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a cura di Stefano Fontana

UNA STRANA TEOLOGIA

La proposta Borghesi: ripartire dalle emozioni

Col bricolage emotivo non si fa nessuna teologia, si finisce per fare ideologia.

Dottrina sociale 26_09_2023

La rivista della Università cattolica “Vita e Pensiero” ha ospitato una serie di interventi sul tema della “egemonia culturale”. Nel suo ultimo numero di luglio e agosto pubblica gli interventi di alcuni intellettuali cattolici, tra cui Massimo Borghesi, il quale fa una serie di osservazioni e una proposta che merita di essere valutata. Egli sostiene che oggi le persone non sono più interessate alle questioni filosofiche o politiche, come nei decenni scorsi, oggi “si parte da quello che si sente”, dalle emozioni, dalla dimensione affettiva. Citando papa Francesco: “Oggi ci si concentra meno, rispetto al passato, sul concetto o sulla prassi e più sul sentire”.

Nella “tenerezza di Dio” di cui parla Francesco, Borghesi vede il modo giusto di fare cultura in una società dove gli uomini desiderano prima di tutto “sentirsi amati, voluti bene”. Ciò richiede un cambiamento di come considerare la teologia, non più come qualcosa di astratto e quindi ideologico, ma come qualcosa che nasce dalla conoscenza esistenziale. Con ciò la teologia non può ridursi a sentimento, ma nemmeno può trascurare le questioni vitali che la persona avverte emotivamente. La via indicata, quindi, è quella della vicinanza e dell’accompagnamento – si pensi “ai mille gesti solidali promossi dalla Chiesa in Italia – nel mondo della vita.

La vita emotiva e i sentimenti esistenziali, però, non sempre sono espressione di inclinazioni naturali, spesso sono impulsi ciechi, indotti dalla cultura egemone che disciplina anche le emozioni, tendenze di massa acritiche. Da esse non può emergere la luce, perché piuttosto hanno bisogno di valutazione e orientamento. Oggi si tende ad assegnare grandi capacità conoscitive alla dimensione emotiva, equiparandola o addirittura facendola emergere al di sopra di quella intellettiva, ma rimane vero che nella persona l’intelletto (o ragione che dir si voglia) ha e deve avere il primato, in quanto capace di conoscere dimensioni di verità che la sensazione è incapace di cogliere.

Per esempio, il bisogno di “sentirsi amati, voluti bene” può condurre ad ogni forma di relazione, anche innaturale e immorale, tanto da soddisfare quella richiesta emotiva. La Chiesa sarà quindi presente laddove le persone hanno il loro cuore, ma per illuminare con qualcosa che viene prima di quelle situazioni vitali ad alto tasso emotivo. Anche la tenerezza ha bisogno di luce, se oggi non si distingue più molto bene quella da rivolgersi ad un bambino e quella da indirizzare ad un animale.

Francesco dice che la teologia, quando è astratta, diventa ideologia, e Borghesi riprende e rilancia questa visione. Ma l’astrazione, di cui la ragione ha bisogno altrimenti non è tale, non significa abbandonare il reale e salire in un astratto artificiale. Quando si arriva alla conoscenza di cosa sia la persona umana, questo permette poi di conoscere Caio e Tizio, nella loro realtà esistenziale che, però, a questo punto non è più solo esistenziale ma anche essenziale. Mi sembra sbagliato qualificare come ideologico quanto è frutto di astrazione.

Del resto, ogni scienza, e la teologia è pure una scienza, non si limita al caso per caso. Essa permette di considerare il caso per caso proprio perché si è sollevata più in alto e ha visto delle strutture universali della realtà. Col bricolage emotivo non si fa nessuna teologia, si finisce – questa volta veramente - per fare ideologia.