecento, è stata dominata dalla questione dell'espansione della Germania, causa prima delle due guerre mondiali. Ora la Germania è tornata ad essere una grande potenza, economica invece che militare. E con il ritiro degli Usa dall'Europa è pronta a ritagliarsi un nuovo ruolo.

Editoriali 01_06_2017
Angela Merkel

Vedendo come la Germania di Angela Merkel si sta preparando all’incontro annuale del G20, in programma ad Amburgo il 7-8 luglio prossimi, viene alla memoria lo storico appello che proprio ad Amburgo Thomas Mann rivolse nel 1953 in un suo famoso discorso agli studenti dell’ateneo della città. L’appello cioè a lottare non più “per un’Europa tedesca, ma per una Germania europea”.

Almeno da tre secoli, ma con una tragica impennata nel secolo scorso, l’Europa è alle prese con il problema obiettivo della Germania. Beninteso, non è colpa di nessuno se la Germania è di gran lunga più popolosa degli altri maggiori Paesi dell’Europa continentale, dalla Francia all’Italia, e dalla Spagna alla Polonia (la Francia ha oltre 64 milioni, l’Italia un po’ meno di 61 milioni, la Germania oltre 81 milioni di abitanti). Non è colpa di nessuno, anzi è merito dei tedeschi, se la sua è la principale economia del Continente, e se poi alla sua centralità economica si aggiunge una sua centralità geografica. Questo insieme di circostanze è semplicemente un dato di fatto; da esso però derivano delle conseguenze di cui occorre tenere conto. Troppo frenata nella sua spinta espansiva, nel secolo XX la Germania ha per così dire perso la testa fino a provocare due guerre mondiali e a macchiarsi del crimine storico del nazismo. Chiuderla in una gabbia si è dimostrato insomma impresa non solo ingiusta ma anche impossibile e dissennata. Come fare però a darle spazio solo nella misura in cui da ciò non derivino squilibri catastrofici sul piano sia economico che politico?

A seguito della sua disastrosa sconfitta nella seconda guerra mondiale e della sua successiva spartizione tra i vincitori  (per tre quarti agli Alleati e per un quarto all’Unione Sovietica), nonché nel quadro bloccato della Guerra fredda, oltre a essere la più pacifica la seconda delle due alternative indicate da Thomas Mann aveva il vantaggio di essere l’unica possibile. Finita adesso da oltre venticinque anni la Guerra fredda, e uscita di scena la generazione che aveva comunque combattuto sotto la bandiera della Germania nazista, al rinascere del sogno egemone dell’”Europa tedesca” non ci sono più obiettivi ostacoli né geopolitici né psicologici. A questo punto la scelta non è più obbligata, e dunque deve eventualmente diventare consapevole.

Con la fine dell’”atlantismo”, ovvero di uno status quo sotto l’ègida americana, riaffiorano in Germania molte cose che da decenni sembravano sepolte per sempre. Rientrano in questa prospettiva la… riscoperta dell’Asia e l’attivo sostegno allo sviluppo del ramo più settentrionale della “Nuova Via della Seta” che la Cina sta promuovendo e finanziando. Quello che si prospetta è un ridisegno delle relazioni internazionali promettente ma non semplice. Dal suo grande progetto di riapertura dell’antico itinerario terrestre e mediterraneo euro-asiatico, che le potenze nordtlantiche avevano da secoli spinto ai margini, la Cina pretende di lasciar fuori l’India. E’ dell’altro ieri l’incontro a Berlino della cancelliera Merkel con il primo ministro indiano Narendra Modi, venuto a ricordare che in questi nuovi scenari si deve tener conto anche dell’India. Condizionata dall’ambientalismo “verde”, che in Germania è forte  (e sempre pronto a riemergere anche politicamente), la cancelliera mira ad arrivare al G20 di Amburgo potendo schierare contro Trump pure la Cina e l’India in difesa degli accordi sul clima siglati a Parigi nel 2015. Sono accordi in realtà piuttosto vaghi e di incerta attuazione, che Cina e India hanno firmato soprattutto per non fare la parte dei “cattivi”.  Sia per gli Usa di Trump schierati contro che per gli altri schierati a favore gli accordi di Parigi sono in primo luogo una bandiera da sventolare per motivi che li eccedono. C’è dunque il rischio che da un parte e dall’altra ad Amburgo si faccia una battaglia sul nulla.

Resta il fatto tuttavia che siamo entrati in una stagione di riorganizzazione delle forze in sede sia europea che mondiale. Una stagione in cui anche il nostro Paese avrebbe tutto l’interesse a fare attivamente la propria parte a tutela del suo spazio in Europa e nel Mediterraneo; a proprio nome ma anche per  conto dei Paesi adriatici e danubiani,. L’Italia invece non dice nulla. Il dibattito sulla nuova legge elettorale, e sulle elezioni anticipate o meno, assorbe tutte le energie del suo ceto politico.  Non c’è tempo per altro.