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La pace fiscale non è un regalo agli evasori ma al Paese

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Il vicepremier Salvini invita a liberare «milioni di italiani ostaggio da troppi anni dell'Agenzia delle Entrate» sollevando un vespaio. Ma le reazioni demagogiche e scandalizzate continuano a far leva sull'argomento (indimostrato) della lotta all'evasione...

Politica 19_07_2023

Sembra ieri ma sono passati ben 16 anni da quando il Ministro dell’economia del Governo Prodi, Tommaso Padoa Schioppa, a proposito del rapporto tra cittadino e fisco, esclamò che «le tasse sono una cosa bellissima». Una frase più impopolare di quella sarebbe stato difficile immaginarla, perché gran parte delle persone si interessano alla politica soprattutto quando prova a mettere le mani nelle loro tasche. Un fisco vorace e opprimente rappresenta il nemico giurato di ogni cittadino ed è la causa scatenante di cambi di giudizio anche repentini sull’operato dei governi.

Se un governo alza le tasse, anche giustificando la sua scelta con esigenze di solidarietà nazionale o di salvezza delle disastrate casse statali, normalmente ci lascia le penne e la maggioranza che lo sostiene diventa minoranza alle elezioni successive. I politici lo sanno, i tecnici lo ignorano e infatti Padoa-Schioppa all’epoca contribuì a far ridurre ulteriormente le già risicate simpatie degli italiani nei confronti del governo Prodi, che cadde dopo meno di due anni.

Il tema della tassazione ritorna ciclicamente nel dibattito politico e, a onor del vero, è stato presente soprattutto nella campagna elettorale del centrodestra, che ne ha fatto uno dei suoi cavalli di battaglia. La flat tax promessa da Matteo Salvini ha probabilmente contribuito al successo di quella parte politica, anche perché non è un mistero che l’Italia sia uno dei Paesi con il più alto livello di tassazione al mondo. Le imprese che assumono devono mettere in conto di dover pagare al fisco una cifra raddoppiata rispetto al netto in busta paga che danno ad un lavoratore, il che scoraggia non poco gli investimenti in forza lavoro.

Appaiono dunque di buon senso gli appelli dei politici che auspicano una pace fiscale per consentire a imprese e lavoratori, tanto più dopo il fermo dovuto alla pandemia, di ripartire e rilanciarsi. Lo ha detto nei giorni scorsi il Ministro dei trasporti, Matteo Salvini e subito si è scatenato un vero e proprio vespaio. Avversari politici e stampa ostile hanno subito dipinto il Capitano come complice degli evasori e interpretato le sue parole come un incitamento a non pagare le tasse. Il vicepremier chiede «una grande e definitiva pace fiscale» per liberare «milioni di italiani ostaggio da troppi anni dell'Agenzia delle Entrate».

Un fisco equo ed amico è peraltro un obiettivo dichiarato del programma elettorale del centrodestra, tanto da essere citato esplicitamente al punto 4 delle proposte che gli elettori di quella parte politica hanno mostrato di apprezzare. «Dobbiamo agire con buonsenso, aiutando milioni di italiani che hanno dichiarato i propri redditi ma che non sono riusciti a pagare le tasse o che non ce l'hanno fatta a tornare a lavorare – ha spiegato Salvini – Così consentiremo anche allo Stato di incassare soldi che altrimenti non avrebbe mai».

Infatti il fisco insegue da anni milioni di italiani che, di fronte a un’eventuale proposta di conciliazione, pur di azzerare i loro debiti con l’Agenzia delle Entrate, pagherebbero cifre ridotte rispetto al dovuto. Senza una soluzione del genere, l’Agenzia non incasserà neppure quei soldi perché chi non ha lavoro o nel frattempo lo ha perso non potrà certamente onorare i suoi impegni in ambito fiscale. Meglio una sanatoria che consenta di recuperare il recuperabile e dia a chi è sommerso dai debiti fiscali la possibilità di ricominciare a lavorare e a produrre. Salvini è stato esplicito anche sulle cifre: «Gli evasori totali per me possono andare in galera e buttare la chiave, ma se qualcuno ha un problema fino a 30mila euro che si trascina da anni, chiudiamola. Gliene chiediamo una parte e azzeriamo tutto il resto».

La pace fiscale potrebbe essere anche il primo passo per una vera ed equilibrata riforma fiscale, ma evidentemente anche in ambito fiscale le forze della conservazione, che puntano a mantenere immutato il regime di tassazione, che penalizza chi produce e investe in lavoro, sono molto forti e ramificate. Lo testimoniano alcune reazioni alle parole di Salvini.

Francesco Boccia, il presidente dei senatori del Pd, attacca: «Salvini è un ministro, un uomo di governo, dunque delle istituzioni. Ma evidentemente per questa destra governare vuol dire inneggiare all'evasione, considerare l'Agenzia delle Entrate un nemico. Anziché premiare e ringraziare gli italiani che pagano le tasse, li umiliano, giustificando chi non lo fa e definendo le tasse un "pizzo di Stato"».

Ancora più demagogica la reazione di Giuseppe Conte, che definisce «devastante» il messaggio di Salvini e commenta: «Dopo che la premier Meloni ha parlato delle tasse come di "pizzo di Stato", oggi è la volta del ministro Salvini a rincarare la dose affermando che gli italiani sono "ostaggio dell'Agenzia delle Entrate". Non sono affermazioni infelici, occasionalmente sfuggite. Esprimono una visione chiara e si accompagnano alla guerra fatta in Europa per non utilizzare i Pos e per aumentare la soglia del contante».

Le cose stanno proprio in modo opposto a quanto dice il leader grillino: la guerra al contante, oltre che tagliare fuori dai circuiti commerciali ampie fette di popolazione anziana, rappresenta un costo per il sistema, avvantaggia i grandi potentati finanziari e non contribuisce alla riduzione dell’evasione fiscale. Il tema è controverso e non esistono prove del fatto che la totale digitalizzazione dei pagamenti possa aiutare la lotta all’evasione. In ogni caso demonizzare il contante non serve. Occorre invece agire sulla leva fiscale per renderla più equa. Chi critica le parole del Ministro dei trasporti dovrebbe pensare alle centinaia di migliaia di percettori del reddito di cittadinanza che sommano quel sussidio a tanti redditi percepiti in nero e quindi senza pagare tasse.

Ed è caduto nel tranello anche il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, che ha replicato alle parole di Salvini, affermando che «il contrasto all’evasione non è volontà di perseguitare qualcuno». È ovvio che l’Agenzia non ce l’ha con gli italiani, ma nei fatti esistono milioni di contribuenti che, anche per errori contabili dell’Agenzia, perdono tanto tempo per verifiche fiscali a volte risibili e maturano un senso di profonda sfiducia nei confronti del fisco.

Una pace fiscale è dunque quello che ci vuole per azzerare errori e ingiustizie e per varare una riforma del sistema delle tasse a misura di cittadino. Se è vero che 15 milioni di italiani che hanno fatto la dichiarazione dei redditi hanno un conto aperto con l’Agenzia delle Entrate ce n’è abbastanza per dire che occorre cambiare. E occorre farlo anche in fretta.
 



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