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LETTERA

La svolta gay di Avvenire e i trucchetti rivoltanti

Padre Piva, Moia, don Carrega, don Santorsola: ormai gli interventi su Avvenire a favore dello sdoganamento degli atti omosessuali sono all'ordine del giorno e contraddicono apertamente il Magistero. Ma che razza di Chiesa rappresentano?

Ecclesia 11_06_2017
Avvenire

Caro direttore,

la politica di Avvenire su Amoris laetitia e sullo sdoganamento dei gay sta diventando sempre più subdola e non disdegna trucchetti rivoltanti.

Un esempio lampante nella “botta e risposta” relativo all’inserto  mensile “Noi famiglia&vita” del 26 maggio 2017, in cui vi è l’affermazione di Moia che tra le innovazioni proposte al popolo cristiano dal documento ci sarebbe «la pari dignità di fronte a Dio di ogni orientamento sessuale» (ne ha parlato anche la NBQ, qui e quindr).

Avvenire ha preso, tra le tante, una lettera del sig. Lucio Bergamaschi  contraria a quest’affermazione, e una favorevole del teologo gesuita padre Pino Piva. La risposta di Moia, ovviamente forte dell’ “autorevole teologo”, sbeffeggia il sig. Bergamaschi:

“Ne abbiamo scelte due, apparentemente antitetiche (?!), ma che sintetizzano bene due modi di pensare: la paura del cambiamento da un parte. La volontà di rinnovare atteggiamenti e prassi pastorale dell’altra”

Apparantemente antitetiche? Proprio non ce la fanno a scrivere o parlare senza usare il principio di contraddizione! La lettera di Piva è un vero e proprio inno al soggettivismo!

Ma chi è padre Piva, la cui lettera è giunta ad Avvenire (anche se sorge il legittimo sospetto che sia stato lo stesso giornale a commissionarla al padre gesuita)? Ebbene, è uno degli sdoganatori dell’ideologia lgbtq intra ecclesiale! Leggete un po’ (qui):

"È necessario cominciare ad evitare espressioni come “il problema fede-omosessualità”, perché la condizione omosessuale in sé non è un problema per la fede, semmai una sfida, una opportunità di progressiva comprensione dell’essenziale. Per questo, Damiano Migliorini nella sua relazione può annunciare un cambio di prospettiva: da soggetti ricevitori di una pastorale, le persone lgbt stanno cercando di pensarsi come portatori di una pastorale a favore degli altri. Dal chiedere dalla Chiesa una pastorale speciale, si stanno chiedendo se sono loro a poterne offrire una alla Chiesa, per tutta la Chiesa; una pastorale che promuova davvero le differenze nella comunione come doni dello Spirito per l’utilità comune. La Chiesa e il mondo hanno bisogno di questa pastorale".

Nell’intervento di Piva si richiama l’esperienza della diocesi di Torino (qui):

"Tali incontri, raccolti sotto il progetto «Alla luce del Sole» e organizzati dall’équipe Fede & Omosessualità, avranno come argomento temi di crescita umana e cristiana adattati al contesto particolare in cui ci si trova a viverli (vocazione/chiamata, osare, il piacere, il corpo)".

Vi chiederete cosa s’intende per “osare, il piacere, il corpo”. Lasciamolo dire a don Gianluca Carrega, responsabile dell’arcidiocesi di Torino per la pastorale delle persone omosessuali (qui) in un’intervista effettuata proprio da Luciano Moia per Avvenire:

"E poi c’è lo spinoso, imbarazzante tema della sessualità omosessuale che, inutile negarlo, è l’aspetto più problematico. Quando ci si presenta in coppia, il rischio esclusione aumenta in modo esponenziale. Purtroppo il paradosso è in agguato e in qualche modo ricalca la contraddizione che già segna l’accoglienza in confessionale dei divorziati risposati, coloro perlomeno che ritengono in coscienza di non astenersi totalmente dai rapporti coniugali. L’atto singolo, anche se reiterato, trova più facilmente indulgenza che non la scelta meditata, e magari maturata nella preghiera (Atti di sodomia maturati nella preghiera!!!, ndr), di una coppia stabile. «Non voglio entrare in questioni dottrinali – conclude il sacerdote torinese – ma non si può negare che esista un valore quando ci si trova di fronte a persone che vivono in modo stabile e dignitoso la loro condizione. La domanda che dobbiamo porci è molto semplice. Vogliamo accogliere chi con sincerità chi si rivolge a noi chiedendo un accompagnamento spirituale anche se vive una situazione sessualmente problematica?». Domanda che, soprattutto per un credente, non avrebbe bisogno di risposte".

Nello stesso articolo don Leo Santorsola, teologo e fondatore del movimento “Famiglia e vita” di Matera, che segue genitori alle prese con il problema dell’omosessualità dei figli, afferma:

«La pastorale delle persone con orientamento omosessuale deve rientrare nella pastorale della famiglia. Se fino a qualche anno fa il nesso tra pastorale della famiglia e questione omosessuale poteva apparire incomprensibile, oggi alla luce delle rivendicazioni, già accolte in alcune legislazioni nazionali, di un “matrimonio” per persone con inclinazioni omosessuali, non è più così. Questo spiega perché, in vista del Sinodo, il questionario preparatorio prevedeva una serie di domande sulle unioni tra persone dello stesso sesso»

Inutile negarlo, don Carrega sta sdoganando la sodomia, con il cavallo di troia dell’inclusione e dell’accompagnamento. Chiede don Carrega: «La domanda che dobbiamo porci è molto semplice. Vogliamo accogliere chi con sincerità si rivolge a noi chiedendo un accompagnamento spirituale anche se vive una situazione sessualmente problematica?». La risposta di Moia è una sentenza lapidaria: «Domanda che, soprattutto per un credente, non avrebbe bisogno di risposte».

Ma la vera e legittima domanda è un’altra: Che razza di Chiesa rappresentano Avvenire, Moia, Piva, Carrega e Santorsola?

Domanda che, soprattutto per un credente, non avrebbe bisogno di risposte…